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Il sole cominciava ormai a scendere verso l'orizzonte, quando mi accostai al Reggente.

«Ascolta», gli dissi, «siamo seguiti. Ero pronto a scommettere che nessuno sapesse che la matrice fosse in mano mia, ma qualcuno, evidentemente, doveva saperlo, e adesso si serve del potere dei punti attivi per rilevare la nostra posizione.»

Mi fissò con gravità.

«Non hai scoperto altro?» mi chiese.

«Non saprei…» risposi.

L'Hastur si girò verso Regis e gli rivolse un cenno. Il ragazzo si affiancò a noi.

«Siamo seguiti, Lew», confermò. «Ne avevo già l'impressione, ma adesso ne sono sicuro. Mi sono già scontrato con gli uomini delle foreste, negli anni passati.»

Alzai gli occhi per osservare i massicci rami che si incrociavano sopra di noi. Quei rami erano stati uniti tra loro dagli uomini delle foreste, in modo da formare un labirinto di passatoie aeree; tuttavia, così vicino alla città, mi ero aspettato che fossero inutilizzati da secoli.

«Non siamo in condizioni di affrontare uno scontro armato», disse il Reggente.

Guardò con preoccupazione Regis e Derik, e io — che avevo abbassato le barriere — gli lessi nella mente.

Tutto il potere dei Comyn è qui, in questo momento. Con un solo attacco, potrebbero spazzarci via. Perché ho permesso loro di venire, senza guardie? Poi, un altro pensiero che il Reggente non riuscì a nascondere: Che questi Alton ci conducano in una trappola?

Gli rivolsi un sorriso obliquo.

«Non hai tutti i torti a pensarlo», dissi. «Anche se non è così. Ma se qui attorno ci fosse qualcuno davvero in grado di usare il potere di Sharra — e io ne so usare una minima parte — sarei solo una pedina in mano sua. E potrei davvero condurvi in una trappola, senza volerlo.»

Il Reggente non mi rivolse altre domande. Si girò sulla sella.

«Torniamo indietro», disse.

«Che succede?» chiese Corus Ridenow. «Gli Alton hanno paura?»

Per sua disgrazia, in quel momento Marjus cavalcava accanto a lui. Si sporse sulla sella e lo schiaffeggiò con ira. Il Ridenow si tirò indietro; la mano gli corse al coltello che portava infilato nello stivale…

E in quel preciso istante accadde ciò che temevo!

Corus s'immobilizzò, come se fosse diventato una statua di pietra, con il coltello ancora sollevato. Nel silenzio, Marjus lanciò un grido spaventoso. Non avevo mai sentito un grido così straziante uscire da una gola umana. La piena potenza del Luogo di Potere ci investì entrambi. Dea o demonio, forza, macchina o spirito elementare che fosse, Sharra si era scatenata, ed era qualcosa di infernale. Udendo un secondo grido di protesta, non mi accorsi che veniva da me.

In quel momento si levarono attorno a noi gridi selvaggi, e da ogni parte vidi forme semiumane che scendevano dagli alberi. Qualcuno afferrò per la briglia il mio cavallo. E io capii chi avesse allestito la trappola.

L'uomo che vidi davanti a me, sulla strada, era alto e sottile; sotto un ciuffo di capelli chiarissimi si scorgeva una faccia affilata e scurita dagli elementi, due occhi color dell'acciaio che mi fissavano; era più vecchio, più pericoloso di quando l'avevo visto l'ultima volta.

Era Kadarin!

Il mio cavallo s'impennò; per poco non caddi sulla strada. Attorno a me era scoppiata la mischia: clangore di spade, nitriti di cavalli impauriti. Kadarin che gridava, nel dialetto gutturale usato con gli uomini delle foreste.

«Non toccate gli Alton! Li voglio io!»

Tirando la briglia del mio cavallo, faceva in modo da trovarsi sempre dietro l'animale, perché io non potessi colpirlo. Io mi piegai sul collo della bestia, e sentii uno sparo. Il proiettile mi passò accanto alla testa.

«Codardo!» gridai, e, con uno strattone alle redini, costrinsi l'animale a voltarsi bruscamente. L'urto scagliò a terra Kadarin, che dopo qualche istante tornò ad alzarsi; ma in quei pochi istanti ero smontato di sella e avevo preso la spada, per quel che poteva valere.

Un tempo, io sapevo usare bene le armi, e Kadarin era un pessimo schermidore, come gran parte dei terrestri. Portava una spada e la usava contro chi era ancor meno abile di lui, ma tutti facevano così, sulle montagne.

Però, io avevo imparato la scherma quando avevo due mani, e con me avevo solo la spada di Sharra, che era un po' troppo corta e leggera. Mentalmente, mi diedi dell'imbecille. Avevo fiutato il pericolo, l'aria ne era piena, e io non avevo preso con me neppure un'arma adatta!

Dietro di me, Marjus lottava contro uno degli uomini delle foreste: una creatura pelosa, coperta di stracci e con un lungo coltello. Il collegamento mentale tra noi mi faceva sentire tutti i colpi che si scambiavano, e io mi affrettai a interrompere il contatto; avevo già abbastanza guai con il mio duello. Parai all'ultimo istante un colpo di Kadarin.

La sua scherma, notai con sorpresa, era migliorata. In pochi istanti mi fece perdere l'equilibrio; non potevo attaccarlo, riuscivo solo a difendermi. Eppure, provavo anche una sorta di piacere, benché ansimassi e avessi già qualche piccola scalfittura; Kadarin era davanti a me, e questa volta non c'era nessuno — uomo o donna — a separarci.

Comunque, chi è costretto alla difensiva finisce prima o poi per perdere. Cercai di trovare un modo per compensare il mio svantaggio. L'unica debolezza di Kadarin era il suo carattere impulsivo. Se fossi riuscito a farlo andare in collera, per qualche minuto avrebbe perso la ragione e si sarebbe comportato come una bestia impazzita. E con la ragione avrebbe perso anche la sua abilità nella scherma. Non era un modo di lottare molto sportivo, ma io non ero in condizione di fare lo schizzinoso.

«Finalmente ti rivedo, figlio del Fiume!» gli gridai nel dialetto degli Hellers, che si presta a più sfumature, nell'insulto, di ogni altra lingua a me conosciuta. «Portatore di sandali! Non potrai più nasconderti dietro le gonne della tua sorellina, questa volta!»

Non ci fu alcun rallentamento nei suoi colpi di spada, non del tutto eleganti, ma assai minacciosi. Del resto, non avevo realmente sperato di ottenere un risultato immediato.

Ma, per una frazione di secondo, abbassò le barriere mentali.

E in quella frazione di secondo divenne mio prigioniero.

Con la mente bloccata dalla paralisi caratteristica della Dote degli Alton, anche i suoi muscoli si irrigidirono. Io gli tolsi la spada dalla mano e non badai alla battaglia che si svolgeva attorno a noi. Per me, su quella strada, in mezzo alla foresta, esistevamo soltanto Kadarin e io… e il mio odio. Entro pochi istanti lo avrei ucciso.

Ma attesi un momento di troppo. Ero già stanco per la lotta mentale con Marjus e per lo sforzo di seguire la risonanza del punto attivo. Per un attimo, la mia forza mentale vacillò, e Kadarin, che aspettava soltanto un momento di debolezza da parte mia, si liberò con un grido selvaggio. Era più pesante di me, e mi buttò a terra con un pugno; un attimo più tardi, ci fu un'esplosione, qualcosa mi colpì alla testa e io piombai nell'oscurità.

Dopo quella che mi parve un'eternità, scorsi davanti a me la faccia del Vecchio Hastur. Avevo un mal di testa così forte che persino lo sforzo di muovere gli occhi mi dava una fitta di dolore.

«Non muoverti, Lew», diceva il Reggente. «Ti ha sparato. Adesso sono fuggiti.»

Feci per alzarmi, ma gli altri mi tennero fermo. Avevo un occhio chiuso, ma con l'altro contai le facce che mi stavano attorno, all'ultima luce del tramonto. Lontano, sentii la voce di Lerrys, bassa e addolorata.

«Povero ragazzo», diceva.

Ero ferito e dolorante, ma c'era un dolore ancor più forte, un vuoto, una lacerazione che mi rendeva mortalmente solo.

Senza bisogno che me lo dicessero, ormai sapevo che Marjus era morto.