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CAPITOLO 5

LA GUARDIANA DI THENDARA

Avevo una commozione cerebrale, a causa del secondo proiettile di Kadarin, che mi aveva portato via anche un pezzo d'osso. Inoltre, la perdita di Marjus era stata un forte trauma per le cellule del mio cervello; i collegamenti neuronici e sinaptici che si erano recentemente costituiti erano stati lacerati dalla sua morte. Per molti giorni avevo rischiato di perdere la ragione, se non la vita.

Di quel periodo ricordo solo una serie di luci forti, il freddo e lo shock, la sensazione di venire trasportato qua e là, l'odore delle medicine. Senza avere la cognizione del tempo trascorso, aprii gli occhi e mi trovai nelle mie vecchie stanze, nel castello dei Comyn di Thendara. Accanto a me c'era Linnell Aillard.

Assomigliava molto a Callina, ma era un poco più alta e più scura di capelli, e in un certo senso era più gentile, con un viso dolce e infantile, anche se aveva pressappoco i miei anni. Mi pareva anche molto bella. Non che la cosa importasse. Nella vita di ogni uomo ci sono alcune donne che non destano in lui alcuna attrazione sessuale. Linnell non era mai stata una donna, per me; era mia cugina. Per qualche minuto mi limitai a guardarla, senza parlare, finché lei non si accorse del mio sguardo e non mi sorrise.

«A questo punto», disse, «penso che tu mi abbia riconosciuto. Ti fa male la testa?»

La risposta era affermativa. Provai a tastarmi il punto dove mi doleva, e mi accorsi di essere fasciato. Con gentilezza, Linnell mi spostò la mano.

«Da quanto tempo sono qui?» chiesi.

«A Thendara?» rispose. «Due giorni. Ma sei rimasto privo di coscienza per un mucchio di tempo.»

«E… Marjus?»

Gli occhi le si riempirono di lacrime.

«È sepolto nella Città Nascosta», mi disse. «Il Reggente gli ha reso i pieni onori di Comyn, Lew.»

Allontanai la mano dalla sua e per un lungo tempo fissai le luci che si muovevano sulle pareti traslucide.

Infine chiesi: «Il Consiglio?»

«Si sono affrettati ad approvarlo prima che venissimo qui a Thendara. La cerimonia del matrimonio si terrà la notte della Festa.»

La vita proseguiva, riflettei.

«Tu e Derik?» chiesi.

«Oh, no», disse, sorridendo timidamente. «Per quello non c'è fretta. Callina e Beltran d'Aldaran.»

Di scatto, mi rizzai a sedere sul letto, senza badare al dolore acuto.

«Intendi dire», chiesi, con stupore, «che pensano ancora a quell'alleanza? Stai scherzando, Linnell! O sono impazziti?»

Lei scosse la testa. Aveva l'aria preoccupata.

«Penso che sia per questo che si sono affrettati ad approvarlo. Avevano paura che tu ti riprendessi, e che cercassi nuovamente di bloccarli. Derik e gli Hastur volevano aspettare il tuo ritorno, ma sono stati messi in minoranza.»

Non ne dubitavo affatto. Non c'era nulla che i Comyn odiassero più di un Alton in Consiglio. Spostai le coperte.

«Voglio vedere Callina!» dissi.

«Le dirò di venire da te; non c'è bisogno che ti alzi.»

Ma io scossi la testa. Durante le sessioni del Consiglio, quelle stanze erano tradizionalmente assegnate agli Alton, ormai da generazioni; probabilmente erano ben controllate mediante trappole telepatiche e attenuatori. I Comyn non si erano mai fidati degli Alton adulti. Preferivo vedere Callina in un altro luogo.

I suoi servitori mi dissero dove avrei potuto trovarla. Spostai una tenda dall'aria innocente, e una scarica di luce abbagliante mi esplose sulla faccia. Con un'imprecazione, mi portai le mani davanti agli occhi; per qualche istante continuai a vedere macchie gialle e rosse, anche a occhi chiusi, poi sentii pronunciare il mio nome, in tono di sorpresa. Le luci svanirono e scorsi Gallina.

«Mi dispiace», disse. «Adesso, riesci di nuovo a vedere? Devo proteggermi, sai, mentre lavoro.»

«Non hai bisogno di scusarti», risposi.

Una Guardiana, quando è in mezzo ai suoi schermi matrice, è vulnerabile in modi che la gente comune non sospetta neppure.

«Avrei dovuto pensarci», aggiunsi. «Non dovevo entrare in quel modo.»

Callina mi sorrise e sollevò la tenda per farmi passare.

«Certo», commentò. «Mi stupisco che tu non ci abbia pensato. Mi pareva che tu fossi un tecnico delle matrici.»

Quando lasciò cadere le tende, mi accorsi all'improvviso della stranezza della sua bellezza.

Si può dire tutto, su una donna, dal modo in cui cammina. Il modo di camminare di una donna che ama farsi corteggiare suggerisce questa sua caratteristica. L'innocenza proclama la propria natura correndo senza preoccupazioni. Callina era giovane e bella, ma non camminava come una bella donna. Nel suo modo di muoversi c'era qualcosa che sembrava insieme molto giovane e molto vecchio, come se la goffaggine dell'adolescenza si fosse incontrata in lei con la cautela e il decoro della vecchiaia, senza uno stadio intermedio.

Lasciò che le tende si chiudessero, e tutta la stranezza svanì. Mi guardai attorno, e sentii l'effetto calmante delle emissioni infrasoniche. Un tempo, anch'io avevo un piccolo laboratorio di matrici nella vecchia ala del castello, ma non certo su quella scala di grandezza.

C'era il regolare sistema di monitoraggio, in cui lampeggiavano tante minuscole stelle: una per ogni matrice autorizzata, di tutti i livelli, in quella regione. C'era un attenuatore modulato secondo fasi particolari, che filtrava le frequenze telepatiche senza interferire con i normali pensieri. E c'era un enorme pannello che luccicava come cristallo fluido, e di cui non avrei saputo dire lo scopo; forse era uno dei quasi leggendari trasmettitori psicocinetici, capaci di trasferire un corpo umano da una città all'altra. Stranamente prosaici, c'erano poi un normale cacciavite e alcuni pezzi di seta isolante, posati su un tavolo.

«Naturalmente», disse, «saprai che sono fuggiti con la matrice di Sharra.»

«Se avessi avuto un briciolo di intelligenza», imprecai, «l'avrei gettata in un convertitore di materia, mentre ero sulla Terra, e me ne sarei liberato… liberando così anche Darkover!»

«Se tu l'avessi fatto», rispose Callina, «avresti eliminato per sempre ogni possibilità di controllo su quelle forze; quando la matrice era lontana dal pianeta, Sharra era soltanto dormiente. Distruggendo la matrice avremmo perso ogni speranza di scaricare i luoghi attivi. Sharra non è sugli schermi mastri, lo sai. È una matrice illegale, fuori degli schermi monitor. Non potremo tenerla sotto monitoraggio finché non avremo trovato e messo sotto controllo tutti quei punti attivi e l'energia libera di cui sono carichi. Com'è lo schema?»

Aspettai che spegnesse gli attenuatori, poi cercai di proiettare lo schema su uno degli schermi monitor; tuttavia, sulla sua superficie di cristallo comparvero solo macchie e spirali di nebbia.

«Non avrei dovuto permetterti di farlo», disse Callina, con voce contrita, «a così poca distanza da una ferita alla testa. Vieni via, cerca di riposare.»

In una piccola stanza, la cui parete di vetro trasparente si affacciava sulla valle, mi accomodai in una soffice poltrona, mentre Gallina mi guardava con distacco, pensierosa.

«Callina», chiesi infine, «conoscendo lo schema, potresti fare un duplicato della matrice e servirtene per cercare i punti focali?»

Non ebbe bisogno di riflettere sulla domanda, per rispondermi.

«No», disse. «Posso duplicare una matrice di primo o di secondo livello come questa…» indicò il piccolo cristallo che le fermava il vestito, in corrispondenza del seno, «…e forse potrei riuscire a costruire uno schermo di complessità uguale a quella di Sharra, anche se dovrei avere qualche tecnico delle matrici ad aiutarmi. Ma due matrici identiche, del quarto livello o di livelli superiori, non possono esistere simultaneamente, nello stesso universo e nello stesso tempo, senza creare una distorsione spaziale.»

«Sì, la legge di Cherillys», rammentai. «“Una matrice è il solo oggetto unico dello spazio-tempo, e poiché esiste autonomamente, senza bisogno della sua copia a farle da punto di equilibrio, può trasferire l'energia da una forma all'altra.”»