«Strega! Demonio!» imprecò Dyan. In pochi passi raggiunse Callina, la afferrò per le spalle e la sollevò di peso, portandola via dal suo posto; poi la spinse lontano, nel centro della sala.
Ma il giovane Regis, grazie a qualche sua sensibilità sovrumana, correva già verso Callina: riuscì ad afferrarla prima che cadesse a terra. Nell'assistere a quella scena, l'orrore che mi aveva immobilizzato si spezzò bruscamente; e io mi voltai verso Dyan.
Finalmente, quell'uomo mi aveva fornito la scusa per attaccarlo! Chi osava mettere le mani su una Guardiana perdeva automaticamente ogni diritto.
La furia con cui investii l'Ardais lo colse alla sprovvista. La Dote degli Alton, anche in presenza di un attenuatore, può essere un'esperienza molto spiacevole. In pochi istanti, la sua mente fu in balia della mia, senza protezione, e io cominciai a colpirla con crudeli onde di pensiero. E lo feci con grandissima soddisfazione, devo ammetterlo. Aspettavo quel momento fin da quando mi aveva letto nella mente, sulla navetta per Thendara. Gemendo, Dyan scivolò a terra e prese a boccheggiare.
Le lettere di fiamma si spensero e sparirono. La sala ritornò alla normalità.
Callina era pallida, tremava, e doveva appoggiarsi a Regis. Io ero ancora chino su Dyan: era assolutamente inerme e mi sarebbe stato facile ucciderlo. Ma Derik mi prese per — le spalle e mi tirò indietro.
«Che cosa stai facendo? Sei impazzito?» mi gridò.
A volte, in occasione di un contatto fisico, si riesce a leggere tutta la mente di una persona. E quel che lessi in Derik, in quell'istante, mi scosse profondamente. Derik era un debole, lo sapevo, ma non mi sarei mai aspettato di trovare nella sua mente una così grande confusione. Non riuscii a sopportarla neppure per quell'istante, e mi tirai indietro, rinunciando anche all'attacco contro Dyan.
In tono severo, il Reggente Hastur ordinò: «Nel nome di Aldones! Cerchiamo di non litigare tra noi, almeno!»
Dyan si alzò faticosamente e indietreggiò. Io non riuscivo ancora a muovermi, anche se non avevo intenzione di oppormi al Reggente. Il Vecchio Hastur fissò severamente Callina.
«Una cosa molto grave, comynara Callina», disse.
«Grave, certamente. Ma soltanto la mia azione?» Si staccò dal braccio con cui Regis la teneva. Poi comprese. «Oh, capisco. Accusi me di quella… manifestazione?»
«Chi altri?» gridò Diana. «Ha un'aria tanto innocente, ma lei e Ashara…»
Callina la guardò con ira.
«Saresti disposta a raccontare al Consiglio, comynara Diana Ridenow, tutta la tua vita? Anche tu hai cercato Ashara, in passato.»
Diana lanciò un'occhiata nella mia direzione. Poi, con l'aria di chi scopre improvvisamente di essere stata abbandonata, si gettò tra le braccia del fratello Lerrys e tuffò la testa contro la sua spalla.
Callina affrontò con grande dignità il Consiglio.
«Non c'è bisogno che mi difenda dalle accuse che mi hai mosse per il tuo sciocco panico, Diana. E quanto a te, Dyan Ardais, non mi aspetto di essere trattata con cortesia da un par tuo, ma ti avverto che, se mi toccherai ancora, lo farai a tuo rischio. Che tutti sentano, e che Ardais faccia attenzione a non toccarmi nemmeno con un dito: sono una Guardiana. E nessun uomo sopravvivrà fino a potermi offendere la terza volta.»
Si diresse verso la porta, e finché le tende non si furono chiuse alle sue spalle, nella sala regnò il silenzio.
Poi Dyan rise, con cattiveria.
«In sei anni non sei affatto cambiato, Lew Alton», disse. «Conservi sempre la tua passione per le streghe. Ti fai avanti qui in Consiglio, quando credi di dover difendere la nostra strega, proprio come quando hai gettato al vento tutto il tuo onore di Comyn per una sgualdrina dei monti, la sorella di Kadarin, ansiosa di attirare nel suo letto un membro delle Famiglie…»
Non riuscì a dire altro.
«Per tutti gli inferni di Zandru!» esclamai. «Era mia moglie, e tu non sei neppure degno di pronunciare il suo nome!»
Così dicendo, schiaffeggiai quella sua bocca sorridente. Lui gridò e fece un passo indietro, e, veloce come il fulmine, infilò la mano nella camicia…
Ma anche Regis fu veloce come il fulmine, e gli afferrò la mano, prima che riuscisse a portarla alle labbra. Gli tolse dalle dita il piccolo, mortale oggetto, e lo scagliò a terra, con disgusto.
«Una cerbottana al veleno… nella Sala dei Cristalli! E proprio un momento fa ci parlavi di onore, Dyan Ardais?»
I due Hastur tennero fermo Dyan. Uno dei fratelli Ridenow mi tratteneva per il braccio, ma non c'era bisogno che lo facesse.
Ne avevo abbastanza.
Girai la schiena a tutti e mi allontanai.
Sarei soffocato per il disgusto, se mi fossi fermato anche un solo istante di più.
Senza curarmi di dove mi portassero i miei passi, salii le scale che conducevano alla torre del Castello dei Comyn. In un certo senso, lo sforzo puramente fisico di salire, una dopo l'altra, tante rampe di scale, mi dava una sorta di amaro sollievo. Avanzavo a testa china, dolorante, ma avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo.
Perché diavolo non ero rimasto sulla Terra?
Quel maledetto segno! Metà dei Comyn l'aveva preso per un'apparizione sovrannaturale, un avvertimento di pericolo. E avvertiva di un pericolo, certo, ma non era niente di sovrannaturale. Era pura meccanica delle matrici, ma mi allarmava più di qualunque spettro.
Si trattava di una matrice-trappola: una delle vecchie matrici illegali, basate sullo stesso principio del velo di energia che impedisce di entrare nelle Torri a chi non appartiene alle Famiglie. A parte la distorsione spaziale, che serviva ad alimentarla, la matrice che avevo visto operava direttamente sull'inconscio, destando memorie razziali, paure ataviche, timori irrazionali, allo scopo di far regredire a uno stadio bestiale, ferino, le persone che ne venivano colpite.
Chi poteva avere costruito una matrice del genere?
Io sarei stato capace di farlo, ma non ero stato io. Callina? Nessuna Guardiana si sarebbe sognata di profanare la sua carica con un simile aggeggio. Lerrys? Avrebbe potuto vederlo come una sorta di scherzo perverso, ma non mi pareva che avesse l'addestramento necessario. Dyan? No, aveva subito l'effetto della matrice-trappola. Diana, Regis, Derik? Sospettare di loro era assurdo. Alla stessa stregua avrei potuto sospettare del Reggente o della mia piccola Linnell.
E Dyan? Non potevo neppure avere il piacere di ucciderlo in un duello.
Anche con una mano sola, non avevo paura di lui: dopotutto, Dyan aveva vent'anni più di me! Ma non perché io legga nella mente del mio avversario, come certi telepatici dei racconti popolari, e riesca dunque a scoprire in anticipo i suoi colpi di scherma. Per leggere nella mente di un'altra persona occorre tranquillità, concentrazione. Nessuno di noi — neppure il Figlio di Aldones, il dio Hastur — riuscirebbe a duellare così.
Ma ora, anche se lo avessi affrontato ad armi pari, davanti a cento testimoni, tutti mi avrebbero giudicato un assassino. Dopo quello che gli avevo fatto nella Sala dei Cristalli, e dopo quello che mi avevano visto fare a Kadarin. In realtà, il bandito era l'unica persona che potessi bloccare in quel modo, durante un duello. Io e Kadarin, un tempo, eravamo stati in rapporto attraverso la matrice di Sharra, e ciascuno di noi — benché la cosa ci garbasse poco — aveva una sorta di avamposto nella mente dell'altro.
Ma Dyan non lo sapeva.
E non sapeva che Kadarin, ormai, si era preso la sua vendetta.