Sei anni di viaggi sui pianeti dell'Impero mi avevano guarito, per quanto possibile. Non ero più il giovane che, in preda al dolore, aveva lasciato il pianeta sei anni prima. E non ero il giovane idealista che aveva visto in Kadarin la speranza di conciliare le sue due nature, o che aveva scorto, in una ragazza dagli occhi color ambra, tutto quel che poteva desiderare al mondo.
Almeno, avevo creduto di non esserlo più. Ma al primo colpo, tutte le mie difese erano crollate. Che fare, adesso?
Ero finito su un balcone che sporgeva da una delle pareti del Castello. Sotto di me, il terreno si stendeva come una carta geografica dipinta con i marroni cupi, i rossi e gli ocra del pomeriggio. Di fianco a me s'innalzavano le pareti iridescenti del Castello, che, alla luce del sole, assumevano un colore di fuoco, un colore di sangue.
Il sole di sangue. Così i terrestri chiamano il sole di Darkover. Un nome giusto, per loro e per noi.
E sopra di me, sul monte, s'innalzava la Torre, che si teneva arrogantemente in disparte dal castello e dalla città. La guardai con timore. Non pensavo che Ashara, per vecchia che fosse, rimanesse in disparte, limitandosi ad assistere, anche davanti alla distruzione dei Comyn.
Qualcuno mi chiamò per nome, e io mi girai. Dietro di me, scorsi Regis Hastur.
«Ho un messaggio per te», mi disse. E aggiunse: «Ma preferisco non riferirtelo.»
Nonostante la mia delusione, riuscii a sorridergli.
«Non dirmelo, allora. Di che cosa si tratta?»
«Mio nonno mi ha mandato a cercarti per farti ritornare nella Sala. In realtà, volevo una scusa per uscire anch'io.»
«Dovrei ringraziarti», dissi, «per avere strappato di mano a Dyan la cerbottana al veleno. In questo momento, però, penso che vi sareste risparmiati molti futuri guai se gliel'avessi lasciata usare.»
«Intendi sfidarlo a duello?» mi chiese.
«Non posso», risposi. «Sai che cosa dicono degli Alton.»
Regis si appoggiò alla ringhiera.
«Vuoi che combatta io, per procura?» mi propose. «Sai che sarebbe perfettamente legale.»
La sua offerta mi colpì, ma cercai di non fargli vedere quanto fossi commosso.
«Grazie», dissi, «ma faresti meglio a tenerti lontano dal nostro conflitto.»
«Troppo tardi, ormai», rispose. «Ci sono dentro fino al collo.»
Gli chiesi, d'impulso: «Conoscevi bene mio fratello Marjus?»
«Adesso vorrei poter dire di sì», rispose, con una smorfia. «Ma purtroppo no, non l'ho mai conosciuto bene.»
«Qualcuno lo conosceva?»
«Non credo. Anche se lui e Lerrys erano amici, in un certo senso.»
Con il tacco, tracciò qualche segno sulla polvere, sovrappensiero. Dopo un attimo, li lisciò con la punta dello stivale.
«Ho trascorso qualche giorno nel castello dei Ridenow, prima di venire al Consiglio, e…» S'interruppe. Poi riprese, dopo qualche istante: «È una cosa difficile, l'ho sentita per caso, e l'unica cosa onorevole che potessi fare è stata quella di promettergli di non ripeterla. Ma il ragazzo è morto, ora, e penso che tu abbia il diritto di conoscere l'accaduto.»
Non dissi nulla. Non avevo il diritto di chiedere a un Hastur di violare la sua parola. Aspettai che fosse lui a decidere. Alla fine, mi fissò negli occhi.
«È stato Lerrys», disse, «a suggerire l'alleanza con Aldaran, e fu lo stesso Marjus a recarsi al Castello di Aldaran come ambasciatore. Credi che Beltran avrebbe avuto l'insolenza di chiedere in moglie una Guardiana se non gliene fosse stata offerta la possibilità?»
Avrei dovuto pensarci. Qualcuno doveva avere detto a Beltran che una simile offerta sarebbe stata presa in considerazione. Ma Regis aveva violato una promessa per dirmi semplicemente che mio fratello si era prestato come intermediario in un piccolo intrigo che poteva anche passare per tradimento?
«Non capisci?» mi chiese Regis. «Perché Callina? Perché una Guardiana? Perché non Diana, o Linnell, o mia sorella Javanne, o un'altra qualsiasi comynara? Beltran non avrebbe mosso obiezioni. In effetti, gli sarebbe andata bene una donna qualsiasi, purché potesse dargli il diritto di entrare in Consiglio. Ascolta, conosci la legge? Quella che dice: “Una Guardiana deve rimanere vergine, altrimenti perde il diritto di lavorare con gli schermi”?»
«Superstizioni», dissi, alzando le spalle.
«Superstizioni o no, il Consiglio le rispetta», rispose Regis. «Il fatto è un altro: con questo matrimonio si lanciano due frecce con un arco solo. Con un colpo solo, Beltran si allea al Consiglio e Callina viene allontanata in un modo sicuro, legale.»
«Comincio a capire», dissi. «Dyan e tutto il resto.»
Dopotutto, mi dicevo, c'era una cosa che a Dyan piaceva ancor meno che la presenza in Consiglio di un Alton adulto: una Guardiana Comyn poteva costituire, per lui, una minaccia ancora maggiore.
«Ma prima di celebrare quel matrimonio», conclusi, «dovranno passare sul mio corpo.»
Regis capì subito che cosa intendessi dire.
«Allora», mi disse, «sposala tu stesso, Lew, e immediatamente! Fallo in modo illegale, nella Zona Terrestre.»
Gli rivolsi un sorriso ironico e gli mostrai il mio braccio mutilato. Non avrei potuto sposarmi, secondo la legge di Darkover, finché Kadarin fosse vissuto. Una faida irrisolta passa davanti a ogni altro impegno personale, ma in effetti, come diceva Regis, per la legge terrestre potevamo sposarci.
Scossi la testa, gravemente.
«Non accetterà mai», dissi.
«Se Marjus fosse vivo!» esclamò Regis, e io mi commossi per la sincerità delle sue parole; il primo onesto rimpianto che avessi udito, anche se tutti mi avevano fatto le condoglianze. Mi commosse ancor di più per il fatto che non accennò al suo dolore personale, ma si limitò a esprimere la sua opinione.
«I Comyn avevano tanto bisogno di lui», disse. «Lew, non potresti usare un altro lettore del pensiero… per esempio me… per costituire un punto focale di quel tipo?»
«Non lo so», risposi, «ma probabilmente la risposta è no. E preferirei non fare la prova. Tu sei un Hastur, e probabilmente non corri un rischio personale, ma non sarebbe un'esperienza gradevole.» Poi aggiunsi, con severità: «Adesso, dimmi quello che volevi dirmi fin dal primo momento!»
«Il segno della morte», balbettò. Poi venne preso dal panico. «Non volevo, non intendevo…»
Avrei potuto raccogliere tutte le sue confidenze, se avessi avuto la pazienza di aspettare. Invece, feci una cosa di cui mi vergogno ancora. Con la mano buona, lo afferrai per il polso, e con una rapida torsione — una mossa che avevo imparato sulla Terra — lo spinsi contro la ringhiera. Lui fece per attaccarmi, ma, dopo un istante, lessi i suoi pensieri.
Non posso lottare con un uomo senza una mano.
Quel pensiero mi irritò ancor di più. In un istante di collera, proiettai la mia mente sulla sua e gli imposi un rapporto mentale; entrai nella sua mente senza alcun ritegno: con una rapida ricerca, presi quello che mi serviva, poi mi ritirai.
Pallido e tremante, Regis si lasciò scivolare contro la ringhiera. E io, con in bocca l'amaro di quel che avevo fatto, gli girai la schiena.
Poi, per giustificare a me stesso quello che avevo fatto, gli parlai con durezza.
«Allora sei stato tu a creare quel segno! Tu… un Hastur!»
Regis si girò verso di me, tremante di collera.
«Ti spaccherei la faccia per quello che hai fatto, se tu non fossi…» disse. «Perché l'hai fatto?»
«Ho saputo quel che dovevo sapere», risposi io, in modo sgarbato.
«Oh, certo», mormorò lui.
Poi, con la furia negli occhi e la voce incrinata, aggiunse: «È quello, che mi ha spaventato. E che mi ha spinto a cercarti. Sei un Alton, pensavo che potessi spiegarmelo.
«Nella Sala del Consiglio», proseguì, «qualcosa si è impossessato di me. Io non conosco la meccanica delle matrici, lo avrai certamente visto nella mia mente. Non so come ho fatto, né perché. Ho solo superato l'impossibilità e tracciato il segno. Pensavo di poterne parlare con te, chiederti…»