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La sua voce si spezzò. Ansimava come un bambino e tremava.

Dopo qualche momento, riprese: «Certo. Sono ancora atterrito. E potrei ucciderti per quello che hai fatto. Ma non ho un altro a cui chiedere aiuto.» Inghiottì a vuoto. «Quello che hai fatto, comunque, l'hai fatto apertamente. Posso sopportarlo. Quel che non posso sopportare è il timore che la cosa si ripeta.»

Incapace di rispondere, e pieno di vergogna, mi allontanai. Pensavo che Regis, il quale mi aveva trattato con amicizia, aveva ricevuto lo stesso trattamento che, poco prima, avevo riservato al mio peggiore nemico. Non sarei riuscito a guardarlo in faccia.

Dopo qualche istante, lui mi seguì.

«Lew», riprese, «dicevo che faremmo meglio a dimenticare tutto. Non possiamo permetterci di lottare tra noi. Non ci hai pensato? Ci troviamo tutt'e due nella stessa situazione: tutt'e due facciamo cose che non faremmo mai volontariamente.»

Tutt'e due sapevamo che non era la stessa cosa, ma potei girarmi verso di lui e tornare a guardarlo in faccia.

«Perché l'ho fatto, Lew?» mi chiese. «Puoi dirmi qualcosa?»

«Non perdere la testa», gli dissi. «Tutti abbiamo paura. Anch'io. Ma ci deve essere una spiegazione.»

M'interruppi, cercando di ricordare quanto sapevo delle Doti delle varie Famiglie. Oggi è difficile trovarle in forma pura, dopo secoli di matrimoni tra le varie Famiglie, ma Regis era fisicamente vicino alla forma Hastur pura; probabilmente lo era anche dal punto di vista mentale.

«La Dote degli Hastur, qualunque sia», continuai, «è latente in te. Forse, inconsciamente, sapevi di dover interrompere il Consiglio, e l'hai fatto in quel modo drastico.» E aggiunsi, in tono dubitativo: «Se non fosse successo… quello che è successo, potrei offrirmi di esplorarti la mente. Ma, ora, non credo che tu ti fidi di me.»

«Probabilmente, no», rispose. «Mi dispiace.»

«Non c'è bisogno che ti scusi», risposi io, sgarbatamente. «Anch'io non mi fido più di me, dopo quello che è successo. Ma una qualsiasi delle Guardiane, Ashara o Callina, potrebbe sondarti la mente e cercare di scoprirlo.»

«Ashara…» mormorò, guardando pensosamente la Torre sulla montagna. «Non so. Potrebbe essere.»

Ci appoggiammo alla ringhiera e guardammo in direzione della valle, che ormai perdeva i dettagli a causa del buio, con il calar della notte. L'aria venne improvvisamente scossa da un rumore di tuono, e un ago d'argento attraversò il cielo, seguito da una coda di cometa di vapori arroventati, per poi sparire.

«Il razzo postale», commentai, «dalla Zona Terrestre.»

«Terra e Darkover», disse qualcuno, dietro di noi. «La forza irresistibile e l'oggetto inamovibile.»

Il Reggente Hastur ci raggiunse sul balcone.

«Lo so, lo so», disse. «A voi, giovani Alton, non piace ricevere ordini. Francamente, neanche a me piace darli; sono troppo vecchio.»

Sorrise a Regis.

«Ti ho mandato via», gli disse, «per impedirti di finire nei guai insieme a Lew. Ma avrei preferito che tu fossi riuscito a mantenere la calma, Lew Alton!»

«Io dovevo mantenere la calma!»

La palese ingiustizia dell'accusa mi lasciò senza fiato.

«Lo so, lo so, sei stato provocato», disse il Reggente. «Ma se avessi controllato la tua giusta collera…» pronunciò con ironia le due ultime parole, «…Dyan si sarebbe trovato chiaramente nel torto. Invece, sei stato il primo a infrangere l'immunità dei Comyn, e questo è grave. Dyan giura che ti farà esiliare.»

Con un sorriso, gli ricordai la legge.

«Non può farlo», dissi. «La legge richiede che sieda in Consiglio almeno un erede, dotato di laran, per ciascuna Famiglia. Altrimenti, perché ti saresti preso la briga di farmi ritornare? Io sono l'ultimo Alton vivente e non ho figli. Neppure Dyan può cambiare la legge in quel modo.»

Hastur mi guardò con irritazione.

«Allora», disse, «credi di poter infrangere tutte le nostre leggi, di essere insostituibile? Rifletti bene, Lew, perché Dyan dice di avere trovato una tua figlia.»

«Mia?» feci io, con rabbia. «È una sporca menzogna! Per sei anni sono stato fuori del pianeta, e prima ero un meccanico delle matrici, con quello che comporta. E tutti sanno che sono sempre vissuto da solo.»

Mentalmente mi autorizzai a trascurare l'unica deroga. Se Diana avesse messo al mondo una mia figlia, dopo quel che era successo tra noi a Vainwal, l'avrei saputo. Saputo? Sarei stato ucciso dai suoi fratelli!

Il Reggente mi guardò con scetticismo.

«Certo, certo. Lo so. Ma prima di allora? Eri già in grado di avere un figlio, vero, prima di entrare nella Torre? Quella bambina è una Alton, Lew.»

Regis aggiunse, parlando piano: «Tuo padre non è mai stato un recluso. E Marjus… quanti anni aveva? Non potrebbe avere avuto un figlio, senza saperlo?»

Riflettei su quelle affermazioni. Mi pareva improbabile che esistesse una mia figlia. Non era del tutto impossibile, ricordando certi esperimenti sessuali della mia giovinezza, ma era difficile che fosse successo.

D'altra parte, nessuna donna di Darkover avrebbe osato sostenere che io, o i mei parenti, eravamo il padre, a meno di non esserne certa. È inutile mentire a un lettore del pensiero.

«E se chiedessi a Dyan di dimostrarmelo?» domandai. «Di farmi vedere la bambina, di dimostrarmi la sua paternità, di darle il mio posto in Consiglio, di mandarmi in esilio? Che lo faccia. Non sono stato io, a voler ritornare su Darkover. Supponiamo che gli dica di fare quello che vuole?»

«Allora», disse il Reggente, con gravità, «saremmo di nuovo al punto di partenza.»

Mi posò la mano sul braccio.

«Lew, ho lottato per farti ritornare, e questo perché tuo padre era mio amico e perché noi Hastur siamo in minoranza, in Consiglio. Ritenevo che i Comyn avessero bisogno di te. E poco fa, quando li hai sgridati per i loro litigi — “bambini che giocano”, li hai definiti — mi hai dato grandi speranze. Non farmi vergognare di me infrangendo la legge ogni momento!»

Chinai la testa, pentito.

«Cercherò di non farlo», dissi infine, in tono di sconfitta. «Ma, per la Spada di Aldones, avrei preferito rimanermene sugli altri pianeti.»

CAPITOLO 7

LA DOTE DEI RIDENOW

Dopo che gli Hastur mi ebbero lasciato, feci ritorno nelle mie stanze e riflettei su quanto avevo saputo.

Non avevo sospettato che Dyan intendesse tendermi una trappola, e c'ero caduto in pieno. E se non ero stato esiliato, dovevo ringraziare il Reggente. Fin dal mio arrivo — ora me ne accorgevo — mi avevano spinto a violare qualche legge. Una volta esiliato me, questa mia figlia (o sorellastra, o nipote) sarebbe stata una docile marionetta nelle loro mani; avrebbero avuto in Consiglio una bambina, non un uomo adulto, con tutti i propri poteri.

E Callina. L'idea che una Guardiana dovesse rimanere vergine era una superstizione, certo, ma doveva basarsi su un fondo di verità scientifica, come tutte le tradizioni dei Comyn.

I superstiziosi potevano credere quello che volevano. Ma la mia esperienza mi aveva insegnato una cosa: un lettore del pensiero, dopo avere lavorato per qualche tempo con gli schermi monitor, si accorgeva che il suo sistema nervoso e i suoi riflessi finivano per entrare in sintonia con la matrice.

I tecnici delle matrici attraversano dei lunghi periodi di impotenza, del tutto involontaria, che era una sorta di difesa naturale. Se un tecnico sconvolge le proprie reazioni nervose o il proprio equilibrio ghiandolare con le droghe o con gli strapazzi fisici ed emotivi, si trova a dover pagare un caro prezzo. Senza che se ne accorga, il suo sistema nervoso si sovraccarica fino al punto di bloccarsi e può rimanere privo di energia nel momento cruciale. Le conseguenze possono andare dall'esaurimento nervoso alla morte.