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«Tu», le chiesi, «potresti fare un duplicato della matrice di Sharra?»

«Neanch'io posso cambiare le leggi della materia e dell'energia», rispose. «Tuttavia, avrei preferito che tu non conoscessi tanta scienza terrestre, Lew.»

«Perché?» chiesi io, sorpreso.

«Perché, adesso che l'hai conosciuta, cerchi la spiegazione di ogni cosa. La tua mente sarebbe più stabile, se potessi chiamarli dèi, demoni, talismani sacri, come facevano i Comyn tanti anni fa. Sharra è un demone? Non più di quanto Aldones sia un dio», disse, con un sorriso. «Eppure, in un certo senso, sono entità viventi, anche se forse vivono solo nel mondo della mente. E non sono né entità buone né entità malvagie, anche se così possono parere nel loro contatto con gli uomini. Che cosa dice la leggenda?»

Callina sussurrò: «Che Sharra è incatenata con catene d'oro dal Figlio di Hastur, che a sua volta è Figlio di Aldones, che a sua volta è il Figlio della Luce…»

«Parole del rito!» esclamai io, con fastidio. «Semplici superstizioni!»

Il viso impassibile si voltò verso di me.

«Lo credi davvero?» mi chiese Ashara. «Che sai della Spada di Aldones?»

Inghiottii a vuoto.

«È l'arma contro Sharra», dissi. «Suppongo che sia una matrice, e che, come quella di Sharra, sia nascosta in una spada.»

Si trattava, comunque, di una discussione accademica, e lo dissi. La Spada di Aldones era nel Rhu Fead, il luogo sacro dei Comyn, ed era inaccessibile come se si fosse trovata in un'altra Galassia.

Ci sono molti oggetti come quello, su Darkover, e in genere si tratta delle antiche armi sopravvissute all'Epoca del Caos, che non possono essere distrutte senza liberare la loro potenza, ma che sono così potenti, e così pericolose, da non poter essere affidate neppure ai Comyn, neppure alle Torri.

Il Rhu Fead, la Caverna Sacra di Hali, è protetta da schermi matrice che impediscono di entrare a chiunque, tranne ai Comyn con sul braccio il sigillo del Consiglio. Per un estraneo è fisicamente impossibile entrare senza che la sua mente si riduca a un foglio bianco. Quando entra nei suoi campi di forza, una sorta di attenuatore telepatico gli cancella dalla mente tutti i pensieri, e l'estraneo non ricorda più il motivo che lo ha indotto a entrare.

I Comyn del passato, però, avevano fatto in modo che nessuno dei loro discendenti, una volta giunto all'interno, potesse prendere quegli oggetti. C'era una seconda linea di difesa, che operava in senso inverso alla prima. Nessun Comyn poteva oltrepassarla. Un estraneo — una volta entrato -avrebbe potuto prendere senza difficoltà gli oggetti del Rhu Fead, ma i Comyn non potevano avvicinarsi agli schermi matrice che li circondavano.

Dissi: «Da mille anni non c'è stato un solo Comyn privo di scrupoli che non abbia cercato il modo di oltrepassare quegli schermi di matrici».

«Ma nessuno di loro ha potuto avere al suo fianco una Guardiana», disse Callina. Guardò Ashara: «Provare con un terrestre?»

«Forse», rispose Ashara. «Almeno, un uomo di un altro mondo. Non un terrestre nato su Darkover, con la mente già assuefatta alle forze del pianeta, ma un vero estraneo. Una persona del genere potrebbe entrare dove noi non possiamo. La sua mente sarebbe del tutto isolata, rispetto a quelle forze, perché non sospetterebbe neppure la loro esistenza.»

«Proprio una cosa da nulla», commentai ironicamente. «Mi basta fare un viaggio di cinquanta anni-luce e di portarne qui uno, senza dirgli nulla di Darkover e di ciò che vogliamo da lui, e augurarmi che abbia un talento telepatico sufficiente a cooperare con noi.»

Negli occhi di Ashara mi parve di scorgere una sfumatura di disprezzo.

«Tu sei un tecnico delle matrici», disse. «Perché non servirti dello schermo?»

All'improvviso mi comparve nella mente lo strano schermo luccicante che avevo visto nel laboratorio di matrici di Callina. Allora, era davvero uno dei leggendari trasmettitori psicocinetici! Vagamente, mi parve di capire che cosa avessero in mente le due donne.

Volevano trasmettere la materia — animata o inanimata — istantaneamente attraverso lo spazio.

«Nessuno lo ha mai più fatto!» protestai io. «Da centinaia di anni!»

«So quel che Callina è capace di fare», disse Ashara, con il suo sorriso impenetrabile. «Comunque, tu e Callina siete entrati in contatto mentale, in Consiglio…»

«Un contatto superficiale», precisai io. «E ne siamo usciti esausti, tutt'e due.»

Ashara annuì.

«Perché tutta la tua energia e tutta quella di Callina», spiegò, «sono state spese per mantenere il contatto. Ma io potrei mettervi tutt'e, due in contatto focale, come tu hai fatto con Marjus quando vi siete collegati.»

Io sporsi le labbra in avanti, come se volessi fischiare. Mi pareva un po' drastica, come soluzione. In genere, solo gli Alton possono resistere a quel tipo di contatto focale profondo.

«Gli Alton e le Guardiane», precisò Ashara.

Io rivolsi un'occhiata a Callina, per comunicarle i miei dubbi, ma notai che aveva abbassato gli occhi. Era comprensibile: quel tipo di rapporto costituisce la forma più profonda di intimità. Neanch'io ero particolarmente ansioso di fare quell'esperienza; avevo anch'io i miei scheletri nell'armadio, e avevo sempre cercato di nasconderli; ero disposto, adesso, a mostrarli a Callina?

Poi fu lei stessa a scuotere la testa in segno di rifiuto.

«No!» disse, seccamente.

E io, per qualche motivo, davanti al suo rifiuto, rimasi profondamente ferito. Se io — forse — ero disposto ad accettare, perché lei doveva opporsi così decisamente?

«Non intendo farlo!» riprese Callina, incollerita, ma anche impaurita. «La mia mente appartiene soltanto a me, e nessuno, e soprattutto tu, deve violarmela!»

Non capii se si rivolgesse a me o ad Ashara, ma, per cercare di calmarla, le parlai dolcemente.

«Callina, fallo per me», le dissi. «Non possiamo amarci, per ora, ma non potresti essere mia in questo modo?»

Avevo bisogno di lei, ma Callina si irrigidì come se mi odiasse. Prese a singhiozzare.

«Non posso!» esclamò. «Non voglio! Pensavo di poterlo fare, ma ora capisco che non posso!»

Infine si voltò verso Ashara. Aveva la faccia pallida come uno straccio, gli occhi accesi.

«Sei stata tu a farmi diventare così!» la accusò. «Darei la mia vita, per liberarmi di te, per non averti mai vista, ma sei stata tu a rendermi così, e io non posso più cambiare!»

«Callina…» dissi.

«No!» rispose con voce carica di passione. «Tu non sai nulla! Non lo vorresti neppure tu, se sapessi tutto!»

«Basta», esclamò Ashara, con un tono di voce che sembrava il rintocco di una campana di ghiaccio, per ricordarci che nella Torre doveva regnare il silenzio.

Negli occhi di Callina, la fiamma bellicosa si spense.

«Come vuoi tu, allora; non posso costringerti. Farò quello che devo fare», concluse la vecchia Guardiana.

Si alzò in piedi e scese dal trono di cristallo. Sollevò le mani, azzurre come il ghiaccio a causa di quella luce innaturale, e le appoggiò sulle spalle di Callina. Poi si voltò verso di me e incrociò lo sguardo con il mio, per la prima volta. I suoi occhi glaciali, irresistibili, parvero inghiottirmi…

La stanza di cristallo svanì. Per un momento mi parve di scorgere soltanto il vuoto assoluto, come se fossi sull'orlo dell'abisso senza stelle, quello che si stende oltre il confine dell'universo; ero un'ombra fra innumerevoli altre ombre trasportate alla deriva in una nebbia pungente. Poi sentii pulsare un primo seme di forza; nel profondo del mio cervello, una scintilla, un nucleo duro si risvegliò e mi ridiede una forza che, lungo i miei nervi intorpiditi, bruciò come una fiamma. Mi vidi come una rete di fibre nervose, una rete di forza vivente.