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Poi, all'improvviso, nella mia mente si disegnò un volto.

Non potrei descrivere quel volto, anche se oggi, ormai, so che cosa era. In tutto, nella mia vita, l'ho visto tre volte, ma non esistono parole umane capaci di spiegarlo. Era bello al di là di qualsiasi immaginazione. E non era malvagio. Ma era un viso condannato, maledetto. Rimase nella mia mente per una minima frazione di secondo, poi scomparve in una fiammata. Però, per quella minima frazione di secondo, ebbi l'impressione di essermi affacciato sull'inferno.

Con un brivido, ritornai alla realtà. Ero di nuovo nella stanza di Ashara, immerso nella sua luce azzurra. Ero di nuovo lì? L'avevo lasciata? Mi girava la testa, ero confuso e disorientato; ma Callina si gettò sul mio petto, e la stretta convulsa delle sue braccia, la fragranza dei suoi capelli, la pressione della sua faccia contro di me, servirono a ridarmi l'equilibrio.

Mi guardai attorno e vidi che il trono di cristallo era vuoto.

«Dov'è Ashara?» chiesi, senza capire.

Callina si staccò da me. Da un momento all'altro, improvvisamente, aveva smesso di singhiozzare. Il suo viso era stranamente immobile, senza traccia di emozione.

«È meglio che tu non me lo chieda», mormorò. «Non crederesti mai alla mia risposta.»

Aggrottai la fronte. Non avevo idea di come potesse essere il legame tra le due Guardiane. Avevo davvero visto Ashara, o quella che mi aveva parlato era soltanto un'immagine? E anche Callina aveva visto il volto che mi era apparso per un istante, quando la mia mente si era affacciata ai margini dell'universo?

Una volta usciti dalla Torre, vedemmo che era scesa la notte; attraversammo i cortili ancora umidi di pioggia e i lunghi porticati senza scambiarci neppure una parola. Con sollievo, poi, una volta entrati nel laboratorio di Callina, potei togliermi il mantello e scaldarmi davanti al caminetto, mentre lei attivava gli attenuatori telepatici. Attraversai la sala fino a raggiungere l'immenso schermo che avevo visto il giorno precedente, e osservai con curiosità la rete di matrici di cui era costituito.

Uno schermo trasmettitore.

Accanto a esso, posata su vari strati di seta isolante, c'era la più grossa matrice naturale che avessi mai visto. Un normale tecnico delle matrici lavora sui primi sei livelli. Un lettore del pensiero può agire sul settimo e sull'ottavo. Sharra controllava nove livelli o dieci — non avevo mai approfondito questo suo aspetto — e per usarla occorrevano almeno tre menti collegate, una delle quali doveva essere quella di un lettore del pensiero. Ma non riuscivo a immaginare il livello della matrice che comandava quel particolare schermo.

Che cos'era, stregoneria, oppure scienza, ma basata su leggi fisiche sconosciute ai terrestri? E v'era davvero differenza tra le due cose, se la “stregoneria” dava un risultato prevedibile e ripetibile a volontà? E la Dote della mia Famiglia, connaturata con il mio sangue, la particolare scintilla che correva lungo i miei nervi, mi permettevano di usarla: ero un Comyn, e i Comyn erano stati creati dal dio Hastur, come dicevano alcuni — o selezionati mediante uno spietato programma genetico, nelle nostre Epoche del Caos, come dicevano gli storici — per lavorare con le matrici.

È impossibile spiegare uno schermo come quello di Callina a una persona non appartenente ai Comyn: trattandosi di un'attività fisico-mentale, una parte della spiegazione deve essere operativa, e solo un Comyn può capirla. Sarebbe come voler spiegare come si fa un nodo senza avere a disposizione un pezzo di corda… e senza avere le mani. Perciò, non starò a spiegarlo.

Per analogia, comunque, si può dire che lo schermo di Callina catturava le immagini. Era sotto un certo aspetto un duplicatore, sotto un altro una rete da pesca con cui catturare un oggetto ben determinato. Con la matrice si stabilivano le caratteristiche dell'oggetto desiderato, e lo schermo cercava un oggetto che entrasse in risonanza con quelle caratteristiche; poi lo portava a coincidere con la sua descrizione, ossia lo trasportava nello spazio davanti a sé.

Si dice che uno schermo come quello fosse stato usato dal generale Bard, all'epoca di Varzil, per trovare un sosia che avesse il suo stesso genio militare, in modo da poter combattere su due fronti, e in effetti pare che uno degli araldi di Bard fosse del tutto identico a lui. Ma in genere quegli schermi erano usati, nei tempi antichi, per trasportare da una Torre all'altra un tecnico o un meccanico delle matrici: la persona che doveva spostarsi creava una propria immagine nella Torre di destinazione, lo schermo di questa Torre cercava la persona corrispondente all'immagine — processo istantaneo, perché la persona era già nell'altra Torre, accanto a uno schermo analogo! — e quando l'originale veniva sovrapposto all'immagine, la persona prescelta giungeva nel luogo di destinazione e scompariva da quello di partenza.

Con lo stesso genere di istruzioni, lo schermo poteva essere usato per cercare il duplicato esatto di un oggetto o di una persona, oppure per cercare oggetti di cui si conoscesse la descrizione, ma non il luogo in cui si trovavano, sempre che non fossero chiusi entro uno schermo: per esempio, non poteva essere usato per prelevare la Spada di Aldones dal luogo in cui era nascosta.

Tuttavia, anche nell'epoca d'oro delle Torri e dei Comyn, per usare senza danni quel tipo di schermi occorreva un Cerchio di matrici, e anche se Ashara ci aveva garantito che io e Callina saremmo riusciti a usarla, non avevo una chiara idea dei rischi che potevamo correre.

In sostanza, avremmo agito così: con la mia capacità di leggere i pensieri, enormemente amplificata dalla matrice, avrei cercato, senza limiti di spazio, la persona da noi desiderata. Tra tutti i miliardi di menti umane e aliene esistenti su tutti i pianeti e in tutto il corso del tempo, ce n'era certamente una che servisse al fatto nostro, ossia che avesse alcune capacità e che non ne avesse, invece, certe altre.

Trovata la mente, ne avremmo costruito l'immagine nello spazio apposito, davanti allo schermo, e, approfittando della distorsione dello spazio creata dalla matrice, avremmo sovrapposto la persona alla sua immagine. A quel punto, con un blocco psicocinetico, le avremmo impedito di ritornare nel suo spazio-tempo.

I terrestri avrebbero parlato di iperspazio, viaggio attraverso la quarta dimensione, trasmissione istantanea di materia, ma queste sono soltanto parole. Nessun terrestre con una matrice sarebbe riuscito a teletrasportare un oggetto come contavamo di fare noi: tutt'al più avrebbe potuto creare una distorsione spaziale e vedere l'oggetto distante (sempre che avesse una matrice abbastanza grande; e nessuna matrice di livello superiore era mai rimasta attiva, una volta caduta in mano ai terrestri: gli schermi monitor, con la situazione di tutte le matrici, istante per istante, servivano anche a questo!) Però, una volta annullata la distorsione, l'oggetto sarebbe ritornato al suo posto. Il difficile non era trasportare un oggetto, ma toglierlo dalla sua bolla di spazio-tempo.

Mi sedetti davanti allo schermo, e cominciai a regolarne le caratteristiche, per metterle in fase con il mio schema mentale. Ruotai avanti e indietro le piccole manopole, ma non riuscii a eliminare una sfasatura di fondo.

Senza guardare Callina, le dissi: «Devi staccare lo schermo monitor, altrimenti c'è interferenza».

Lei annuì, e si avvicinò a me per disinserire il contatto con le matrici di quella parte di Darkover. Poi attese accanto allo schermo, come se aspettasse una comunicazione.

«C'è un ripetitore collegato con la Torre di Arilinn», mi spiegò.

Dallo schermo, infatti, giunse subito un leggero ronzio, come quello di un cicalino. Callina chiuse gli occhi per comunicare.

«Certo, Manica», disse poi, a voce alta, perché sentissi anch'io, «me ne rendo perfettamente conto. Ma dovrete controllarle voi, le matrici. Noi ci siamo staccati dal circuito principale. Adesso interromperemo anche il collegamento con voi.»