Oh, maledizione, pensai, irritato con me stesso. Cominciavo ad avere le allucinazioni?
«Vero. Non piace neanche a me», disse Regis, con voce pacata, al mio fianco. «E non mi piace l'atmosfera di questa sala… e di questa festa.» Tacque per un istante, poi proseguì: «Sono andato da mio nonno, oggi, e gli ho chiesto di aprire il mio laran.»
Io gli strinsi il braccio, senza parlare. Ogni Comyn, prima o poi, deve sottoporsi al doloroso procedimento di farsi imprimere nella mente le conoscenze di famiglia.
«Adesso, le cose sono diverse», disse lentamente. «O sono diverso io. Adesso so che cos'è la Dote degli Hastur, e perché in tante persone della mia famiglia è un carattere recessivo. Purtroppo, in me, non è recessivo come in mio nonno.»
Non risposi. Sapevo che avrebbe finito per accettarla, ma per il momento, quella forza, quella nuova dimensione dei suoi poteri — qualunque fosse — era ancora una dolorosa ferita nel suo cervello.
«Ti ricordi della Dote degli Alton e di quella degli Hastur?» mi chiese. «Quanto possono resistere le tue barriere? Qui potrebbe succedere il finimondo, lo sai.»
«In un affollamento come questo, le mie barriere non valgono molto», risposi.
Tuttavia, capivo che cosa intendesse dire. La Dote degli Hastur e quella degli Alton sono opposte tra loro, come due magneti della stessa polarità, che non si possono portare in contatto. Io non conoscevo la natura della Dote degli Hastur, ma da tempo immemorabile occorreva adottare grandissime precauzioni, perché un Hastur e un Alton potessero lavorare insieme in un Cerchio di matrici o in altri lavori.
Finché Regis era stato solo un Hastur latente, con la sua Dote non attiva, io potevo unirmi in rapporto mentale con lui; potevo perfino entrare a forza nella sua mente. Ma un Hastur adulto, come lui era adesso, poteva allontanare da sé la mia mente con la violenza dell'esplosione di un fulmine. Se volevamo comunicarci qualche pensiero, io e Regis potevamo ancora farlo — la normale telepatia non c'entra, con le varie Doti — ma probabilmente non saremmo potuti entrare in rapporto per lavorare insieme.
Con riluttanza, cominciai a pormi delle domande. Io ero entrato nella mente di Regis con la forza; che l'avesse fatto per proteggersi da analoghi tentativi? Non si fidava più di me?
Tuttavia, prima che potessi chiederglielo, le luci vennero spente e la cupola venne aperta: la stanza venne avvolta dalla luce della luna, che era allo zenit. «Aah!» mormorò la folla, nel vedere come le pareti di cristallo sfaccettato moltiplicavano quei pallidi raggi. Sentii che qualcuno mi sfiorava; quando mi girai, vidi Diana Ridenow.
Il suo costume — una tuta di qualche tessuto che scintillava di verde, d'azzurro e di bianco ai raggi lunari — era così aderente che sembrava semplicemente dipinto sul suo corpo, e i suoi capelli, che adesso parevano d'argento come i raggi lunari, luccicavano come gioielli. Quando mosse la testa, si levò il tintinnio di tanti campanellini d'argento.
«Allora?» mi chiese. «Sono abbastanza bella per te?»
Cercai di rispondere in modo non impegnativo, evitando il suo sorriso malizioso.
«Devo dire che è un miglioramento, rispetto ai tuoi soliti calzoni per andare a cavallo», ammisi.
Lei rise e infilò la mano sotto il mio braccio. Una mano piccola, ma robusta.
«Balli con me, Lew? È un secain.»
Indicò l'orchestra, e solo allora notai che aveva attaccato il ritmo sempre uguale, caratteristico di quella danza.
Il secain è una danza barbara, violenta, non una promenade in cui i danzatori si fanno la riverenza e si tengono per la punta delle dita. L'anno prima, io e Diana avevamo scandalizzato gli zerbinotti, le vedove nubili e le zitelle di ogni sesso ed età, ballandolo sulla luna da diporto di Vainwal, ma non avrei voluto ballarlo nel Castello dei Comyn. La pista era quasi vuota, dopo le prime note, perché le donne di Thendara sono troppo pudiche, per quell'antico e scatenato ballo delle Terre Aride.
Eppure, io ero in debito nei riguardi di Diana.
Per la media darkovana, Diana non era una ballerina particolarmente esperta. Ma era eccitata e piena di foga; continuò a sorridermi con aria stuzzicante, e io, irritato per quel suo sorrisino che dava l'impressione di sapere sempre ogni cosa, continuai a farla girare su se stessa, in un senso e nell'altro, senza pietà. Un'altra donna avrebbe urlato di smettere, ma lei, quando si fermò, si mise a ridere: come sempre, si faceva beffe della mia forza. Sotto la mia mano, scattava come una molla di acciaio temperato.
Nell'ultima figura, la strinsi più di quanto non avrebbe chiesto la danza, ma eravamo giunti a conoscere bene quella sensazione di essere in accordo, corpo e mente, più che in qualsiasi intimità fisica. Il ritmo del secain mi martellava nel sangue, e la musica pulsava nei miei sensi; quando si levò l'ultimo accordo di piatti e di tamburi, la strinsi a me e la baciai.
Il silenzio, dopo il ritmo della musica, fu come una doccia fredda. Diana si staccò da me e insieme uscimmo dalla sala.
«Mi sono chiesta una cosa», disse lei, con il tono di una bambina dispettosa. «Quando Hastur ti ha parlato di una tua figlia, ti sei chiesto se fosse mia?»
Aggrottai la fronte, irritato. Quella domanda era troppo vicina alla verità, e mi metteva a disagio. Lei rise, ma senza allegria.
«Grazie. Non è mia, se l'informazione ti può essere utile. Lew», mi chiese, «vuoi davvero Callina?»
Non era una cosa che intendessi discutere con lei.
«Perché? T'importa?» chiesi.
«Non molto», rispose. Il tono, però, non era molto convincente. «Ma penso che tu sia uno sciocco. Dopotutto, non è una donna…»
Queste parole mi sorpresero. Diana non si era mai comportata così. Con ira, dissi: «Lo è come lo sei tu!»
«Detto da te», commentò lei, «fa ridere.»
«Diana», la minacciai, «se intendi fare una scenata, proverò molto gusto a tirarti il collo.»
«Oh lo so!» ribatté lei, mettendosi a ridere in modo isterico. «Ed è proprio quello che mi piace, di te! La tua soluzione per tutti i problemi! Uccidere qualcuno. Tirare qualche collo! Ma so una cosa, con certezza: Callina è finita, e Ashara dovrà rassegnarsi a rimanere senza la sua pedina!»
«Di che diavolo parli?» chiesi io.
Diana rideva ancora, istericamente.
«Lo vedrai!» disse. «Potevi essere tu, e avresti risparmiato loro il fastidio! Tu e i tuoi sciocchi scrupoli! Invece hai ingannato te stesso, e soprattutto Callina! O forse dovrei dire che, rifiutandoti, hai fatto il gioco di Ashara.»
Le afferrai il braccio con la stessa presa che avevo usato su Regis e la feci girare su se stessa. Le strinsi il polso finché non si lamentò del dolore.
«Smettila! Sei il solito bruto, mi stai spaccando il braccio! Maledizione, Lew, non lo dico per scherzo, mi fai male!»
«Meriti di soffrire», le dissi, selvaggiamente. «Dovresti essere presa a bastonate! Che cosa vogliono fare a Callina? Dimmelo, oppure, ti giuro, Diana, non ho mai usato la mia Dote su una donna, ma te lo strapperò dal cervello, se sarò costretto!»
«Non puoi!» Adesso eravamo a faccia a faccia, e la nostra furia era tale che ci pareva non esistesse altro. «Non te ne ricordi?»
«Maledizione!» Era vero, e la mia ira non fece che aumentare. Di tutte le persone che esistevano al mondo, soltanto Diana era completamente protetta, nei miei riguardi. E questo per ciò che c'era stato tra noi su Vainwal. Ed era necessario che lo fosse.
Ci sono cose che nessun uomo, e nessun lettore del pensiero, può controllare. Quel tipo di contatto, nei momenti di intimità, è una di esse. E Diana era una Ridenow, e perciò era ipersensibile. Per proteggerla, le avevo dato alcune difese contro di me. Non potevo prendere nulla, dalla sua mente, che lei stessa non fosse disposta a darmi. Mi era impossibile. Avrei potuto toglierle la barriera, ma l'avrei uccisa. Impossibile fare in altro modo.