Imprecai, perché non potevo fare niente. Diana mi abbracciò e mi fissò negli occhi.
«Sei davvero un cieco e uno scioccone!» mormorò, in tono seducente. «Non riesci a vedere quello che hai davanti agli occhi, e adesso ti getteresti di petto, come prima, e rovineresti tutto. Non puoi fidarti di quello che ti dico?»
Era addosso a me, e il contatto mi faceva girare la testa. Non appena me ne resi conto, la spinsi via, sgarbatamente.
«Con queste moine», la avvertii, «non otterrai niente.»
Aggrottò la fronte.
«Va bene, allora», disse. «Circola una voce… una voce a cui tutti prestano fede… che soltanto una vergine può avere certi particolari poteri di Gallina. E c'è anche, diciamo, una fazione convinta che tutto andrebbe meglio se Callàia dovesse perdere quei certi poteri. E siccome la tua condotta è stata irreprensibile, c'era un solo modo di porre rimedio alla situazione…»
La fissai a occhi sgranati, e solo allora cominciai a rendermi conto del significato delle sue parole. Violentare Callina per impedirle di fare la Guardiana. Avevano tentato di toglierle i poteri di Guardiana facendole sposare Aldaran, ma lei si era espressa chiaramente: il suo non sarebbe stato un vero matrimonio. E Aldaran non avrebbe insistito sulla consumazione delle nozze, perché mirava solo al seggio in Consiglio. Non potendo contare su Aldaran, avevano provato con me, quando Lerrys aveva cercato di convincermi a sposarla clandestinamente. Non potendo servirsi di me, ora avevano trovato un uomo disposto a violentarla. Era una cosa orribile! E c'era un uomo, su tutto il pianeta, che avrebbe osato…
«Diana, se questa è la tua idea di una barzelletta sconcia…»
«Sì, è una barzelletta», rispose lei, «ma riguarda Ashara.»
S'interruppe, con aria grave.
«Lew, devi fidarti di me», disse poi. «Non posso spiegarti come stanno in realtà le cose, ma non devi interferire. Callina non è come credi, niente affatto. Lei non è…»
Le diedi uno schiaffo, forte, e lei barcollò.
«Questo», le dissi con ira, «era già da un bel po' che te lo meritavi.»
All'improvviso comparve Regis Hastur. Mi lesse nei pensieri e impallidì.
«Callina!» esclamò.
Diana ci fissava a bocca aperta, massaggiandosi la guancia su cui le avevo dato lo schiaffo; ora si gettò su di me.
«Aspetta!» mi implorò. «Aspetta! Non capisci…»
La allontanai da noi, con un'imprecazione. Regis si mantenne al mio fianco, e alla fine ansimò: «Chi potrebbe osare? Ricorda, è una Guardiana… chi oserebbe toccarla?»
Mi fermai.
«Dyan», dissi poi, tranquillamente. «Che cosa ha detto, in Consiglio? Che nessuno sarebbe sopravvissuto per toccarla la terza volta. Se quella era la prima…»
Eravamo in contatto mentale superficiale. Lo toccai per fermarlo, e lui mi guardò con una smorfia; la sua mente si ritirò, come quando si abbassa la mano tesa.
«Lo pensavo anch'io», dissi. «Quando ci tocchiamo, c'è qualcosa che ci sottrae la nostra forza. Hanno introdotto nel castello una matrice-trappola, ottavo o nono livello, del tipo che assorbe energia vitale…»
Mentre lo dicevo, rimasi a bocca aperta.
«Sharra!» esclamai.
«Lew, stiamo alimentando quella maledetta matrice?»
«Mi auguro di no», risposi. «Puoi entrare in contatto con Callina?»
Mi accorsi che Regis, quasi meccanicamente, cercava di mettersi in contatto con lei, e mi affrettai ad alzare le barriere.
«Non farlo!» esclamai.
Quel contatto mi causava un tormento incredibile; eppure dovevo sopportarlo almeno ancora una volta, pericolo o no.
«Regis», proseguii, «quando te lo dico, collegati con me… per un millesimo di secondo. Però, non entrare in rapporto! Se tu lo facessi, il contatto ci brucerebbe tutt'e due! Ricorda che tu sei Hastur e io Alton!»
Regis inghiottì a vuoto.
«È meglio che il contatto lo faccia tu», disse. «Io non riesco ancora a controllarlo.»
Per un istante, allora, entrammo in contatto, per scrutare l'intera folla. Non durò neppure un centesimo di secondo, ma fu sufficiente per allontanarci l'uno dall'altro come se fossimo stati colpiti dal fulmine. Se fosse durato un decimo di secondo, avrebbe consumato ogni scintilla d'energia contenuta nei nostri corpi. Colui che controllava la matrice-trappola doveva avere visto un lampo, come quando un'astronave viene rivelata su uno schermo radar.
Ma trovai quello che cercavo. In qualche punto del castello, c'era una matrice-trappola — questa volta non era Sharra! — che era puntata, con un'intensità incredibile, sull'anello più debole dei Comyn: Derik Elhalyn.
E io, che l'avevo creduto semplicemente ubriaco!
La voce spessa, male articolata; l'irritante confusione nei ragionamenti: tutti segni che denunciavano chiaramente la presenza di una matrice non autorizzata. E chiunque la manovrava era insieme un pervertito e un sadico, perché intendeva far violentare Callina dall'innamorato di Linnell!
Cercai di entrare in contatto con Callina, ma incontrai soltanto il vuoto. È orribile sentire soltanto un posto vuoto nel meccanismo fluido dello spazio, dove in precedenza c'era una mente viva. Neppure la morte pareva capace di cancellare una persona così completamente.
Regis mi guardò. Era teso e disperato.
«Lew, se l'ha toccata…» mormorò.
«Non agitarti», risposi io, pensando a quel che era successo a Lerrys Ridenow quando era venuto a trovarmi con la sua proposta. «Derik non lo sa; non saprà mai quello che ha fatto sotto l'effetto della matrice. Senti, ho bisogno del tuo aiuto. Voglio entrare nella mente di Derik per annullare l'effetto della matrice-trappola.»
Per la prima volta nella mia vita non rimpiansi di avere la Dote degli Alton e di poter imporre con la forza un rapporto mentale… e di poter entrare in una matrice senza la mezza dozzina di strumenti che sarebbe stata necessaria a un normale tecnico delle Torri.
«Quelle cose sono infernali, Regis», continuai. «Perciò, quando io l'avrò sollevata, tu dovrai cercare di spezzarla. Ma non sfiorare né me né Derik, perché potremmo morire tutt'e tre.»
Era un rischio disperato. Nessuna persona sana di mente si sognerebbe di entrare in una mente controllata da una matrice-trappola: è come entrare in una strada buia, piena di belve feroci pronte ad assalirti. Io avrei dovuto abbassare tutte le mie barriere, e fare affidamento su un Hastur inesperto nell'uso dei propri poteri, che avrebbe potuto uccidermi con un contatto sbagliato.
Ogni mio istinto gridava di no, ma io protesi la mia mente e mi concentrai su Derik.
E notai che, come mi aspettavo, era la stessa mente che aveva controllato Lerrys.
Derik, come un uomo che sente il taglio del bisturi attraverso i fumi di un'anestesia incompleta, si divincolò per cercare di fuggire, ma non lo lasciai muoversi e infilai la mia forza come un cuneo, tra la mente e la matrice che la bloccava.
Dietro, come un uomo che osservasse in uno specchio una luce che non osava guardare direttamente, c'era Regis; aveva afferrato la forza estranea e la spezzava, un filo alla volta, mente io sollevavo, maglia dopo maglia, la rete telepatica dal cervello di Derik.
Adesso però la matrice cercava di impadronirsi anche di me. Come un uomo che osserva su uno schermo due astronavi che si combattono, adesso l'operatore della matrice proibita osservava il duello fra noi tre, e forse era già pronto con un'altra arma. La fretta e la necessità mi costringevano a non badare alle sofferenze che davo a Derik; sapevo però che se Derik fosse stato in sé, mi avrebbe ringraziato di quello che facevo.