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Altre illusioni, naturalmente, e poco più tardi, infatti, ricomparve Kathie, che ci mostrava con aria trionfale una spada infilata nel fodero.

CAPITOLO 14

LA MATRICE VIVENTE

Proprio come pensavo, la Spada di Aldones era una vera spada: lunga e lucente, dall'aspetto mortale, e di una tempra così fine che, al confronto, la spada che portavo al fianco sembrava di latta. L'impugnatura era avvolta nella seta isolante, ma attraverso di essa si scorgeva il luccichio delle gemme.

Sembrava un duplicato della spada di Sharra, ma ora che l'avevo vista, la spada di Sharra mi parve solo un'imitazione dozzinale della meravigliosa spada che avevo in mano.

Non era un semplice travestimento in cui nascondere una matrice; l'intera spada era una matrice. Pareva possedere una vita autonoma: nel tenerla in mano, sentivo scorrermi lungo il braccio un fremito — non sgradevole — di potere. Strinsi sotto l'ascella il fodero e cominciai a sfoderare lentamente l'arma…

«No!» mi disse Callina, come per avvertirmi di un pericolo, e mi mise la mano sul braccio. Per un momento, mi chiesi che cosa volesse; poi le obbedii e rinfoderai l'arma.

«Abbiamo finito», dissi. «Affrettiamoci a uscire.»

Quando uscimmo dalla caverna, il sole dell'alba illuminava il lago e — cosa assai più inquietante — l'acciaio di alcune lame. Kathie emise un grido di terrore nel vedere i tre uomini che venivano verso di noi.

Tre uomini? No, due uomini e una donna. Kadarin, Dyan, e tra di loro, sottile e fremente come una fiamma scura, c'era Thyra Scott che mi sorrideva, come per sfidarmi a parlarle o a colpirla. Io presi il coltello che portavo alla cintura. Thyra mi guardò senza battere ciglio, e sollevò il collo come se non avesse alcun timore di quella lama.

La mia mano parve aprirsi da sola, e il coltello cadde a terra.

«Va' via da me, strega!» le gridai.

La sua risata impudente parve evocare milioni di fantasmi, ma, quando parlò, la sua voce era dura come l'acciaio.

«Che cos'hai fatto a mia figlia?» chiese.

«Mia figlia», le risposi. «È al sicuro. Ma non puoi averla.»

Dyan fece un passo avanti, ma Kadarin lo prese per il gomito e lo fermò.

«Aspetta», gli disse.

Thyra disse: «Siamo disposti a trattare. Dammi quello che hai preso là dentro, e sarete liberi».

«Saremo liberi anche senza darvi niente», dissi io.

Kadarin impugnò la spada. Come avrei dovuto prevedere, era quella della matrice di Sharra.

«Lo credi davvero?» mi disse, a bassa voce. «Farai meglio a consegnarmelo. Io ho sempre intenzione di ucciderti, ma oggi non potrebbe essere un onesto duello, nelle tue condizioni.»

Con il mento, indicò la fasciatura che avevo sulla testa, poi mi guardò con leggero disprezzo dalla testa ai piedi»

«Non provarci», concluse.

«Suppongo», dissi io, «che qui attorno, nascosti dietro gli alberi, ci saranno i tuoi amici, gli uomini delle foreste, con la tua solita cavalleresca proporzione di venti a uno.»

Kadarin annuì.

«Hanno l'ordine di non toccarli», disse, «perché tu sei mio. Ma le donne…»

«Va' al diavolo!» ringhiai, estraendo la spada e scagliandomi contro di lui,

Nello stringere l'impugnatura sentii un'intensa corrente di energia scorrere in me. Il sangue mi martellava alle tempie con tanta forza che credevo di svenire. Kadarin estrasse la spada di Sharra. Le due lame si incrociarono…

E la Spada di Aldones avvampò di fuoco azzurro! Come una creatura vivente, mi sfuggì di mano e cadde a terra, avvolta da una fiamma blu che la copriva completamente. Tutt'e due le spade giacevano adesso a terra, incrociate, avvolte in un intenso fuoco blu. E Kadarin barcollava.

Anch'io mi sollevai in piedi. Tutt'e due fummo costretti a fare un passo indietro. Nessuno di noi osava avvicinarsi alle due spade.

Ma Kathie corse in mezzo a noi e afferrò entrambe le spade. Per lei, credo, erano due semplici armi. Ne prese una con la sinistra, l'altra con la destra, e le staccò l'una dall'altra. Le fiamme blu si spensero.

«Inutile», mi disse Kadarin, scuotendo la testa. «Non sacrificare stupidamente la vita. Ridammi la matrice di Sharra e vattene. Probabilmente non riusciremmo a toglierti la Spada di Aldones, ma possiamo toglierti quella di Sharra. Puoi uccidere me, Dyan, Thyra… ma non puoi ucciderli tutti!»

Naturalmente, non avevo alcuna scelta. Dovevo proteggere le due donne.

«Dategli la spada, Kathie», dissi alla ragazza, dopo qualche istante. Era soltanto una situazione di stallo. La vera lotta sarebbe venuta più tardi.

«Dargliela? Adesso?» fece lei, sorpresa.

«Non sono un eroe», dissi con ira, «e voi non avete mai visto combattere gli uomini delle foreste.»

Le tolsi di mano la matrice di Sharra. Dyan si fece avanti, ma Kadarin alzò il braccio per fermarlo.

«Non tu!» esclamò.

Ero fortunato a dover trattare con Kadarin. Quando fosse giunto il momento del duello, avremmo lottato a morte, ma sarebbe stata una lotta onesta.

«Possiamo andare», dissi. «Mi fido della sua parola.»

Ma Thyra si gettò su di me, con in mano il coltello. Io mi girai, un istante troppo tardi; lei mi piantò la lama nel fianco.

Sollevai il braccio e la colpii sulla faccia, violentemente, facendola rimanere stordita. Poi mi sedetti a terra e mi portai la mano alla ferita. La ritrassi sporca di sangue.

Sentii che Kadarin gridava come un forsennato; vagamente, vidi che afferrava Thyra e che la scuoteva con violenza, per infine gettarla a terra. Lei non si rialzò, e continuò a gemere.

Thyra ha violato la parola che lui mi aveva dato, pensai.

Poi persi i sensi.

Quando ripresi conoscenza, sentii solo un suono basso, cadenzato, fortissimo. Mi accorsi di essere disteso sulla schiena e di avere la testa sulle ginocchia di Kathie.

«Cercate di non muovervi», mi disse. «Stiamo tornando a Thendara in elicottero.»

«Non farlo parlare, Kathie», disse Callina.

Feci per prenderle la mano, ma quelle che toccai erano solo le dita gelide di Ashara, che erano come catene di ferro attorno ai miei polsi, e nella penombra della carlinga scorsi solo i suoi occhi di ghiaccio.

Poi, con un sobbalzo, mi svegliai del tutto; qualcuno mi aveva sfiorato la mente. Marja! Feci per mettermi in contatto con lei, ma al suo posto trovai solo uno spazio vuoto…

Per un momento, riuscii a liberarmi la mente dal delirio. Naturale, che non potessi mettermi in contatto con Marja, dolorante com'ero. Non volevo che condividesse il mio dolore.

Ma la mente di un uomo è così sola, chiusa entro le ossa del cranio.

Con questo pensiero scivolai di nuovo nell'incoscienza.

Stavo camminando…

Qualcuno mi teneva in piedi, con il mio braccio sulle spalle, e dopo un attimo sentii la voce di Kadarin.

«Non preoccupatevi! È in grado di camminare», diceva. «È solo un graffio, la lama è scivolata sulle costole…»

I miei occhi si rifiutavano di mettersi a fuoco. Poi un'altra voce.

«Buon Dio!» esclamò qualcuno. «Entrate qui dentro, sedetevi!»

Poi il giramento di testa mi passò. Ero nel quartier generale terrestre, e dalla finestra vedevo lo spazioporto, a una quota molto più bassa della mia. Davanti a me, fermo accanto a un'ampia scrivania dal ripiano di cristallo, c'era Dan Lawton, che mi fissava stupito e preoccupato. Kadarin aveva ancora il mio braccio sulle spalle e mi teneva in piedi. Io mi affrettai a staccarmi da lui; poi, da dietro di me, entrò nel mio campo visivo Regis Hastur, che si avvicinò, mi prese per le braccia e mi fece sedere.

«Chi diavolo siete?» chiedeva Lawton.

Kadarin gli rivolse un minuscolo inchino.

«Robert Raymon Kadarin, al vostro servizio. E voi?»

Dietro di noi, una porta si spalancò; sentii la voce di Kathie.