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Poi si voltò verso di me, e io, senza una parola, capii quello che voleva; gli diedi la pistola di Rafe.

«Che cosa…?»

Regis disse in fretta, interrompendo le proteste di Lawton: «Questa è una cosa che riguarda i Comyn, e, con le migliori intenzioni del mondo, potreste solo esserci d'impaccio, e non potreste aiutarci. Rafe, vieni anche tu».

Kadarin si girò verso Rafe.

«Imbecille, lo fa per Marja! Va' con lui!»

Uscirono insieme. Le grida isteriche non erano ancora cessate. Kadarin pareva voler scattare da un momento all'altro; alla fine non riuscì più a resistere e corse alla porta.

«Devo andare anch'io!» disse a Lawton, voltando per un momento la testa nella sua direzione, poi si lanciò lungo il corridoio.

Lawton mi afferrò per il braccio.

«No, tu non ci vai!» mi disse. «Cerca di ragionare! Non riesci neppure a stare in piedi.»

Mi costrinse a sedermi.

«Perché sono corsi via così di fretta?» chiese. «Chi è Marja?»

Poi le grida cessarono bruscamente, come se fosse scattato un interruttore, e scese un silenzio ancor più pauroso. Con un'imprecazione, Lawton uscì dalla stanza, lasciandomi solo, nella mia sedia, a imprecare tra me e me perché mi girava la testa e non avevo la forza di alzarmi.

Nel corridoio si levarono grida d'allarme, richiami ed esclamazioni, e prima che riuscissi a capire che cosa fosse successo, entrò di corsa Diana.

«Ti hanno lasciato qui!» gridò con ira. «Che cosa ti ha fatto, quella strega dai capelli rossi? E hanno dato un sonnifero a Gallina… Lew, Lew, hai tutta la camicia sporca di sangue!»

Si inginocchiò accanto a me; la sua faccia era bianca come la veste che indossava. Dopo un momento fece ritorno Lawton, infuriatissimo, e si fermò davanti a me.

«È sparita! Quella Thyra è sparita, da una cella dalle pareti di acciaio, con guardie che la sorvegliavano da tutti i lati! E questo succede nonostante la presenza di un meccanico delle matrici appartenente ai Comyn…»

Poi vide Diana e aggrottò la fronte.

«Ti conosco», le disse. «Sei la sorella di Lerrys Ridenow. Che cosa ci fai, qui dentro?»

«Al momento», gli rispose lei, al colmo dell'irritazione, «cerco di accertarmi delle condizioni di Lew… cosa di cui nessuno si preoccupa!»

«Sto benissimo», mormorai io, irritato da quelle sollecitudini che mi facevano sembrare più malato di quel che ero. Tuttavia, lasciai che Diana mi portasse al piano del Servizio Medico, dove un dottore grasso, in camice bianco, brontolò sui maledetti pianeti incivili dove lo costringevano a passare il tempo a ricucire ferite di coltello.

Mi disinfettò con un liquido che bruciava come la pece dell'inferno, mi scottò con le sue luci ultraviolette, mi fece bere una medicina rossa e appiccicosa che mi bruciò in gola e mi fece girare la testa, ma che dopo qualche momento mi tolse il dolore. Quando anche la testa smise di girarmi, riuscii finalmente a pensare all'accaduto.

«Dov'è Callina Aillard?» chiesi al medico.

«Qui da noi», mi rispose il dottor Forth (lessi il nome sul tesserino che portava sul petto). «In questo momento dorme. Era debole e tendeva a svenire; le ho fatto un'iniezione di hypnal e l'ho fatta mettere nella corsia delle donne.»

«Non potrebbe essere in trance da shock?» chiesi io.

Lui infilò nello sterilizzatore gli strumenti che aveva usato per medicarmi.

«Non saprei dirlo», rispose. «Vi ha visto mentre vi pugnalavano, no? Alcune donne reagiscono in quel modo.»

Quel medico era un imbecille, decisi. Le donne darkovane non svengono per qualche goccia di sangue. Che cosa faceva sul nostro pianeta, se non era in grado di riconoscere uno shock da matrice? E se aveva dato un sedativo a Callina, io non sarei riuscito a farla uscire dallo shock finché tutto il sedativo non fosse stato eliminato.

«Forse», mi disse Diana, «è meglio che ti parli di Callina, prima che si svegli. Ma non ora.»

Quando tornammo nell'ufficio di Lawton, il Legato aveva messo in azione tutto il suo dispositivo di ricerca. Il tempo si trascinò lentamente. Io attesi con impazienza che succedesse qualcosa.

A un certo momento Lawton diede voce a tutte le sue perplessità con una serie di domande.

«Maledizione!» esclamò. «Non ho ancora capito come la figlia di Marshall sia arrivata qui da Samarra. E non ho ancora capito come siate collegati… tu, Rafie, questa Thyra, Kadarin, siete fratelli, sorelle, cugini e via discorrendo. E adesso questa Thyra mi sparisce dalla cella come se si fosse dissolta nell'aria! Sei stato tu, a portarla via di qui, con qualche tua stregoneria?»

«No, non sono stato io.» Per me, Thyra poteva rimanere in prigione fino alla consumazione dei secoli.

Quando l'effetto del narcotico cominciò a svanire, tornai a sentire il dolore della ferita, ma ancor più profonda era l'orribile sensazione che qualcosa mi fosse stato strappato… e io non osavo chiedermi che cosa fosse.

Il rosso sole di Darkover aveva raggiunto il punto più alto e cominciava già a scendere quando sentii arrivare qualcuno che trascinava i piedi per la stanchezza; dopo qualche istante entrarono Regis, Rafe e Kadarin.

Regis era drammaticamente cambiato, in quelle poche ore. Aveva sangue sulla faccia, sangue sulla manica, ma la sua maturità era qualcosa di più profondo della sua prima vera lotta. L'ultima traccia del ragazzo era sparita, e quello che mi guardava con disperazione era un uomo, e un Hastur.

«Siete ferito!» esclamò Lawton, con il tipico orrore dei terrestri nei confronti delle ferite inflitte volontariamente.

«Poca cosa», rispose lui. «Più che altro, mi ha tagliato la camicia. Ho lottato contro Dyan.»

«È morto?» chiesi io.

«No, maledizione!»

Lawton chiese: «Kadarin! Dov'è finita quella donna che era con voi?»

Kadarin sgranò gli occhi, allarmato.

«Thyra? Non è qui da voi? Per tutti gli inferni di Zandru, come posso sapere…?»

Sollevò le mani e si coprì la faccia. Poi si girò verso di me. Non badò assolutamente alle altre persone che si trovavano nella stanza, come se fossero state su un altro pianeta, e mi fissò con un'intensità che cancellò gli anni, riportandomi all'epoca in cui eravamo amici, non nemici giurati.

Senza voce, mormorai: «Bob, che cosa c'è? Che cosa è successo?»

Fece una smorfia.

«È Dyan!» disse. «Che Zandru lo faccia frustare dai suoi scorpioni! Che Naotalba gli torca i piedi per sempre, nel suo inferno! L'ha portata dentro Sharra… La mia piccola Marguerhia.»

La voce gli si incrinò. Le sue parole si incisero nella mia mente come acido. Dyan, con la matrice di Sharra. Marja, che era solo una bambina, ma che era una Alton, una telepatica. E il vuoto nel luogo dove c'era in precedenza la bambina, il senso di una lacerazione, di uno strappo.

Allora, era morta.

Marjorie. Marjus. Linnell.

E adesso Marja.

Lawton non insistette nel chiedere spiegazioni. Doveva avere capito che stavamo attingendo alle nostre ultime riserve di energia. Ma io continuai a fare domande come se tutto fosse ancora importante.

«Andrés?» chiesi.

«Dyan l'ha lasciato a terra, convinto che fosse morto, ma probabilmente ce la farà.»

Era una feroce consolazione sapere che Andrés l'aveva difesa con la propria vita.

«E Ashara?» domandai.

Diana si alzò, serrò strettamente le labbra in una smorfia. Ci eravamo dimenticati della sua presenza.

«Regis! Fermali! Vado alla Torre!» disse.

«A fare che cosa?» gridai io, ma lei era già uscita.

Lawton disse con aria cupa: «Per prima cosa, occorre arrestare Dyan. Se ha la bambina…»

Kadarin lo interruppe.

«Non potete!» disse. «Ormai non c'è modo di togliergli la matrice di Sharra. L'ho posseduta abbastanza a lungo per saperlo. Dyan l'ha potuta togliere agli Alton soltanto perché non sapevano proteggersi. Nessuno potrebbe toglierla a…»