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Kadarin s'interruppe e gonfiò il petto.

«Lawton! E voi tutti!» riprese. «Dovete essermi testimoni! La sua vita è mia, dove e quando potrò ucciderlo, con una lotta onorevole o disonorevole, la sua vita è…»

«Mia!» lo interruppi io. «Marja è mia figlia! E chi ucciderà Dyan dovrà vedersela con me!»

«Voi due maniaci!» esclamò Lawton. «Per prima cosa, cerchiamo di catturarlo, prima che litighiate per il privilegio di ucciderlo!»

Kadarin fece un gesto che aveva una ferocia animalesca.

«Se scatenerà Sharra, non contate su di me!» disse. «Io sono il suo principale fulcro, e mi troverò proprio al suo interno!»

Regis si girò verso di me.

«Allora, Lew», disse, «dovrai essere tu. Tu hai toccato Sharra, ma sei anche legato ai Comyn. Se potessimo metterti in rapporto da qui, potresti entrare nella matrice di Sharra…»

A quel punto, però, crollai.

«No!» gridai. «No!»

Per me, potevano morire tutti, prima di costringermi a farlo; che m'importava, se Sharra avesse distrutto Darkover? Che mi rimaneva da perdere? Strappai la pistola dalla cintura di Regis e tolsi la sicura.

«Prima», gridai, «mi faccio saltare le cervella!»

Regis mi afferrò il polso, con forza. Per un attimo lottammo follemente, ma lui aveva due mani; il rinculo della pistola mi fece perdere l'equilibrio, ma il proiettile colpì inoffensivamente la finestra, con uno scoscio di vetri rotti. Regis riuscì finalmente a strapparmi di mano la pistola.

«Sei pazzo!» disse. Gettò la pistola a Rafe. «Prendila. È tua, no? Tienila. Ultimamente, è passata per troppe mani. Un pazzo è sufficiente!»

Imprecando, Lawton si mise a prendere a calci le schegge di vetro.

«Dovrei sbattervi tutti in prigione», disse. «Rafe, chiama qualcuno a mettere a posto il vetro, e porta Alton al piano di sotto. Ha di nuovo perso la testa.»

Mi alzai in piedi, ma persi l'equilibrio e dovetti afferrarmi alla sedia.

«Devo considerarmi prigioniero?» chiesi.

«Diamine, no!» rispose. «Ma se tu dovessi uscire in questo momento, mi sveniresti sul marciapiede! Usa la testa. Va' in infermeria! Ti faremo sapere quando avremo bisogno di te.»

All'improvviso, tutta la mia collera si dissolse, lasciandomi vuoto e confuso. Kadarin si alzò e si avvicinò a me.

«Tregua, Lew», disse, tranquillamente. «Marja era anche mia. In questo momento, non possiamo fare molto. Sei esausto. Forse, più tardi, potremo trovare il modo di staccarmi da quella infernale matrice prima che Dyan, con una fiammata, ci distrugga tutti.»

Incrociò lo sguardo con il mio: nei suoi occhi non c'era traccia di odio. Anche il mio era svanito. Incespicando, accettai il suo braccio.

«Tregua», dissi.

Così, fu Kadarin ad accompagnarmi nei locali del Servizio Medico e poi nella corsia ospedaliera. Sedetti sulla brandina, privo di emozioni, con i nervi a fior di pelle e senza barriere mentali. Mi chinai per togliermi gli stivali.

«Ti serve aiuto?» mi chiese Kadarin.

Non risposi alla sua domanda, e invece gli chiesi, direttamente: «Pensi che Dyan scatenerà Sharra?»

«Sì, ne sono maledettamente sicuro», rispose.

Mi sembrava un'esperienza assurda. Per sei anni, il mio principale desiderio era stato quello di uccidere Kadarin. Mi ero immaginato mille volte la scena della sua uccisione, e invece ci parlavamo tranquillamente ed eravamo dalla stessa parte. Era un'esperienza sgradevole, ma, in fondo, sensata. Suppongo che questa sia la maniera terrestre di fare le cose.

«Devo andarti a prendere qualcosa in infermeria?» mi chiese a un tratto.

«No.» E aggiunsi, con irritazione: «Grazie».

Poi lo fissai di nuovo. Sapevo che non si sarebbe abbassato a mentirmi.

«Bob, è stato per tuo ordine che Marjorie è stata… spinta… nel fuoco di Sharra, quell'ultima volta? L'hai fatto per vendicarti di me? Sapendo…» inghiottii a vuoto, «… che la cosa l'avrebbe uccisa?»

«E perché», ribatté lui, «avrei dovuto uccidere lei… per vendicarmi di te

Aveva rigirato la domanda contro di me, con una sincerità di cui non potevo dubitare. Era la stessa dolorosa domanda che mi aveva tormentato per sei anni.

«Lew, io conoscevo Sharra come nessuno l'ha mai conosciuta», mi rispose. «Non c'è mai stato pericolo, per nessuna delle ragazze, finché la tenevo sotto controllo. Sai che Thyra era mia moglie; eppure, sono sempre riuscito a mantenerla al sicuro.» Il suo tono era amaro e triste. «Ci saranno al massimo dieci uomini che sanno determinare i limiti di sicurezza per una donna che hanno amato, ma io l'avevo fatto per Thyra! E Marjorie…»

Il suo volto era così pieno di dolore che ebbi quasi pietà di lui; anch'egli aveva abbassato le barriere, e la violenza del suo dolore bruciava dentro di me. Non sarebbe mai riuscito a liberarsi di quella pena e di quel dolore.

«Marjorie era una bambina, pensavo sempre. Non me l'aveva detto! Giuro che non immaginavo che tu fossi il suo amante! Lo giuro!»

Io seppellii la mia faccia nel cuscino, incapace di sopportare tanto dolore, ma Kadarin proseguì.

«Così, lei entrò in Sharra, e tu sai che cosa è successo. Qualsiasi donna sarebbe morta, se fosse passata dagli abbracci dell'amante al polo di una simile forza, e io ti ho odiato per quello che avevi fatto…»

Poi, la sua voce si addolcì, con grande compassione.

«Ma non pensavo», proseguì, «che tu non sapessi. Diavolo, anche tu eri appena un ragazzo! Due bambini, tu e Marjorie, e io non vi avevo neppure avvertito. Per tutti gli inferni di Zandru, Lew: se parli di vendetta, la tua l'hai avuta!»

Poi, con calma glaciale, aggiunse: «Una volta ho chiesto la tua vita. Ora te la rendo».

Lo guardai, con stupore. Aveva chiesto la mia vita: un impegno solenne, che secondo la legge di Darkover non si sarebbe potuto annullare, finché non fosse morto uno di noi. Se un altro mi avesse ucciso, lui sarebbe stato moralmente obbligato a cercare e a uccidere il mio assassino. Ma la legge di Darkover stava crollando, e noi eravamo in mezzo ai calcinacci. Senza riconoscere la mia voce, risposi: «E io la accetto da te».

Con grande serietà, ci stringemmo la mano.

«Spiegami una cosa», gli dissi, stancamente. «Perché la figlia di Thyra è mia?»

Sulla sua faccia magra comparve un'espressione ironica.

«Pensavo che ormai l'avessi capito», disse. «Speravo in un figlio telepatico, con la Dote degli Alton.»

Maledetto insolente!

Continuò, tranquillamente: «Thyra non me l'ha mai perdonato. Ero così compiaciuto di Marja che lei era gelosa, si rifiutava di tenere la bambina dove io potessi vederla…»

All'improvviso, fece una smorfia.

«Thyra ne morirà! Le avevo giurato che Marja non sarebbe mai stata usata come pedina, ma non sono neppure riuscito a proteggerla. Thyra aveva sempre finto di odiare la bambina, perché non la usassero per ricattarla! Dèi! Grandi Dèi! Tutto quello che amo, tutte le persone che amo, le faccio soffrire o le uccido!»

Io rabbrividii sotto un dolore così disperato. Poi, bruscamente, Kadarin mi girò la schiena e uscì, sbattendo la porta con tale violenza da far tremare le pareti.

CAPITOLO 15

LA SPADA DI ALDONES

Credo di avere dormito.

Alla fine aprii gli occhi nella mia spoglia stanzetta dell'infermeria e vidi Callina seduta accanto a me. I suoi occhi erano pieni di lacrime; mi prese la mano, ma non parlò. Avrei voluto tenerla tra le braccia e strmgerla a me, ma le parole di Kadarin mi trattennero, inorridito. Per il suo bene, non osavo toccarla.

Ma sarebbe stato sempre più difficile; sentii, senza sapere come ne fossi a conoscenza, che qualche riserva interiore di Callina era finita. Non sentivo più il gelo, la superiorità e il consapevole distacco di prima.