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«Se si fermasse un solo minuto oltre il limite, lo arresteremmo immediatamente. Ma è molto attento. Non possiamo neppure arrestarlo perché ha sputato sul marciapiede. L'unico posto dove si reca è l'orfanotrofio. Poi, a quanto pare, scompare nell'aria.»

«Be', presto potrai sbarazzarti di lui», gli dissi. «Non arrestarmi, quando lo ucciderò. Ha registrato il suo intento contro di me.»

Lawton sorrise.

«Se potessimo essere sicuri che non succeda il contrario», disse, mentre io mi alzavo per andarmene.

Tuttavia, quando ero già alla porta, mi richiamò indietro, con rabbia. Il tono amichevole era scomparso dalla sua voce; si alzò e venne verso di me, con ira.

«Hai un oggetto di contrabbando! Dammelo!»

Io gli consegnai la pistola. Naturalmente, accanto alla porta ci doveva essere un detector. Lawton controllò il tamburo, poi si fermò per qualche istante, fissò qualche particolare che non riuscii a vedere, aggrottò la fronte e mi restituì l'arma.

«Riprendila. Non avevo capito.»

Me la mise in mano, con impazienza.

«Avanti, prendila! Ma va' via di qui, prima che qualcun altro ti scopra. Poi restituiscila al proprietario. Se vuoi un permesso, cercherò di fartene avere uno, ma non andare in giro con armi di contrabbando!»

Mi lasciò la pistola e virtualmente mi cacciò via dall'ufficio. Io guardai la pistola senza capire, la girai sopra e sotto, mentre raggiungevo l'ascensore. Poi l'occhio mi cadde su una piccola piastrina avvitata sotto l'impugnatura: RAFAEL SCOTT.

E all'improvviso capii che non era il caso di chiedere spiegazioni né a Diane che me l'aveva data né a Marjus che avrebbe voluto tenerla mentre andavo dal Legato.

CAPITOLO 3

IL CONSIGLIO DEI COMYN

«Benissimo, signori. Allora, farò come volete!» disse una donna.

Nell'udire la sua voce, m'immobilizzai per un momento, poi aprii le tende ed entrai nel palco degli Alton, nella sala del Consiglio dei Comyn.

Eravamo arrivati tardi nella Città Nascosta: così tardi che non avevo avuto il tempo di darne notizia al Vecchio Hastur, e neanche di informare della mia presenza Linnell, che, come mia parente più stretta e sorella adottiva, doveva essere la prima a essere informata. Marjus, che non era stato accettato nel Consiglio, si era separato da me all'esterno della sala ed era andato a prendere il suo posto in platea, tra gli spettatori e i figli cadetti che componevano la cosiddetta “Camera Bassa”. Io mi ero recato nel nostro palco, con l'intenzione di sedermi in uno dei posti riservati alla mia famiglia, ma ora rimasi in piedi, sorpreso.

La donna che aveva parlato era Callina Aillard.

La conoscevo fin dalla nascita, naturalmente. Anche lei era mia cugina; era la sorellastra di Linnell. Ma quando l'avevo vista l'ultima volta, sei anni prima — cercai di non pensare a quel giorno — era una bambina, silenziosa e indifferente. Adesso vidi che era una donna, e bellissima.

Era ferma davanti al banco della presidenza: una donna snella, dalla pelle chiara e dall'aspetto fragile, con una veste nera. I suoi lunghi capelli erano ornati di gemme; aveva una catena d'oro al collo e una cintura d'oro alla vita, e queste le davano l'aspetto di una prigioniera che, pur coperta di catene, continuava a sfidare i suoi nemici. La sua voce era forte, chiara e incollerita.

«Quando mai, prima d'oggi», chiedeva, «una Guardiana è stata tenuta a obbedire ai capricci del Consiglio?»

Ecco dunque il motivo della sua collera!

Marjus non mi aveva detto che nel Consiglio dei Comyn c'era una nuova Guardiana; e a me non era venuto in mente di chiederglielo.

A dire il vero, non mi aveva detto molto, e ora, mentre mi sedevo, osservai come fosse cambiata la sala del Consiglio.

Era una grande sala dal soffitto a cupola, piena di luce e di ombre nette. In platea c'erano la piccola nobiltà e i cadetti, che potevano esprimere la loro approvazione o la loro disapprovazione solo quando veniva loro chiesto espressamente; nei palchi, uno per famiglia, disposti in semicerchio, c'erano i Comyn del Consiglio.

Al centro, su un banco posto su un'alta predella, vidi il vecchio Dantan Hastur, Reggente dei Comyn, e dietro di lui, nell'ombra, un giovane che non riuscii a riconoscere.

Accanto a Dantan scorsi il giovane Derik Elhalyn, Signore dei Comyn, che ancora per un anno, fino al conseguimento della maggiore età, sarebbe stato sottoposto all'autorità del Reggente. Derik, sprofondato su una sedia, aveva l'aria annoiata.

Continuai a guardarmi attorno e presto riuscii a orientarmi. Come se avesse sentito la mia presenza, Dyan Ardais si girò verso di me e mi rivolse un sorriso enigmatico. Dietro di lui, Diana Ridenow era seduta in mezzo ai fratelli; vidi anche mia cugina Linnell, che però, dal punto dove si trovava, non era in grado di vedermi.

Poi il mio sguardo si spostò nuovamente su Callina. Una Guardiana!

Da anni non si presentava in Consiglio una Guardiana delle Torri. La vecchia Ashara era sempre rimasta nella sua Torre, fin da quando mio padre era un ragazzo, e ormai doveva avere raggiunto un'età più che ragguardevole.

Quando ero bambino, si era vista in Consiglio una ragazza dai capelli rosso fiamma, velata come una stella spuntata in mezzo alla nebbia, a cui s'inchinavano anche gli Hastur. Però, poco più tardi, doveva essere morta o essersi ritirata nella sua Torre, e a quell'epoca non c'era nessun'altra ragazza che venisse addestrata da Guardiana.

Ormai da tempo le Torri svolgevano solo un'attività limitata, anche se era tradizione che i futuri Comyn vi passassero un periodo di addestramento. Oltre ai telepatici che insegnavano ai giovani delle Famiglie, nelle Torri c'erano alcuni tecnici esperti e meccanici delle matrici — me compreso, nel mio periodo di addestramento — che si occupavano del funzionamento delle reti di comunicazione, e nessuno pretendeva che in quei luoghi si facesse di più. Era difficile convincersi che mia cugina Callina fosse una Guardiana e che disponesse delle antiche conoscenze sulla scienza delle matrici, ormai quasi dimenticate, che le Guardiane si trasmettono l'una all'altra.

Eppure, sapevo quanto fosse coraggiosa. Quel pensiero minacciò di ridestare ricordi dolorosi. Non volevo pensare all'ultima volta che l'avevo vista.

Il Vecchio Hastur parlò con severità.

«Mia signora», disse, «i tempi sono cambiati. Oggi…»

«Oggi sono cambiati davvero», lo interruppe lei, sollevando la testa con un leggero tintinnio di preziosi, «se su Darkover c'è la schiavitù, e una Guardiana può essere venduta come un pesce sui banchi dei mercato! No, ascoltate! Vi dico che faremmo meglio a consegnare oggi stesso tutti i nostri segreti ai maledetti terrestri, invece di allearci con i rinnegati di Aldaran!»

Si guardò attorno e all'improvviso mi scorse, benché fossi in ombra; sollevò un braccio e puntò il dito verso di me.

«E lassù», disse, «c'è una persona che potrà dimostrarvelo!»

Ma io ero già in piedi.

Un'alleanza con Aldaran? pensavo.

Fu qualcosa di più forte di me. Senza che me accorgessi, stavo già gridando: «Maledetti imbecilli!»

Cadde il silenzio, a cui, dopo qualche istante, fece seguito un coro di voci basse, un brontolio stizzito; solo allora mi resi conto di quello che avevo fatto.

Mi ero cacciato mani e piedi in una faccenda di cui non sapevo assolutamente nulla. Ma il nome di Aldaran mi era sufficiente. Guardai fisso il Vecchio Hastur, con aria di sfida.

«Non ho sentito dire “allearci con i rinnegati di Aldaran”?» gridai. «Con quei traditori il cui nome è la vergogna dell'intero Darkover? Gli uomini che per secoli ci hanno combattuto con armi proibite, che dopo, avere venduto le nostre Pianure ai banditi a cui offrivano rifugio sui loro monti, adesso hanno venduto il nostro mondo ai terrestri?»

La mia voce era incrinata come quella di un fanciullo.