— È pronto a rispondere, capitano? — domandò l’uomo con l’asciugamano, accennando a lui.
— Sì, colonnello Millisor — rispose l’altro. — Gliene ho fatta una dose intera.
L’uomo uscito dal bagno grugnì e gettò l’asciugamano sul letto, accanto al contenuto delle tasche di Ethan ed ai suoi vestiti, che si trovavano tutti quanti lì. Soltanto allora lui si rese conto d’essere completamente nudo. Sul letto c’erano alcune banconote di Stazione Kline, un pettine, un fazzoletto, il piccolo proiettore della mappa, la carta di credito contenente i fondi di cui Ethan disponeva per acquistare le culture, in dollari betani… a quella vista, l’animale in gabbia nel retro del suo cervello ululò e gemette. L’individuo toccò quei pochi oggetti con una smorfia di disgusto. — Questa roba è pulita?
— Ah. Adesso sì, ma prima non tanto — disse il capitano dalle ossa fredde. — Guardi questo. — Prese il proiettore olovideo, svitò la parte posteriore e collegò un visore elettronico sopra i suoi circuiti interni. — Gli abbiamo ripulito le tasche nella zona dei moli, prima di portarlo qui. Vede questa chiazza nera? È stata causata dall’acido contenuto in una membrana di lipidi polarizzati. Quando il raggio del mio scanner l’ha attraversato, la membrana si è depolarizzata e dissolta, e l’acido ha bruciato… qualunque cosa ci fosse qui. Una microtrasmittente, direi, forse unita a un registratore audio-video. Un ottimo lavoro, mascherato nei circuiti standard del proiettore di mappe, il quale fra l’altro nascondeva il rumore elettronico della microspia. È un agente, non c’è dubbio.
— Siete riusciti a rintracciare il collegamento con la sua base?
Il capitano freddo scosse il capo. — No, purtroppo. Come le ho detto, la microtrasmittente si è autodistrutta al momento della scoperta. Però quelli in ascolto non possono più riceverlo, visto che li abbiamo accecati. Adesso loro non sanno dove si trova.
— E questi "loro" chi sono? Terrence Cee?
— Così possiamo sperare.
L’uomo dagli occhi di granito, quello che il capitano freddo aveva chiamato colonnello Millisor, grugnì ancora. Venne di fronte a Ethan e si piegò a fissarlo negli occhi. — Qual è il tuo nome?
— Ethan — rispose serenamente lui. — E il tuo?
Millisor ignorò quell’aperto invito a socializzare. — Il tuo nome completo, e il tuo grado.
Questo colpì un ricordo non sgradevole del suo passato, ed Ethan raddrizzò fieramente le spalle: — Sergente maggiore Ethan CJB-8 Urquhart. Reparto Medico del Reggimento Blu. matricola U-221-767, signore! — esclamò guardando con un sorriso eccitato il suo interlocutore, che s’era ritratto con aria sbalordita. — In congedo, signore! — aggiunse nello stesso tono, dopo un momento.
— Tu non sei un medico?
— Oh, sì — disse orgogliosamente lui. — Dove ti fa male? Fammi vedere la lingua.
— Detesto il penta-rapido — grugnì Millisor al collega. — Li fa parlare troppo.
Il capitano freddo ebbe un sorrisetto. — Sì, ma se non altro può stare sicuro che non tengono nascosto nulla.
Millisor sospirò dal naso, a labbra strette, e si volse di nuovo a Ethan. — Rispondi. Sei qui per incontrare Terrence Cee?
Lui lo guardò un momento, confuso. Vedere Terrence, lì? L’unico Terrence che lui conoscesse era un tecnico elettronico del Centro di Riproduzione. — No. Loro non l’hanno mandato qui — spiegò.
— Loro chi? Chi è che non l’ha mandato? — chiese subito Millisor, protendendosi in avanti.
— Il Consiglio.
— All’inferno. — Il capitano scosse il capo, preoccupato. — Possibile che abbia trovato un nuovo finanziatore, così presto dopo il Gruppo Jackson? Non può aver avuto il tempo, né i contatti necessari! Io stesso ho controllato ogni…
Millisor gli chiese il silenzio alzando una mano e tornò a interrogare Ethan. — Dimmi tutto ciò che sai su Terrence Cee.
Doverosamente lui cominciò a farlo, cominciando dal giorno in cui Terrence era venuto per la prima volta nel suo laboratorio a riparare una centrifuga. Dopo cinque minuti Millisor, sulla cui faccia c’era una perplessità sempre più sfumata di rabbia, lo colpì con un ceffone. — Basta così!
— Evidentemente sta parlando di un altro individuo — ipotizzò il capitano freddo. Il suo capo lo guardò esasperato, e lui suggerì in tono ragionevole: — Provi a passare a un altro argomento. Gli domandi delle colture.
Millisor annuì. — Le colture ovariche umane spedite ad Athos dai laboratori biologici dei Bharaputra. Che cosa ne avete fatto?
Ethan cominciò a descrivere, nei più minuti particolari, tutti i test a cui aveva sottoposto il materiale quel memorabile pomeriggio. Con crescente disappunto notò che i suoi catturatori non sembravano molto compiaciuti da quella narrazione: erano disgustati, e stupefatti, e infine irritati, ma per nulla felici. E lui desiderava soltanto renderli felici…
— Altri discorsi senza senso — lo interruppe il capitano freddo. — Che significano queste scempiaggini?
— Possibile che riesca a resistere alla droga? — si domandò Millisor, scrutandolo con poca simpatia. — Gliene faccia un’altra dose.
— È pericoloso, se lei pensa ancora di rimandarlo in strada con un vuoto di memoria. E cominciamo a essere a corto di tempo per modificare questa parte del piano.
— Qualunque parte del piano può essere cambiata. Se quel carico è già arrivato su Athos ed è stato distribuito, potremmo non avere altra scelta che passare a un’operazione militare, a meno che non decidessimo di limitarci al raid di un commando per distruggere i loro Centri di Riproduzione. Un attacco militare vero e proprio ci costerebbe sei o sette mesi di preparativi… è chiaro che dovremmo sterilizzare l’intero dannato pianeta per essere sicuri di aver eliminato tutto quanto.
— Nessuno ne sentirebbe la mancanza. — Il capitano freddo scrollò le spalle.
— Sì, ma ci costerebbe molto. E non sarebbe facile mantenere l’operazione sotto silenzio.
— Nessun superstite, nessun testimone.
— Ci sono sempre superstiti ai massacri. Fra i vincitori, se non altro. — Gli occhi di granito fissarono il capitano freddo, che grugnì un riluttante assenso. — Gliene faccia un’altra dose.
Un fremito nel braccio sinistro di Ethan. Con metodica insistenza e senza dargli un attimo di requie, i due uomini continuarono a fargli domande sulla spedizione del materiale ovarico, sui suoi superiori, sull’organizzazione di cui faceva parte e sul lavoro che gli era stato affidato.
Ethan cominciò a balbettare. La stanza si espandeva e si restringeva, la testa gli girava come una trottola, i suoi occhi si torcevano nelle orbite come per fissarsi a vicenda. — Oh, io vi amo, vi amo tutti! — gemette, e vomitò con violenza quel poco liquido che aveva nello stomaco. Poi svenne.
Riprese i sensi sotto la doccia. Quando fu riportato sulla sedia gli iniettarono una droga diversa, che invece di renderlo espansivo come l’altra lo riempì di terrori senza nome, e facendo leva sul suo spavento i due lo interrogarono interminabilmente su Terrence Cee e sulla sua missione, sia insieme che uno alla volta.
Sempre più delusi dalle risposte che ottenevano i suoi catturatori gli diedero una terza droga, il cui effetto fu d’incrementare le percezioni sensorie di tutti i suoi nervi; poi gli applicarono alle palpebre e agli organi genitali degli strumenti che non lasciavano segni ma gli procurarono un’indescrivibile agonia. Lui disse loro tutto ciò che sapeva, rispose a ogni domanda (sarebbe stato lieto di dire ciò che volevano sentirsi dire, se solo avesse avuto un indizio di cos’era) ma i due erano spietatamente esperti, quasi chirurgici, nel mettere alla prova la sincerità delle sue risposte con serie di domande incrociate. Ethan divenne cera molle nelle loro mani, quasi frenetico nella sua ansia di accontentarli, finché i suoi sensi esplosero e cadde preda di un attacco di convulsioni così violento che per poco non gli bloccò il cuore. A questo punto i due decisero di rinunciare.