Ethan giacque di traverso sulla sedia di plastica, nudo e bagnato di sudore gelido, sotto shock, fissandoli con pupille dilatate che non vedevano più molto bene.
Il colonnello Millisor lo guardò con un grugnito di disgusto. — Maledizione, Rau! Questo bastardo ci ha fatto perdere tempo e basta. Il carico che ha ricevuto su Athos non è affatto quello che era stato spedito dai laboratori Bharaputra. Terrence Cee è riuscito a metterci le mani sopra, in qualche modo. A quest’ora potrebbe essere in qualsiasi punto della galassia.
Il capitano mugolò un assenso. — E pensare che eravamo così vicini a chiudere la faccenda, sul Gruppo Jackson! Ma no, dannazione. Doveva essere Athos. Tutti siamo stati d’accordo: avrebbe dovuto essere Athos.
— Può ancora essere Athos. Un piano dentro il piano… dentro un altro piano. — Millisor si massaggiò stancamente il collo, e d’un tratto apparve molto più vecchio di quello che Ethan aveva dapprima creduto. — Il defunto Dr. Jahar ha fatto un lavoro troppo buono. Terrence Cee è tutto ciò che Jahar aveva promesso… fuorché leale. Be’, di questo tipo noi non ne abbiamo più bisogno. Lei è sicuro che la macchia scura in quei circuiti non fosse solo un po’ di untume?
Il capitano fece per dare una risposta indignata, poi guardò Ethan come se non fosse più un essere umano ma un pezzo di carne appeso a un gancio nel frigorifero di una macelleria.
— Non era untume. Ma a questo punto possiamo star certi che costui non è neppure un agente di Terrence Cee. Pensa che potremmo usarlo come specchietto per le allodole, tanto per dare loro un bersaglio?
— Se solo fosse un agente — disse Millisor con rammarico. — varrebbe la pena di fare un tentativo. Dato che evidentemente non lo è, a noi non serve. — Guardò il suo orologio da mignolo. — Mio Dio, ci abbiamo lavorato sette ore? Ormai è troppo tardi per cancellargli la memoria e lasciarlo andare. Consegnalo a Okita. che lo porti da qualche parte e organizzi la cosa in modo che sembri un incidente.
Il molo dove attraccavano le navi da carico era freddo e buio in quell’ora antelucana. Pochi lampioni spandevano luce gialla sulle paratie, delineando le sagome silenziose delle gru e dei carrelli trasportatori immobili nei vicoli accanto ai magazzini. Le passatoie metalliche s’inarcavano alte nel vuoto, emergendo fra i vapori che sfuggivano dalle tubature e incrociandosi nella penombra, fitte come ragnatele. Misteriosi oggetti meccanici pendevano qua e là fra i cavi, come vittime preservate da gelidi ragni d’acciaio.
— Qui dovrebbe essere abbastanza alto — grugnì l’uomo di nome Okita. Era d’aspetto anonimo quanto il capitano Rau, ma ancor più massiccio e muscoloso. Un gesto rude gli bastò per alzare Ethan in ginocchio sul pagliolato metallico. — Bevi ancora un po’ di questo, avanti.
L’individuo mise a forza un tubo nella bocca di Ethan e strizzò il bulbo, per l’ennesima volta. Gorgogliando semisoffocato lui fu costretto a inghiottire il brandy da poco prezzo, che in gola bruciava come il fuoco. Altro liquore gli fu versato sulla maglia e sui pantaloni. La robusta mano che lo sosteneva si aprì, lasciandolo afflosciare al suolo. — Digerisci anche quello, per un minuto — gli consigliò Okita, come se lui avesse possibilità di scelta in merito.
Ethan appoggiò le dita sui fori del pagliolato su cui giaceva, umido e sporco di grasso, e guardò attraverso di esso la pavimentazione plastica del molo, venti o ventidue metri più in basso. Sembrava ondeggiare e vibrare come una cosa viva, oltre il velo di vapore che usciva da qualche valvola difettosa sotto di lui. Nella sua mente stordita tornò l’immagine della sua Aerostar De Luxe che si schiantava al suolo, all’incirca dalla stessa altezza.
Il sicario e uomo di fatica del capitano Rau si appoggiò alla ringhiera di sicurezza, guardò anch’egli in basso e sospirò con aria poco soddisfatta. — Non mi è mai piaciuto ammazzare un uomo così, voglio dire buttandolo nel vuoto e basta — disse in tono discorsivo. — Non è una cosa sicura, capisci? Lasciandoti cadere a testa in giù, due metri dovrebbero essere abbastanza per spaccarti il cranio. Però ho sentito di un tipo che è caduto per trecento metri in una cava di ghiaia ed è rimasto vivo. Dipende da dove vai a colpire, immagino. — Il suo sguardo blando perlustrò il molo, verso le uscite e la strada centrale, come se sospettasse la presenza di un guardiano notturno. — Qui tengono la gravità artificiale più leggera, per via delle merci. Sembra strano, ma gli costa di più. Penso proprio che dovrò romperti il collo prima di buttarti giù — decise Okita, in tono ragionevole. — Mi spiace farti perdere il brivido del volo, ma lo faccio per te, credimi. Non ti piacerebbe restare ad agonizzare laggiù, soltanto ferito. Giusto?
Ethan non riuscì ad infilare le dita nei fori per aggrapparsi al pagliolato, per quanto ci provasse. In un momento di follia pensò che forse avrebbe potuto comprare la pietà del suo killer con il contenuto in dollari betani della carta di credito, che gli era stata rimessa in tasca con tutto il resto prima che il muscoloso individuo lo prendesse a braccetto e lo portasse via, come due amanti in cerca di un posto buio per le loro effusioni. Come un ubriaco e il suo fedele amico che lo riportava a casa per impedirgli di perdersi nei labirinti della stazione. Ethan puzzava d’alcool, e i mugolii con cui aveva cercato d’invocare aiuto nei corridoi erano risultati incomprensibili per i numerosi passanti, che s’erano limitati a guardarli fra divertiti e sprezzanti. Adesso la sua lingua era meno rigida, ma quel posto era poco illuminato e ancor meno frequentato da gente in grado di soccorrerlo.
Un impeto di lealtà verso il Consiglio lo fece rantolare come un conato di vomito. No. Sarebbe morto senza lasciarsi derubare dei soldi dei suoi concittadini. Del resto, Okita non appariva propenso a lasciarsi corrompere. Ethan non pensava che fosse interessato all’unica altra moneta che lui poteva offrire a un uomo, visto che i normali rapporti sessuali athosiani non sembravano troppo popolari nelle regioni retrograde della galassia. Be’, se non altro quel denaro sarebbe stato prelevato dal suo cadavere e rispedito a chi l’aveva faticosamente guadagnato su Athos…
Athos. No, lui non doveva morire, non poteva permettersi di morire. Il terrificante frammento di conversazione che aveva udito da quei due individui gli era penetrato nella mente come un acido corrosivo. Distruggere i Centri di Riproduzione? Lunghe file di inermi bambini in crescita nei replicatori uterini, decine di migliaia, schiacciati fra le macerie e uccisi nei laboratori in fiamme… Ethan fremette d’orrore e ansimò, ma non riuscì a costringere i muscoli rigidi, semi paralizzati, ad ubbidire alla sua volontà. Quel piano vile e disumano… discusso con tanta calma, organizzato con tanta indifferenza… possibile che fuori dal suo mondo ci fosse tanta pazzia in agguato?
Okita mugolò fra sé, si massaggiò una spalla, controllò i dintorni, e per la terza volta guardò il suo orologio. — Va bene — diagnosticò infine. — Dovrebbe esserti penetrato nel sangue, come ha ordinato il capo. Ora sei pronto per l’autopsia. Passiamo alla lezione di volo.
L’individuo afferrò Ethan per il colletto della maglia e la cintura dei pantaloni, lo tirò in ginocchio e lo puntellò con la nuca contro la ringhiera.
— Perché mi stai facendo questo? — squittì Ethan, in un ultimo disperato tentativo di comunicare con lui. — Io sono un essere umano come te.
— In questo caso sai anche tu cosa significa avere degli ordini. Giusto? — grugnì l’altro. Ethan guardò i suoi occhi inespressivi e si rassegnò a quel destino: stava per essere giustiziato perché era colpevole d’essere innocente.
Okita lo afferrò per i capelli e gli rovesciò la testa all’indietro, premendogli il collo sul tubolare. Il fuligginoso soffitto dei moli, sotto il quale s’incrociavano altri camminamenti e scalette, si confuse negli occhi di Ethan. Il freddo metallo gli morse la carne dolorosamente.