Okita studiò la sua posizione ad occhi socchiusi e gli fece ruotare la testa di qualche grado. — Così va bene. — Tenendo bloccato con un ginocchio il corpo di Ethan contro la ringhiera, alzò la mano destra per abbatterla in un poderoso colpo di taglio su un lato del suo collo.
La passatoia si alzò di qualche centimetro con un un cigolio secco, sobbalzando sotto il peso piombato giù dall’alto. L’ansante figura femminile che vacillava in cerca dell’equilibrio sollevando a due mani lo storditore non perse tempo a gridare avvertimenti, ma si limitò a sparare. Il suo arrivo era stato silenzioso come quello di un fiocco di neve dal cielo, e l’unico rumore dopo il cigolio metallico fu quello dell’arma. La scarica d’energia che lo sfiorò, intorpidendo i suoi sensi, fece poca differenza nelle sconfortevoli condizioni di Ethan. Ma Okita, colpito in pieno, seguendo il momento d’inerzia del suo robusto braccio che si alzava cadde indietro contro l’altra ringhiera. I suoi piedi balzarono verso l’alto in semicerchio, sfiorando la faccia di Ethan.
— Oh, merda! — imprecò la comandante Quinn, e corse avanti a braccia tese. Lo storditore cadde sulla passerella, rotolò via sotto la ringhiera e volò nell’aria, rimbalzando rumorosamente su qualcosa più in basso. Il suo generoso tentativo di agguantare Okita in tempo s’infranse quando le sue mani urtarono contro le suole delle scarpe dell’individuo, e il colpo le spezzò un’unghia. Okita seguì lo storditore, a testa in giù.
Ethan si afflosciò come privo d’ossatura e giacque con la faccia sul pagliolato. Gli stivali della femmina, visti dal livello del suolo, si alzarono sulle punte quando lei si sporse sopra la ringhiera per guardare giù. — Signore Iddio, questo mi dispiace, sul serio — disse, succhiandosi il dito ferito. — Non ho mai ucciso nessuno per disgrazia, prima d’ora. Non è professionale.
— Ancora lei — gorgogliò Ethan.
La femmina ebbe un sogghigno felino. — Che coincidenza, eh?
Ethan si girò a guardare in basso. Il corpo incastrato fra un carrello e un nastro trasportatore smise di sussultare. — Io sono un medico. Forse dovremmo scendere e… uh…
— E cosa? Senti, io non ho neanche un’aspirina da dargli. Purtroppo Okita ha fatto un brutto atterraggio — disse la comandante Quinn. — Ma io non spargerei fiumi di lacrime sulla dipartita di quel gentiluomo. A parte ciò che stava facendo a te, cinque mesi fa ha collaborato all’assassinio di undici persone, sul Gruppo Jackson, per proteggere il segreto che io sto cercando di scoprire.
La sua logica alla melassa suggerì un commento a Ethan: — Se è un segreto che la gente uccide per tenere nascosto, non sarebbe più prudente evitare di scoprirlo? — E per dimenticare i dolori che aveva addosso mugolò ancora: — Comunque lei chi è, in realtà? Perché mi sta seguendo?
— Tecnicamente, io non sto affatto seguendo te. Io sto seguendo il Ghem-colonnello Luyst Millisor, il suo non meno affascinante capitano Rau e i loro due sicofanti… ah, un sicofante. Millisor è interessato a te, e di conseguenza lo sono anch’io. Q.E.D. (Quinn Erat Demostrandum).
— Interessato a me. Perché? — gemette stancamente lui.
La femmina sospirò. — Se fossi arrivata sul Gruppo Jackson due giorni prima di loro, invece che due giorni dopo, saprei dirtelo. In quanto al resto, io sono una comandante dei Mercenari Dendarii, e tutto quello che ti ho detto è vero, salvo che non sono qui per una vacanza a casa. Sono in missione. Pensa a me come una militare provvisoriamente addetta a compiti di spionaggio. L’ammiraglio Naismith sta diversificando le nostre attività.
La femmina si accovacciò accanto a lui, controllò le sue pulsazioni, la dilatazione delle pupille e i riflessi. — Hai l’aria sana come se fossi morto due giorni fa, dottore.
— Lo devo a lei. Quella gente ha trovato la sua microtrasmittente, e ha deciso che io ero una spia. Mi hanno interrogato… — Tacque, accorgendosi che tremiti incontrollabili lo scuotevano.
La femmina si mordicchiò le labbra. — Lo so. Mi dispiace. Comunque, spero che tu abbia notato che giusto poco fa ti ho salvato la vita. Temporaneamente.
— Temporaneamente?
Lei annuì, guardando la lontana pavimentazione dei moli. — Dopo questa faccenda, il colonnello Millisor capirà che qualcuno vuole tenerti in vita. Ciò lo rafforzerà nel proposito diametralmente opposto. È un uomo fatto così.
— Mi rivolgerò alle autorità della stazione e…
— Scusa, ma avrei sperato che tu pensassi qualcosa di meglio. In primo luogo, secondo me la polizia non sarà in grado di proteggerti ventiquattr’ore al giorno. In secondo luogo, così faresti saltare la mia copertura. Finora credo che il colonnello Millisor non sospetti neppure la mia esistenza. Questo potrebbe continuare così, dato che qui attorno io ho una gran quantità di amici e di parenti… ed essendo Millisor e Rau ciò che sono, in effetti preferisco che le cose continuino così. Capisci il mio punto di vista?
Ethan sapeva che avrebbe dovuto rifiutare quel punto di vista e rivolgersi alle autorità, ma era troppo debole e dolorante per opporsi e (gli venne da pensare a un tratto) troppo alto nell’aria. Il brivido della vertigine gli mozzò il fiato. Se quella femmina avesse decìso di mandarlo dietro a Okita…
— Va bene — mugolò. — Uh, lei cosa… cosa vuol fare con me?
La comandante Quinn si piantò le mani sui fianchi e abbassò su di lui uno sguardo accigliato. — Ancora non ne ho idea, Non so se sei un asso o un jolly. Credo che ti terrò nella manica per un po’, finché non avrò capito come mi conviene giocarti. Col tuo permesso — aggiunse dopo un momento, come concessione.
— Uno specchietto per le allodole — mormorò Ethan.
Lei lo guardò pensosamente. — Forse. Se ti viene un’idea migliore, fammela sapere.
Ethan scosse il capo, movimento che mandò ondate di dolore a sciabordare nell’interno del suo cranio e gli fece apparire lampi gialli davanti agli occhi. Se non altro quella femmina non sembrava dalla stessa parte dei suoi recenti catturatori. La nemica dei miei nemici è… mia alleata?
La comandante Quinn lo aiutò a tirarsi in piedi e lo sostenne quando si avviarono giù per le scalette metalliche, fino al suolo. Ethan notò per la prima volta che era diversi centimetri più bassa di lui e più delicata di un uomo anche come muscolatura, cosa che peraltro in teoria avrebbe dovuto sapere, ma a cui non aveva mai pensato. In quel momento, però, non se la sentiva di mettere alla prova la sua superiorità fisica cercando di sfuggirle.
Quando la femmina lo lasciò. Ethan ebbe appena la forza di mettersi a sedere sulla consunta pavimentazione di plastica. Lei andò a chinarsi sul corpo di Okita e lo tastò per sentire le pulsazioni. — Uhu. Collo spezzato e altre brutte fratture. — Si rialzò, fece un sospiro e rimase lì, esaminando sia Ethan che il cadavere con lo stesso sguardo calcolatore.
— Potremmo lasciarlo qui, e la sua faccia apparirebbe in uno dei notiziari mattutini della stazione — disse. — Ma io preferirei dare al colonnello Millisor un pìccolo mistero da risolvere. Sono stanca di seguire le iniziative altrui, stando sempre dietro le quinte e sempre indietro di una mossa. Hai mai pensato alla difficoltà di far sparire un cadavere in una stazione spaziale? Io scommetto che Millisor sa tutto in merito. I cadaveri non ti danno fastidio, no? Voglio dire, tu sei un medico e tutto quanto, giusto?
Lo sguardo di Okita era vitreo come quello di un pesce morto, ma sulla sua faccia c’era un’espressione di rimprovero. Ethan deglutì saliva. — In realtà non mi è mai piaciuta molto quell’estremità del ciclo vitale — spiegò. — La patologia, l’anatomia e via dicendo. Suppongo che sia per questo se mi sono dedicato alla riproduzione. Era più… di buon augurio. — Fece una pausa. Il suo intelletto stava ricominciando a funzionare, a dispetto di tutto. — È davvero difficile liberarsi di un cadavere su una stazione spaziale? Non può buttarlo fuori dal portello più vicino, o giù per un pozzo antigravità poco usato, o qualcosa del genere?