Gli occhi di lei brillavano come pieni di ipotesi. — I portelli che danno all’esterno sono tutti monitorati. È possibile aprirli per certe operazioni d’emergenza, ma non senza far scattare sensori collegati ai computer che registrano tutto. Inoltre, là fuori un cadavere resterebbe a orbitare per sempre intorno alla stazione, anche se lo spingessi via con tutta la tua forza. Analoga obiezione per gli eliminatori di rifiuti; se fai a pezzi e getti nel cesso novanta chili di sostanze proteiche ancora utilizzabili, questo lascia un grosso blip nelle registrazioni. Le hanno già tentate tutte, credimi. Anni fa c’è stato un famoso caso di omicidio; una donna cercò di eliminare il cadavere del marito mangiandolo un po’ per volta, e questo sarebbe forse un buon sistema. Comunque io non me la sento di mangiare Okita. È un tipo che non stimola molto il mio appetito, se capisci quel che voglio dire.
La femmina si mise a sedere accanto a lui, con le ginocchia sollevate e le braccia strette intorno alle gambe, non tanto per riposarsi quanto per trattenere l’energia nervosa e l’impulso di muoversi. — In quanto a nasconderlo da qualche parte nell’interno della stazione… be’, la polizia non è niente a paragone dei controlli maniacali della squadra ecologica. Non esiste un centimetro cubo di Stazione Kline che non compaia su un programma di analisi biologica, e il governo usa a turno tutti i cittadini al di sopra dei dodici anni come personale volontario addetto a ogni tipo di controllo. Potresti continuare a spostare il cadavere qua e là, in qualche contenitore, ma…
Ethan la ascoltava distrattamente, immerso in pensieri spiacevoli quanto le sue sensazioni fisiche.
— Però credo di avere un’idea — continuò lei. — Sì… perché no? Visto che ho commesso un delitto, mi conviene tentare di farne un delitto perfetto. Ogni cosa fatta merita d’essere fatta bene, direbbe l’ammiraglio Naismith.
La comandante Quinn si alzò e prese ad aggirarsi per il molo deserto, cercando e scegliendo attrezzi con l’aria distratta di una casalinga che prelevasse oggetti dai banconi di un supermercato.
Seduto miseramente sulla pavimentazione umida Ethan invidiava Okita, le cui disgrazie terrene erano se non altro terminate. Lui si trovava su Stazione Kline da circa ventiquattr’ore standard, e non aveva ancora mangiato il suo primo pasto né fatto un’ora di sonno. Picchiato, rapito, drogato, quasi-assassinato, e ora divenuto a tutti gli effetti complice di un omicidio che se non era stato esattamente un delitto era comunque la cosa più vicina. La vita in quelle zone incivili della galassia era molto peggiore di quel che aveva immaginato. E adesso era anche caduto nelle mani di una femmina, come se non bastasse. I Padri Fondatori avevano avuto buoni motivi per lasciarsi alle spalle quella società… — Voglio tornare a casa mia — mugolò.
— Via, via — lo blandì la comandante Quinn, arrivando accanto al cadavere di Okita a bordo di un forklift. La bruna femmina saltò giù e trascinò al suolo un contenitore cilindrico lungo un paio di metri, del tipo usato per le spedizioni di merci sfuse. Aveva con sé anche quella che risultò essere una barella antigravità. — Non è questo il modo di abbattersi, proprio quando il mio incarico mostra finalmente qualche apertura. Tu hai soltanto bisogno di un buon pasto caldo… — si voltò a guardarlo. — e forse di una settimana in un letto di ospedale. Questo penso però di dovertelo sconsigliare, dato che ti costerebbe un occhio della testa, ma appena ho finito di sistemare questa faccenda ti porterò in un posto dove potrai riposare un po’, intanto che io mi occupo della prossima fase. D’accordo?
La femmina aprì il coperchio del contenitore e, non senza qualche difficoltà, sistemò il corpo di Okita dentro di esso. Poi usò il forklift per sollevare il contenitore sopra la barella. — Ecco fatto. Non ha neppure troppo l’aspetto di una bara, no? — Tirò giù dal forklift un aspira-rifiuti elettrostatico, diede una rapida ma scrupolosa ripulita alla zona dell’impatto fatale, gettò insieme al cadavere il sacchetto di plastica tolto dall’aspira-rifiuti, quindi risalì sul veicolo e lo portò via, rimettendo poi ogni cosa dove l’aveva trovata. Da ultimo, e con espressione molto più luttuosa di quando s’era occupata di Okita, andò a raccogliere i pezzi del suo storditole.
— Siamo a posto. Questo dà al progetto la sua prima scadenza. La barella e il contenitore dovranno essere riportati qui entro otto ore. prima che le squadre dei moli vengano qui a fare qualche lavoro, altrimenti qualcuno potrebbe accorgersi della loro mancanza.
— Chi sono quegli uomini? — le domandò Ethan mentre lei lo aiutava a salire a cavalcioni del contenitore, sulla barella antigravità spenta e poggiata al suolo. — Sono dei pazzoidi. Voglio dire, tutti quelli che ho incontrato qui sono pazzi, ma quelli… quelli parlavano di assalire e distruggere i Centri di Riproduzione su Athos! Uccidere i bambini e… forse uccidere tutti!
— Sì? — disse lei. — Questo è un risvolto nuovo. Non avevo ancora sentito parlare di questo aspetto dei loro piani. È una vera sfortuna che io mi sia perduto l’interrogatorio, però mi auguro che tu sarai così gentile da farmi un resoconto. Da tre settimane sto cercando di piazzare delle microspie nell’alloggio di Millisor. ma purtroppo il loro equipaggiamento anti-intercettazioni è di prima qualità.
— Lei si è perduta soprattutto molte grida di dolore. Le mie — disse Ethan in tono ostile.
La femmina parve un po’ imbarazzata. — Ah… già. Temo di non aver pensato che avrebbero usato anche sistemi più brutali del penta-rapido.
— Uno specchietto per le allodole — grugnì lui.
La comandante Quinn si schiarì la gola, accovacciata al suo fianco. Prese il telecomando della barella e la accese. Con un ronzio le piastre antigravità sollevarono Ethan e il contenitore a due metri dal suolo, come su un magico tappeto volante.
— Non… non così in alto! — balbettò Ethan, annaspando alla ricerca di una maniglia inesistente. Lei fece abbassare la barella a un palmo d’altezza dal suolo e la mise in movimento, incamminandosi accanto a lui.
La femmina rispose alla sua domanda parlando lentamente e scegliendo le parole con cura. — Il Ghem-colonnello Luyst Millisor è un ufficiale del controspionaggio cetagandano. Il capitano Rau, il defunto Okita e un altro gentiluomo di nome Setti sono la sua squadra.
— Cetaganda! Ma quel pianeta non è troppo lontano da qui per essere interessato a, uhm… — Ethan guardò la femmina — a noi? Voglio dire a questo incrocio di rotte di balzo?
— Non troppo lontano, evidentemente.
— Ma perché, nel nome di Dio il Padre, dovrebbero voler distruggere Athos? Cetaganda è forse… controllato dalle femmine, o qualcosa del genere?
Una risata sfuggì dalla bocca di lei. — Difficile. Io lo definirei anzi un tipico stato totalitario dominato dagli uomini, anche se questo è mitigato da certi aspetti artistici e creativi della loro società. No, Millisor non è interessato al pianeta Athos in se stesso o al "mozzo" di Stazione Kline. Lui sta dando la caccia… a qualcos’altro. Al Grande Segreto. Quello che io sono stata incaricata di scoprire.
La femmina fece una pausa per dirigere la barella intorno a un angolo, in salita e particolarmente difficoltoso.
— A quanto sono venuta a sapere, su Cetaganda esisteva un progetto genetico, sponsorizzato dai militari e con obiettivi a lungo raggio sia nello spazio che nel tempo. Fino a tre anni fa, il colonnello Millisor era il capo della sicurezza di quel progetto. E la sicurezza, ovvero il loro apparato di controspionaggio, era ferrea. Nei venticinque anni della sua esistenza nessuno era mai riuscito a scoprire nulla di esso, salvo captare voci abbastanza vaghe sul fatto che i militari di quel pianeta si stavano occupando di genetica. Si era saputo soltanto che il suo uomo-chiave era un certo Dr. Faz Jahar, uno scienziato cetagandano specializzato in genetica e considerato di modeste capacità, il quale era scomparso dalla circolazione al tempo in cui quel progetto aveva preso inizio. Tu hai un’idea di quanto sia difficoltoso mantenere un segreto per venticinque anni, quando decine di pianeti investono forti somme nello spionaggio industriale e militare? Questo progetto rappresenta il lavoro di una vita intera per il colonnello Millisor. e così è stato per il Dr. Jahar.