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«Comunque sia, accadde qualcosa d’imprevisto. Il progetto andò in fumo… letteralmente. Una notte l’edificio che ospitava i laboratori saltò in aria e tutto il suo contenuto cessò di esistere, compreso il Dr. Jahar. Da allora, il colonnello Millisor e la sua squadra hanno cominciato ad agire all’estero, come se fossero alla caccia di qualcosa nelle regioni colonizzate della galassia. Indagano e si sbarazzano degli ostacoli con la feroce decisione di criminali professionisti… o di uomini spinti da una paura folle. Tuttavia, anche se non metterei la mano sul fuoco per il capitano Rau, il Ghem-colonnello Millisor non è un pazzo né un criminale.

— Di questo lei non riuscirà a convincermene — disse cupamente Ethan. Nei suoi occhi c’era sempre qualcosa che non funzionava, e il tremito muscolare andava e veniva.

Poco più avanti si fermarono di fronte a un largo portello nella parete del corridoio. LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE diceva un cartello su di esso. E un altro, in lettere rosse: SOTTO SEQUESTRO — VIETATO L’INGRESSO AL PERSONALE NON AUTORIZZATO.

La comandante Quinn fece qualcosa che Ethan non vide sulla serratura a combinazione, e il portello si aprì scivolando di lato. Prese la barella per i manici e la spinse dentro. Dal corridoio che avevano appena lasciato giunsero delle voci e delle risate. Lei si affrettò a chiudere, e per qualche momento rimasero nel buio più completo.

— Ah, eccola qui — mormorò la femmina, facendo scattare l’interruttore di una torcia elettrica. — Nessuno ci ha visto. La Dea Bendata mi vuole ancora bene. Questo sarebbe un brutto momento per cominciare a fare a meno dei suoi favori.

Ethan sbatté le palpebre e si girò a guardare l’ambiente in cui erano entrati. Una specie di lunga piscina rettangolare, vuota, occupava il centro di una vasta area piena di colonne, statue di marmo alcune delle quali prive della testa o di un braccio, mosaici ed archi elaborati.

— Questa dovrebbe essere la copia esatta di una famosa residenza della Terra — spiegò la comandante Quinn. — Il palazzo Elhamburger o qualcosa del genere. Un ricco armatore della stazione aveva speso un sacco di soldi per farlo costruire (e in effetti è finito) quando i suoi soci hanno improvvisamente cominciato a litigare. Il processo è in corso ormai da quattro mesi, e questa e altre proprietà sono per il momento sotto sequestro. Puoi restare qui a vegliare la salma del nostro amico fino al mio ritorno — disse, tamburellando con le dita sul contenitore.

Ethan si disse che per completare quella sgradevole giornata non gli mancava che una veglia funebre, e per di più in un luogo sconosciuto dove avrebbe continuato ad essere alla mercè di gente sconosciuta. Ma la femmina aveva fatto abbassare la barella al suolo e stava tirando fuori dei larghi cuscini di spugna da una malridotta scatola da imballaggio. — Niente coperte, purtroppo — borbottò. — Io ho la mia blusa imbottita. Ma tu puoi usare questi per coprirti; penso che ti terranno abbastanza caldo.

Distendersi su quella roba fu come sprofondare in una nuvola. — Coprirmi — mormorò Ethan, — stare al caldo…

Lei si frugò in una tasca della blusa. — Devo avere una… ah. — Tirò fuori una confezione sigillata e la aprì. — Questa è cioccolata alla menta, con le noccioline. Ti farà bene.

Ethan la divorò in pochi bocconi e si ritrovò più affamato di prima.

— Ah, un’altra cosa. Non puoi usare il cesso, qui. Il passaggio di rifiuti sarebbe registrato dal computer del servizio fognature, e qualche solerte funzionario potrebbe informarne il tribunale. So che sembra orribile, ma… se hai una necessità, falla dentro il contenitore. — Si strinse nelle spalle. — Non si può dire che Okita non lo meriti, tutto sommato.

— Preferirei morire — farfugliò Ethan, frugandosi in bocca con un dito per togliersi un frammento di nocciolina rimasto incastrato fra i denti. — Uh… lei pensa di stare via molto tempo?

— Non più di un’ora, per adesso. Almeno, spero che un’ora mi basti. Tu faresti meglio a dormire un po’.

Ethan riaprì gli occhi con uno sforzo. — Grazie del consiglio.

— E ora… — La femmina si sfregò le mani, annuendo fra sé. — Diamo inizio alla fase due della ricerca di L-X-10 Terran-C.

— Che cosa?

— Questo era il nome in codice del progetto di cui faceva parte il colonnello Millisor. Terran-C, più in breve. Forse una parte della cosa a cui stavano lavorando aveva avuto origine sulla Terra.

— Ma Terrence Cee è un uomo — disse Ethan. — Quei due non hanno fatto altro che continuare a chiedermi se è stato qui che io l’ho incontrato.

Lei rimase immobile per qualche momento. — Ah… sul serio? Strano. Veramente strano. Questa notizia è del tutto nuova per me. — I suoi occhi brillavano come specchi. Pochi istanti dopo era già uscita.

CAPITOLO QUINTO

Ethan si svegliò di soprassalto, con il fiato mozzo e la netta impressione che qualcosa gli fosse piombato sullo stomaco. Aprì gli occhi e si guardò attorno, del tutto incapace di riconoscere il luogo in cui si trovava. Poi vide che in piedi accanto a lui c’era la comandante Quinn, che lo osservava nella debole luce della sua lampada elettrica, con un pollice uncinato sulla fondina vuota dello storditore. Alzando una mano a palpeggiarsi l’addome scoprì che la cosa di cui aveva sentito il peso era un fagotto. Lo svolse con un grugnito, sbattendo le palpebre; si trattava di due tute rosse del tipo usato nella stazione, di misura diversa, e un paio di stivali di plastica da operaio.

— Mettiti una di queste — ordinò la mercenaria. — e cerca di fare presto, per favore. Credo di aver trovato il modo di liberarci del cadavere, ma bisogna arrivare sul posto prima del cambio di turno, se voglio trovare di servizio le persone giuste.

Ethan scelse una delle due tute e la indossò, dopo aver annaspato sulle insolite cerniere a pressione. Gli stivali erano troppo larghi, ma fu mentre si chinava per infilarseli che un giramento di testa lo fece cadere sui cuscini. Senza nascondere una certa impazienza Quinn lo aiutò ad alzarsi, lo fece sedere sopra il contenitore e accese di nuovo la barella antigravità. A cavalcioni su quel cilindro giallo Ethan aveva la stupida impressione d’essere un bambino di cinque anni, ma si sentiva più riposato e lottò per ritrovare energia. Dopo che la bruna mercenaria ebbe controllato in corridoio salì anche lei in sella al contenitore, che non si abbassò di un millimetro sotto il suo peso; poi i due lasciarono quei locali non visti come quando c’erano entrati e si avviarono nei labirinti periferici della stazione.

Se non altro non aveva più la sensazione che il suo cervello fosse sospeso in un vaso di sciroppo, si disse Ethan. Il mondo scorreva attorno a lui con aspetto e velocità normale, e nei suoi occhi non esplodevano più lampi di colore infuocato che gli lasciavano tracce pulsanti nella rètina. Ma l’elenco di novità positive si fermava lì, perché le tute da operaio che Quinn gli aveva portato per nascondere i suoi abiti athosiani erano di un rosso abbagliante. E un’onda di nausea minacciava di sollevarsi dal fondo del suo stomaco verso la gola, inarrestabile come una marea lunare. Si distese in avanti, per abbassare il suo centro di gravità rispetto alla barella fluttuante, e desiderò dolorosamente qualcosa di più delle tre ore di sonno che la bruna mercenaria gli aveva concesso.