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— Non siamo mai a corto! — esclamò lui. — A corto di tritoni? Che Dio ci scampi. — Guardò Ethan e il contenitore. — Ti servo subito: portane pure via cento chili. Duecento. Trecento, se hai posto.

— Un centinaio di chili sarebbe l’ideale. È tutto quel che posso permettermi di aggiungere al peso del bagaglio. Vorrei organizzare una dozzina di cene per soli ufficiali… uomini, magari, se mi spiego.

Il tecnico ridacchiò, poi la invitò a seguirlo e la precedette su per una scaletta metallica fino a un portello. Ethan colse al volo il rapido gesto di lei e si affrettò a tener loro dietro, manovrando la barella antigravità col telecomando.

A passi attenti il tecnico s’avviò lungo una sottile passerella metallica sostenuta da cavi. Sotto di loro, nel gorgoglio delle bolle d’ossigeno che emergevano alla superficie, l’acqua sibilava come una creatura vivente; la corrente fredda che saliva dal basso fece venire a Ethan la pelle d’oca e gli schiarì la mente. Alcuni gorghi regolarmente disposti facevano intuire la presenza di pompe d’aspirazione sul fondo verde-argento, fra le alghe. Dietro quella piscina se ne vedeva un’altra, e più lontano ce n’erano altre ancora, a perdita d’occhio.

La passerella li condusse a una piattaforma. Il rumore di bolle lasciò il posto a un forte sciacquio quando il tecnico sollevò il coperchio di una larga gabbia sommersa. Il contenitore di rete oscillava, fittamente ricolmo di forme nere e scarlatte che scivolavano una sopra l’altra.

— Oh, Dio, è già piena — esclamò l’uomo. — Inutile cercare di venderli tutti. Sei sicura di non volerne abbastanza per sfamare il tuo esercito?

— Mi piacerebbe, se potessi — ridacchiò Quinn. — Ti dico quello che farò: lascerò l’eccedenza giù all’Assimilazione, a tuo nome, quando avrò fatto la mia scelta. I ristoranti della Passeggiata del Viaggiatore hanno chiesto qualcosa?

— Nessuna ordinazione, oggi. Serviti pure.

Dale raccolse un telecomando e premette un pulsante; la trappola per tritoni si sollevò lentamente, con l’acqua che ruscellava giù da tutte le parti, e i tritoni restarono compressi in una massa compatta dove zampe e code continuavano a divincolarsi. Un altro pulsante del telecomando, un ronzio, e un lampo azzurro che pervase la gabbia. Ethan poté sentire sulla pelle il riverbero del potente storditore fin da dove stava. Gli anfibi smisero di agitarsi e giacquero immobili, tramortiti dalla scarica.

Il tecnico tolse uno scatolone di robusta plastica verde da una pila di altri identici e lo appoggiò su una bilancia digitale, sotto lo sportello di rete metallica sul fondo della gabbia. Azzerò la cifra sul display e aprì lo sportello. Dozzine di tritoni inerti scivolarono giù nello scatolone. Mentre il peso saliva verso i 100 chili rallentò il flusso, quindi prelevò a mano un ultimo corpo nero e chiuse lo sportello. Fatto ciò applicò un’etichetta, rimosse lo scatolone con un trattore a mano, ne mise al suo posto un’altro vuoto e ripeté l’operazione. Il contenuto della gabbia non bastò a riempire per intero il terzo scatolone. Fatto questo, il tecnico aprì il suo computer tascabile e registrò l’esatto totale della biomassa prelevata dal sistema.

— Vuoi che ti dia una mano a riempire il tuo contenitore? — domandò poi, indicando il cilindro di plastica gialla.

Ethan impallidì, ma la mercenaria disse allegramente: — Naah, torna pure giù ai tuoi monitor. Io sceglierò i miei tritoni uno per uno. Visto quel che costa il trasporto via nave, voglio soltanto i migliori.

Il tecnico sorrise e s’incamminò sulla lunga passerella. — Trovati i più succosi — disse. Quinn lo salutò con un cenno amichevole e attese di vederlo sparire oltre il portello d’ingresso.

— E ora veniamo a noi — disse, voltandosi verso Ethan. — Cerchiamo di far tornare queste cifre. Aiutami a spostare il caro estinto sulla bilancia.

Non fu facile. Okita s’era già irrigidito nel contenitore, e ciò che la mercenaria voleva fare richiedeva che fosse privato di tutti gli indumenti. Glieli tolsero con una certa fatica, insieme a un piccolo arsenale di armi letali, e quindi arrotolarono le sue proprietà terrene in un fagotto compatto.

Ethan aveva scacciato la paralisi dell’incertezza e della confusione per concentrarsi su un lavoro che capiva, almeno in parte. Mise il cadavere sulla bilancia e lo pesò. Qualunque fosse la situazione folle in cui era precipitato, lui aveva scoperto una grave minaccia per il pianeta Athos. L’istintiva prudenza che l’aveva spinto ad evitare la vicinanza della femmina mercenaria stava diventando, mentre la testa gli si schiariva sempre più, un altrettanto istintivo desiderio di non lasciarla sparire nel nulla prima di aver scoperto in qualche modo tutto ciò che lei sapeva sulla faccenda.

— Ottantuno virgola quarantacinque chilogrammi — le riferì nel suo miglior tono scientifico, quello che usava coi VIP in visita ai laboratori di Sevarin. — E ora?

— E ora metti il corpo in uno di quegli scatoloni, quindi aggiungi tritoni fino ai… uh, cento virgola sessantadue chilogrammi esatti — ordinò lei, dopo un’occhiata all’etichetta di uno dei contenitori. Quando Ethan ebbe finito (l’ultima frazione di chilo fu raggiunta accludendo mezzo tritone, grazie al taglio preciso di una vibrolama che lei si tolse di tasca) la mercenaria chiuse lo scatolone e lo sigillò con un nastro adesivo.

— Adesso ottantuno virgola quarantacinque chili di tritoni nel nostro contenitore per merci — disse. Quando anche quell’operazione fu terminata si trovarono con quattro contenitori (i tre scatoloni e il cilindro) il cui peso era lo stesso di prima.

— Vuole essere così gentile da dirmi cosa diavolo stiamo facendo? — la esortò Ethan.

— Trasformiamo un problema piuttosto difficile in uno molto più facilmente risolvibile. Ora. invece di un contenitore per merci spaziali il cui contenuto potrebbe farci incriminare per omicidio, dobbiamo soltanto liberarci di uno uno dentro cui c’è un’ottantina di chili di tritoni storditi.

— Ma non ci siamo ancora liberati del cadavere — obiettò lui, indicando uno degli scatoloni. Guardò le acque colme di bollicine. — Stai pensando di rimettere là dentro una parte dei tritoni? — domandò, incerto. — Potranno riprendere a nuotare, svenuti come sono?

— Ma niente affatto! — esclamò Quinn, stupita dalla sua ignoranza. — Questo sbilancerebbe il sistema. L’entrata-uscita della biomassa è calcolata con estrema precisione. Lo scopo di questa operazione è invece quello di far combaciare le registrazioni dei computer. In quanto al cadavere… fra poco vedrai.

— Tutto fatto? — disse il tecnico quando li vide entrare dal portello nel salone di controllo, seguiti dalla barella fluttuante su cui il contenitore e i tre scatoloni erano fissati con qualche giro di nastro.

— No, non proprio — rispose Quinn. — Quand’ero a metà lavoro mi sono accorta di aver portato con me un contenitore troppo piccolo. Dovrò tornare qui più tardi. Senti, dammi la ricevuta, così mi fermo all’Assimilazione e gli lascio questa roba a tuo nome. Del resto devo passare di là in ogni caso, per vedere Teki.

— Oh, sicuro, benissimo — annuì il tecnico, soddisfatto. — Ti ringrazio. — Inserì i dati nel computer, registrò qualcosa su un dischetto e glielo diede. La comandante Quinn se lo mise in tasca e salutò l’amico.

— Bene — mormorò accigliata quando la porta a pressione si chiuse con un lieve sibilo alle loro spalle. Sul suo volto c’era il primo segno di stanchezza che Ethan avesse visto in lei. — Dell’ultimo, atto di questa faccenda devo occuparmene io personalmente. — Notando l’espressione perplessa di lui, aggiunse: — Avrei potuto lasciare che fosse Dale a mandare il tutto giù al Reparto Vendite, ma avevo l’orribile dubbio che arrivasse un’ordinazione dell’ultimo minuto dalla Passeggiata dei Viaggiatori, e che Dale aprisse una scatola per mandargli un po’ di tritoni…