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Ma non c’era denaro che potesse riportare in vita una persona uccisa da un distruttore neuronico. Gli erano state gentilmente suggerite delle valide alternative: l’onorevole cliente desiderava un perfetto clone della sua defunta sposa? Pagandola, era possibile produrre una copia così identica che nessuno l’avrebbe mai distinta dalla Janine originale. Non avrebbe dovuto neppure aspettare diciassette anni perché il clone arrivasse alla maturità; in vasca, la crescita poteva essere molto accelerata.

Anche la personalità della copia poteva essere ricreata con un sorprendente grado di somiglianza, affidandola a ben pagati esperti… magari la si poteva perfino migliorare, se c’erano aspetti dell’originale che non avevano molto soddisfatto i gusti dell’onorevole cliente. Il clone non si sarebbe certo lamentato della differenza.

— Tutto ciò che mi occorreva per riaverla fra le mie braccia — disse Cee, — era una montagna di soldi, e la capacità di persuadere me stesso che la menzogna era verità. — Fece una pausa. — La montagna di soldi ce l’avevo.

Cee tacque e restò in silenzio, a lungo. Dopo qualche minuto Ethan si agitò, a disagio come un estraneo ad una veglia funebre.

— Non vorrei che pensasse che le sto facendo pressione — disse alla fine, — ma credo che lei sia sul punto di spiegarmi il nesso fra questi fatti e le 450 colture ovariche vive che Athos ordinò ai laboratori di Casa Bharaputra. È così? — E rivolse a Cee un sorriso conciliante, sperando che non decidesse di cambiare discorso per nascondergli le sue responsabilità nella faccenda, dopo avergliele ormai fatte sospettare.

Cee gli gettò un’occhiata penetrante, poi si passò le mani sulle tempie in un gesto stanco e frustrato. Alla fine disse: — L’ordinazione di Athos arrivò al reparto genetico dei laboratori di Casa Bharaputra mentre io mi trovavo là, a discutere con loro sulle possibilità di riportare in vita Janine. Teoricamente questo era possibile. La difficoltà stava nei danni subiti dal cervello, ma purtroppo la loro diagnosi sul corpo di lei mi tolse ogni illusione. Ero presente per caso quando li sentii parlare di Athos… non avevo mai sentito nominare quel pianeta. Ne trassi l’impressione che fosse un posto isolato e lontano, tranquillo, e pensai che se fossi andato laggiù forse avrei potuto lasciarmi alle spalle per sempre il mio passato e la gente come Millisor. Così, dopo che i resti mortali di Janine furono cremati… — deglutì, con espressione sofferente, evitando lo sguardo di Ethan, — lasciai il Gruppo Jackson e mi imbarcai su una rotta destinata a far sparire le mie tracce. Mi sono perfino procurato un lavoro qui su Stazione Kline. per mascherare la mia identità intanto che aspettavo un’astronave diretta su Athos.

«Sono arrivato qui soltanto cinque giorni fa. Per abitudine ho controllato subito i registri dei viaggiatori in transito, alla ricerca di eventuali cetagandani. E ho scoperto che Millisor alloggiava qui da tre mesi facendosi passare per un commerciante di oggetti d’arte e di artigianato. Dapprima avvicinarlo senza che i suoi uomini mi individuassero è stato un problema, ma poi gli sono arrivato a distanza abbastanza breve da potergli leggere la mente con una certa chiarezza. Ho scoperto così che lui e gli altri stavano frugando in tutta la stazione per cercare lei e Okita. Il loro proposito è quello di rintracciare me, ovviamente, ma con un uomo in meno hanno delle difficoltà. Non riescono neppure a coprire tutti i moli dove ci sono navi passeggeri in partenza o in arrivo. Questo è un vantaggio di cui devo ringraziare lei, dottor Urquhart. Posso chiederle come è riuscito a eliminare Okita?

Ethan rifiutò di lasciarsi distrarre. — Lei cos’ha avuto a che fare con il lavoro dei Laboratori Bharaputra sull’ordinazione di Athos? — chiese, inchiodandogli addosso in via sperimentale uno sguardo fermo e inespressivo.

Cee si umettò le labbra. — Niente. Millisor pensa che io c’entri per qualcosa, lo so. Temo di avergli lasciato credere che sia così, tanto per dargli una falsa pista.

— Guardi che io non sono ingenuo come posso sembrarle — disse cortesemente Ethan. Cee ebbe un gesto come a dire che non l’aveva mai pensato. — Si dà il caso che io abbia saputo, da un’altra fonte molto attendibile, che la squadra genetica principale di Casa Bharaputra ha lavorato per ben due mesi su un’ordinazione che avrebbe potuto essere soddisfatta in una settimana. — Indicò la misera cameretta intorno a loro. — Noto anche che lei sembra aver già speso altrove la sua montagna di denaro. — Raddolcì la voce ancor di più. — Li ha incaricati di ricavare delle colture ovariche dal corpo di sua moglie, invece di farla clonare, quando ha capito che la clonatura non le avrebbe restituito la persona che lei era? E li ha pagati per spedire queste colture ad Athos, con l’idea di seguirle sul nostro pianeta?

Cee deglutì saliva. Agitò una mano come per cercare qualche scusa, ma infine sussurrò soltanto: — Sì, signore.

— Colture ovariche contenenti il complesso di geni della glandola pineale mutata?

— Sì, signore. La sua eredità genetica, inalterata. — Cee abbassò gli occhi al suolo. — Lei amava i bambini. Sperava di averne da me, appena fossimo stati certi d’essere al sicuro, prima che Rau spegnesse anche quel sogno. Perciò… quella era ormai la sola cosa. l’unica cosa al mondo che io potessi fare per lei. Qualsiasi altra cosa, come ad esempio un clone, l’avrei fatto meramente per me. Riesce a capirlo, signore?

Ethan, commosso, annuì. In quel momento sarebbe stato disposto a rimbeccare senza esitare qualsiasi fondamentalista athosiano che avesse affermato che la fissazione di Cee per la sua femmina era disgustosa e preistorica, indegna di un uomo dalla mente libera. Quel sentimento inaspettato, così radicale, gli diede un brivido. E tuttavia s’era tanto immedesimato nelle parole di Cee da sentirlo, quasi, come un sentimento suo…

Il cicalino della porta emise un ronzio secco.

I due uomini balzarono in piedi. Cee si portò una mano sotto la blusa in cerca di un’arma nascosta e lo guardò allarmato. Ethan aveva il fiato mozzo.

— Qualcuno sa che lei è qui? — sussurrò Cee.

Ethan scosse il capo. Ma aveva promesso a quel giovanotto la protezione di Athos, per quel che valeva. — Apro io — si offrì. — Lei, uh… mi copra — aggiunse, mentre l’altro cominciava a obiettare. Cee annuì e si trasse da parte, tenendosi pronto.

Ethan sfiorò il pulsante. Il battente scivolò di lato con un sibilo.

— Buongiorno, ambasciatore Urquhart. — La bruna femmina in attesa fuori dalla porta gli elargì un sorrisetto. — Ho sentito dire che l’ambasciata athosiana è disposta ad assumere guardie, impiegati ed esperti in spionaggio. Non cercate oltre. Elli Quinn è qui, tutte e tre le cose in una sola persona. Faccio anche sconti speciali per salvare e togliere dai guai stranieri in difficoltà su Stazione Kline, purché l’offerta mi pervenga prima di mezzanotte. — E dopo un momento aggiunse: — Mancano cinque minuti, perciò hai tutto il tempo di invitarmi a entrare.

CAPITOLO NONO

— Ancora lei! — esclamò Ethan, incredulo di vederla lì. Poi le implicazioni di ciò che la mercenaria aveva detto lo colpirono, e la gratificò di uno sguardo ostile. — Dove mi ha appiccicato la microspia, stavolta?

— Nella tua carta di credito — rispose lei senza esitare. — Era l’unica cosa che ti portavi anche a letto. Si appoggiò allo stipite della porta e sporse la testa, per guardare dentro oltre le spalle di Ethan. — Non vuoi presentarmi al tuo nuovo amico? È il minimo che puoi fare, dopo avermi trasmesso la sua triste storia.