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— Potrei farle notare, comandante Quinn, che il signor Cee ha già chiesto asilo politico al pianeta Athos.

Lei non si sprecò neppure a fare del sarcasmo. — Sì, lei ha chiesto protezione, signor Cee — disse subito. — Se è Millisor che teme, quale posto migliore che in mezzo a un esercito?

C’era il fatto, fu costretto a riflettere Ethan, che la comandante Quinn appariva molto avvenente quando si arrossava in viso e si eccitava così. Pochi uomini giovani, su Athos, avevano quel genere di avvenenza. E i non-athosiani trovavano attraenti le femmine… sbirciò Cee, senza parere, e fu sollevato nel vedere che appariva freddo e analitico. Notevole. Lo stesso Ethan, se tutta quella passione fosse stata diretta su di lui, avrebbe potuto sentirsi tentato di firmare l’ingaggio. Chissà se i Dendarii avevano bisogno di un medico-chirurgo?

— Suppongo — disse seccamente Cee, — che prima di assumermi il suo ammiraglio mi interrogherebbe.

— Be’ — lei si strinse nelle spalle. — Direi di sì.

— Con una droga della verità, senza dubbio.

— Ah… questa è la prassi con tutti i nuovi dipendenti del Servizio Informazioni. Nonostante la sincerità dei soggetti è possibile che qualcuno abbia ricevuto un "impianto’", materiale o psichico, senza saperlo.

— Un esame completo in tutti i sensi, dunque.

Lei sospirò un assenso. — Noi disponiamo dell’attrezzatura per tutti i test fisici e mentali, ovviamente. Se fosse necessario.

— E sapete come usarla. Se fosse necessario.

— Quella a cui presumo si stia riferendo, non la usiamo con la nostra gente. Solo con gli estranei.

— Signora — Cee si toccò la fronte. — quando questa cosa è attivata, io sono il più estraneo che lei abbia mai visto.

Un po’ dell’energia nervosa della mercenaria si spense, e per la prima volta mostrò i sintomi del dubbio. — Ah. Mmh.

— E se decidessi di non unirmi a voi… lei cosa farà allora, comandante Quinn?

— Oh, be’… — disse lei con un’aria che a Ethan parve quella di una gatta che stesse fingendo di non inseguire il topo. — Lei non è ancora fuori da Stazione Kline. Millisor è sempre in giro a darle la caccia. Io sono in erado di farle un favore o due…

Era un’offerta sincera, o dietro di essa si nascondeva la minaccia di consegnarlo ai suoi avversari?

— In cambio, lei può darmi altre informazioni su Millisor e sui servizi di controspionaggio cetagandani. Così avrò almeno qualcosa da riportare all’ammiraglio Naismith.

Ethan immaginò la gatta che orgogliosamente depositava il topo morto ai piedi del suo padrone.

Cee doveva aver visualizzato sospetti dello stesso genere, perché in tono sarcastico chiese: — La mia salma in un sacco di plastica servirebbe allo scopo?

— L’ammiraglio Naismith non è la persona che lei crede, glielo assicuro — disse Quinn.

Cee sbuffò. — Cosa ne sapete voialtri ciechi di quel che c’è davvero nella mente degli altri? Potete forse dire di conoscere a fondo qualcuno? Quando io la guardo, cieco come sono adesso ai suoi pensieri, cosa ne so di lei?

Costretta su quel piano retorico certo non molto pratico dal suo punto di vista, Quinn esitò. — Be’, non è esattamente con occhi ciechi che tutti noi giudichiamo gli altri — disse infine. — Noi soppesiamo le azioni e le parole, senza fermarci alle apparenze esterne. Facciamo le nostre ipotesi, per quanto in parte basate sulla fantasia. E poi decidiamo se fidarci o meno di una persona. — Si volse a Ethan con aria d’attesa e lui annuì, per onestà, anche se non aveva alcuna voglia di appoggiare le argomentazioni della mercenaria.

Cee scartò quelle parole con un gesto secco. — Sia le azioni che le parole possono mentire, o non fornire indizi sulla realtà. Io ho visto persone oneste servire passivamente dei criminali, convinte d’essere nel giusto. Quando dico che è cieca, lei non capisce fino a che punto lo è. — Andò verso la finta finestra e guardò l’ologramma del panorama silvestre, poi si girò di nuovo. — Io devo sapere. Devo sapere. — Li guardò entrambi, come se davanti a lui ci fosse un muro di tenebra in cui non vedeva niente. — Procuratemi un po’ di tyramina. Poi parleremo. Quando potrò sapere chi siete realmente.

Ethan si chiese se il disappunto che sentiva di avere sulla faccia fosse lo specchio di quello sulla faccia di Quinn. Si scambiarono un’occhiata, senza alcun bisogno della telepatia per intuire i pensieri dell’altro: Quinn era senza dubbio preoccupata dei suoi segreti e delle procedure del Servizio Informazioni Dendarii; lui, be’… era destino che Cee prima o poi scoprisse quale errore aveva fatto rivolgendosi a lui per essere protetto. Ma forse era meglio così. Ethan ebbe un sospiro di rimpianto al pensiero di dover rinunciare all’immagine di sé che aveva creato per gli occhi di Cee. Ma uno sciocco lo era due volte se cercava di nasconderlo. — D’accordo, per me sta bene — concesse in tono lugubre.

Quinn si stava mordicchiando un labbro con espressione assente. — Questo è obsoleto — mormorò. — Stando così le cose, ora dovranno cambiare tattica… ma Millisor sapeva già tutto questo. E il resto sono soltanto fatti miei, personali. — Si volse a Cee. — Come vuole.

Il giovanotto la guardò stupito. — Lei è d’accordo?

Quinn storse la bocca in una smorfia. — È la prima volta che il signor ambasciatore athosiano e io ci troviamo d’accordo su qualcosa, non è vero? — Inarcò un sopracciglio verso Ethan, che bofonchiò: — Umpf.

— A me occorre della tyramina pura — disse loro Cee. — Voi sapete dove trovarla?

— Oh, qualsiasi farmacia dovrebbe tenerne un poco — disse Ethan. — Ha un uso medicinale abbastanza esteso anche fuori Athos, da quanto ho letto nelle riviste di…

— C’è un problema, se bisogna per forza rivolgersi a una farmacia — lo interruppe bruscamente Cee, come irritato da quell’ipotesi.

Quinn annuì subito, con un sospiro. — Già, è ovvio.

— È ovvio cosa? — domandò Ethan.

— Ora capisco perché Millisor agisce sotto le spoglie di un commerciante — disse la mercenaria. — Si è dato molta pena per inserirsi nella rete commerciale computerizzata, senza preoccuparsi troppo di cercare tracce collegate alla presenza di turisti e lavoratori stranieri. Mi chiedevo perché, e quale misterioso motivo lo inducesse a buttare via soldi per iscriversi alla Camera di Commercio. — Nei suoi occhi neri brillava una luce soddisfatta.

— Ah, sì? — disse Ethan, perplesso.

— È una trappola, vero? — domandò Quinn a Cee.

Il giovanotto ebbe un cenno d’assenso.

La mercenaria spiegò a Ethan: — Millisor ha chiesto dei servizi alla rete commerciale computerizzata. Scommetto che se qualcuno, qui su Stazione Kline, acquista un medicinale che contiene una pur minima percentuale di tyramina, sulla sua consolle di comunicazione arriva automaticamente un messaggio. Dopodiché lui manda Rau, o Setti, o magari un impiegato della Camera di Commercio, a controllare se si tratta di un falso allarme. Oh, sì. Molto logico. Del resto, sono professionisti.

Quinn andò a sedersi e per qualche momento rifletté, grattandosi uno dei candidi incisivi superiori con un’unghia. Anche lei era una ex-mangiatrice di unghie, diagnosticò Ethan riconoscendosi in quel gesto.

Poi la bruna rialzò lo sguardo. — Forse ho il modo di aggirare questo ostacolo — mormorò.

Ethan non aveva mai pensato che un giorno gli sarebbe successo di lavorare a un posto d’ascolto di spionaggio, e trovava affascinante quella tecnologia. Terrence Cee si mostrava assai più distaccato, certo perché non era nuovo a esperienze simili e all’uso di strane attrezzature. I Dendarii, evidentemente, si basavano molto su oggetti micro-miniaturizzati di produzione betana. Soltanto la necessità d’interfacciarsi con gli occhi e le mani dell’uomo faceva sì che il terminale di controllo, appoggiato sul tavolino davanti a Cee e ad Ethan, avesse le dimensioni di un libro tascabile.