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Quinn sospirò, con un sorrisetto aspro. — Sì, avevi ragione dicendo che non avrei trovato molto fra i prodotti nostrani. Hai un’idea di quanto sia diventato poco spiegabile il mio conto spese? — Guardò Terrence Cee, oltre le bottiglie e le confezioni sigillate che riempivano il tavolo. — Buon appetito.

La mercenaria si tolse le scarpe e si distese sul letto gonfiabile di Cee. con le inani intrecciate dietro la nuca e un’espressione di grande interesse sulla faccia. Ethan tolse il sigillo di plastica a una bottiglia da un litro di vino bianco, e dispose volonterosamente nel poco spazio libero le posate e i piatti usa-e-getta forniti dal distributore della camera.

Cee annusò con espressione dubbiosa i formaggi, sedette a tavola di fronte a lui e domandò: — Dottor Urquhart, è sicuro che questo metodo funzionerà?

— No — ammise lui con franchezza, — però mi sembra un esperimento abbastanza innocuo per l’organismo, se consideriamo che lei non sta assumendo sostanze pericolose.

Dal letto provenne un borbottio ironico. — La scienza è una cosa meravigliosa, no? — disse Elli Quinn.

CAPITOLO DECIMO

Tanto per far compagnia a Cee, Ethan mangiò alcuni cubetti di fegato di pollo, qualche sottaceto e un po’ di cioccolato; poi si lasciò convincere ad assaggiare i vini. Il chiaretto era aspro e scadente malgrado il prezzo, ma il Borgogna gli parve ben invecchiato e lo Champagne (come dessert) risultò all’altezza della sua fama. La leggerezza di cui si sentiva preda lo avvertì poi che quell’assaggio era già andato troppo in là. Si chiedeva come reggesse allo sforzo Cee, che seduto di fronte a lui mangiava e beveva doverosamente tutto ciò che poteva.

— Comincia a sentire qualcosa? — gli domandò Ethan. ansiosamente. — Vuole che le apra questo vasetto di aringhe? Ancora un po’ di formaggio piccante? Un bicchiere di birra?

— Un’insalata di pillole anti-nausea? — propose Quinn, premurosa. Ethan la guardò con disapprovazione. Cee rifiutò le loro offerte con un gesto e si pulì la bocca, deglutendo un ultimo boccone.

— Sono sazio, grazie — disse. Si massaggiò la nuca e il collo, e dal suo grugnito diagnosticò un incipiente mal di capo. — Dottor Urquhart, lei è certo che neppure una parte delle colture ovariche ricevute da Athos erano quelle spedite da Casa Bharaputra?

Ethan aveva l’impressione di aver risposto un milione di volte a quella domanda. — Ho aperto il contenitore io stesso, e in seguito ho esaminato il materiale ricevuto dagli altri centri. Non si trattava neanche di colture, ma di semplici pezzi di ovaie e carne morta.

— Janine…

— Se la sua, uh, donazione d’organi è stata usata per produrre cellule-uovo…

— È stata usata. Tutte e due le ovaie.

— … in tal caso non era nei contenitori. Neppure una frazione.

— Io stesso ho assistito al confezionamento dei pacchetti sigillati — disse Cee. — Ero presente quando i contenitori sono stati spediti, al reparto merci dello spazioporto, sul Gruppo Jackson.

— Questo restringe, anche se di poco, il tempo e il luogo dov’è avvenuta la sostituzione — disse Quinn. — Può essere accaduto qui su Stazione Kline, nei due mesi che il materiale ha trascorso in magazzino. Ciò lascia, se ricordo bene, uh, 426 astronavi di cui andrebbe riesaminata la lista dei passeggeri e il carico. — Sospirò. — Un lavoro, sfortunatamente, oltre le mie possibilità.

Cee versò del Borgogna in un bicchiere di plastica e bevve ancora. — Oltre le sue possibilità, o semplicemente di nessun interesse per lei?

— Mmh… e va bene, entrambe le cose. Voglio dire, se io volessi davvero rintracciare quel carico potrei aspettare che sia Millisor a fare il lavoro e limitarmi a tenerlo d’occhio. Ma l’interesse delle colture ovariche sta soltanto nel fatto che contengono un materiale genetico il quale, se ho capito bene, è anche nelle sue cellule. Una manciata di capelli o una provetta del suo sangue potrebbero bastarmi. Oppure, per fare meglio le cose, un po’ di… — Tacque, lasciando che Cee capisse a quale altro tipo di prelievo stava alludendo.

Il giovanotto cambiò discorso. — Io non posso aspettare che Millisor rintracci quelle colture. Appena lui e la sua squadra avranno finito i loro controlli sui passeggeri arrivati di recente, sapranno che io sono qui su Stazione Kline.

— Lei ha ancora un certo margine di tempo — osservò Quinn. — Sono certa che i cetagandani sprecheranno delle giornate dietro quel povero innocente di Teki, per scoprire se lei lo contatta. Forse si annoieranno al punto di rinunciare e andranno via da qui — si augurò, — risparmiandomi così di completare un lavoro antipatico per conto di Casa Bharaputra.

Cee si volse a Ethan. — Athos non vuole il materiale che ha ordinato e pagato?

— Ci abbiamo rinunciato. Ritrovarlo significherebbe risparmiare la spesa di un’altra ordinazione, ma temo di non vedere dove starebbe il nostro guadagno se Millisor venisse a cercare quelle ovaie su Athos, seguito da un esercito e con propositi di genocidio nella mente. È così ossessionato dal timore che qualcuno possa averle, che… in realtà vorrei potergli consegnare io stesso quella dannata roba, per assicurarmi che Athos si liberi di lui una volta per tutte. — Allargò le mani verso Cee. — Mi scusi, ma le cose stanno così.

Cee sorrise mestamente. — Non si scusi per la sua onestà, dottor Urquhart. — In tono più teso continuò: — Ma lei deve capire che non possiamo permettere che quel complesso genetico cada nelle loro mani. La prossima volta saranno molto più sottili nell’assicurarsi che i telepati siano schiavi fedeli dei Ghem-lord, e non ci sarà limite all’uso corrotto e mostruoso che sapranno farne.

— Possono davvero allevare esseri umani privi di libero arbitrio? — domandò Ethan, con un brivido. La vecchia frase "È un abominio agli occhi di Dio il Padre" sembrava riempirsi di un significato molto reale e inquietante. — Devo ammettere che l’idea non mi piace affatto, seguendola fino alle sue logiche conclusioni. Macchine di carne, capaci di…

Quinn lo interruppe, dal letto, in un tono che Ethan cominciava a riconoscere come il prodotto di un pensiero assai rapido: — A me sembra che il genio sia ormai uscito dalla bottiglia, sia che Millisor ritrovi o non ritrovi quel materiale. Millisor pensa in termini di operazione da controspionaggio, per semplice abitudine di lavoro. Lo cerca con tanto accanimento solo per assicurarsi che nessun altro lo abbia. Ma ora che Cetaganda ha ottenuto un certo risultato scientifico, dimostrando che è possibile, è solo questione di tempo prima che qualcun altro lo replichi. Dieci anni, venti al massimo. Quando i cetagandani avranno schiere di telepati con cui schiacciare l’opposizione al loro regime, ci saranno già eserciti di telepati liberi che si opporranno ad essi. — Il suo sguardo scrutò Cee come se cercasse qualche punto del suo corpo da cui prelevare subito un po’ di preziose cellule.

— E cosa le fa pensare che al servizio del suo ammiraglio Naismith farei qualcosa di meglio di quando lavoravo per i cetagandani?

Quinn si schiarì la gola. Il telepate le stava leggendo nella mente fin da quando aveva cominciato a far domande, comprese Ethan, e lei se ne rendeva conto.

— In questo caso, spedisca un campione del suo tessuto organico a tutti i governi della galassia, se preferisce. — Ebbe un sogghigno lupesco. — Millisor sarà richiamato in patria per riscuotere il prezzo del suo fallimento, lei avrà avuto la sua vendetta, e Athos tornerà ad essere un posto privo d’interesse per tutti. Mi sembra una soluzione rapida ed efficiente.

— Una soluzione da cui nascerebbero cento razze di schiavi? — disse Cee. — Cento minoranze di mutanti, temute e odiate, o controllate da regimi dittatoriali con tutti i mezzi ritenuti necessari dai loro padroni? Schiavi alla catena… o esseri umani destinati a fuggire in eterno, sempre incalzati da chi li teme troppo per consentire che esistano?