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Ethan lo guardò preoccupato.

— Sente dolore? È una cosa collegata alla telepatia?

— Sì. Non importa. È sempre così. — Cee andò a sdraiarsi sul letto e si coprì il volto con una mano.

— Cosa pensa di fare? — domandò Ethan a Quinn, che stava uscendo.

— Per prima cosa guarderò se nelle mie trappole per dati è rimasta imprigionata qualche informazione. Poi cercherò di sondare con molta discrezione il personale dei magazzini. In quanto a ciò che il supervisore umano di un sistema automatizzato potrà ricordare di un singolo carico, a sette mesi di distanza dai fatti… Oh, be’. Se non altro avrò scartato una pista. Tu potresti restare qui anche oggi, dottor Urquhart; questo posto è sicuro quanto un altro. — Un cenno del capo gli suggerì in silenzio: E già che ci sei, tieni d’occhio il nostro amico.

Ethan ordinò alla consolle di servizio della stanza tre quarti di grammo di acido acetil-salicilico e un po’ di vitamina B. e mise le due pasticche in mano al giovane telepate.

Cee le ingoiò e si girò di fianco, rivolgendogli un gesto mi-lasci-stare-io-posso-anche-morire che non ebbe certo l’effetto di tranquillizzarlo. Ma dopo una ventina di minuti la sofferente apatia che s’era impadronita di lui lasciò il posto al sonno.

Ethan rimase a vegliarlo e ruminò sulle sue scarse possibilità d’azione. Lui non aveva niente da offrire, o almeno niente di simile al repertorio di trucchi elettronici e di esperienza che Quinn sapeva usare così bene. Tutto ciò che aveva era la crescente convinzione che stessero avvicinando il problema dall’estremità sbagliata.

Il ritorno di Quinn svegliò Ethan, addormentato sul pavimento. Si tirò in piedi e andò ad aprire la porta, sfregandosi gli occhi appiccicosi. I polpastrelli delle dita gli dissero che avrebbe dovuto farsi la barba. Forse Cee poteva prestargli un rasoio, o un po’ di depilatore.

— Dov’è stata fin’ora? Ha trovato qualcosa? — le domandò.

La mercenaria scrollò le spalle. — Millisor continua a mantenere la sua routine di copertura. Rau, come già sappiamo, lavora al suo posto d’ascolto per il monitoraggio delle richieste di tyramina. Potrei fare una chiamata anonima alla Sicurezza della Stazione per rivelare dove si trova, ma se poi evadesse di nuovo dal Reparto Detenzione non saprei più dove andare a cercarlo. In quanto al supervisore del magazzino, è in grado di bere litri di acquavite di marca e di parlare per ore di ciò che ha fatto fino al massimo di una settimana fa, ma oltre questo limite non ricorda nulla. — Lei doveva avergli fatto buona compagnia, a giudicare dal suo alito.

Svegliato dalle loro voci, Cee si tirò a sedere sul letto. Esaminò la situazione, mugolò: — Ah! — e tornò a sdraiarsi, lentamente e sbattendo le palpebre. Dopo un poco si alzò di nuovo. — Che ore sono?

— Le diciannove zero-zero — rispose Quinn.

— Dannazione — Cee si alzò in piedi con cautela. — Ieri era il mio giorno di libertà, ma oggi devo andare al lavoro. Sono nel turno di notte.

— È proprio necessario? — domandò ansiosamente Ethan.

Quinn annuì giudiziosamente. — È meglio che mantenga la sua copertura il più a lungo possibile. Finora ha funzionato bene.

— Quello che devo mantenere è la mia paga — disse Cee, — se voglio comprarmi un biglietto per andar via da questa trappola per topi.

— Io posso pagarle una cabina su una nave passeggeri — offrì Quinn.

— Quella su cui partirà lei, eh? — disse Cee.

— Be’, naturalmente.

Cee scosse il capo e andò nel bagno, con una tuta fra le mani.

Quinn vide la carta di credito del giovanotto, la infilò nella consolle e ordinò al distributore succo d’arancia e caffè. Ethan ripulì il piccolo tavolo per fare un po’ di posto e accettò con gratitudine entrambe le bevande.

Quinn succhiò un sorso di liquido nero e caldo dal bulbo trasparente.

— Be’, il mio pomeriggio non è stato molto proficuo, dottore. E il tuo? Cee ha detto qualcosa di nuovo?

Lo stava dicendo solo per fare conversazione, pensò Ethan. Probabilmente la bruna mercenaria aveva registrato ogni loro sussurro.

— Abbiamo dormito finora — rispose, bevendo il caffè. Era una miscela artificiale dal sapore irriconoscibile, senza dubbio derivata da prodotti innominabili riciclati un milione di volte, ma Ethan rifletté che andava sul conto di Terrcnce Cee e non volle lamentarsi. — Comunque, ho pensato al problema di come rintracciare quel carico. Mi sembra che finora abbiamo affrontato la cosa nel modo sbagliato. Guardi, ad esempio, il genere di materiale che è arrivato su Athos.

— Spazzatura, a quanto hai detto. In tutti gli scatoloni.

— Sì, però…

Tre deboli note musicali, come quelle di un telefono portatile, uscirono da una tasca della blusa bianca e grigia di Quinn. Lei si frugò addosso mormorando: — Cosa diavolo… oh, no. Teki, ti avevo detto di non chiamarmi mai… — Quello che tirò fuori non era però un portatile, ma un minuscolo apparecchio sul cui display palpitava un numero.

— Cos’è? — domandò Ethan.

— Un rintracciatore. Poche persone hanno il mio codice. Non lo si ottiene dai computer della stazione, ma Millisor ha un’attrezzatura che potrebbe… uh, questo però non è il numero telefonico di Teki, neppure quello del suo ufficio.

Quinn andò a sedersi alla consolle di comunicazione e usò ancora la carta di credito di Cee. — Tu non parlare, dottore, e stai fuori dal campo della telecamera.

Compose il numero e la persona che aspettava la sua chiamata apparve subito sulla piastra olovisiva. Si trattava di una femmina giovane dai capelli biondi, vide Ethan, vestita con una tuta azzurra.

— Oh — disse Quinn, sollevata. — Sei tu, Sara. — Le sorrise. — Che c’è di nuovo?

La bionda non rispose al suo sorriso. — Salve, Elli. Teki è lì con te?

Una goccia di caffè uscì dal tubicino quando la mano di Quinn strinse convulsamente il bulbo. Il suo sorriso s’incrinò. — Con me? Ti ha detto che veniva a cercarmi?

Gli occhi di Sara si strinsero.

— Non fare questi giochetti con me, Elli. Puoi riferire a quel signore che io ero alla Felce Azzurra, puntuale come sempre. E che nessuno può farmi aspettare tre ore come una stupida, specialmente dopo che una persona di mia fiducia, non dico chi, lo ha visto insieme a tu-sai-chi.

Guardò la blusa bianca e grigia di Quinn e si accigliò. — Comunque l’ho sempre saputo che gli piacciono le uniformi. Ora devo andare. Ah… già che ci sei, digli pure che una certa festicciola, stasera, non avrà bisogno della sua presenza, perché è una festicciola fra amici. — E mosse una mano verso il pulsante di spegnimento.

— Aspetta, Sara! Non staccare. Teki non è qui con me. Lo giuro! — Quinn, che s’era piegata in avanti come per entrare nell’olovideo, si rilassò quando vide la mano della bionda fermarsi. — Che significa questa storia? L’ultima volta che io ho visto Teki è stato questa mattina, prima che andasse al lavoro. So che poi è andato all’Ufficio Ecologico. Aveva appuntamento con te, oggi pomeriggio?

— Doveva portarmi a cena fuori, e poi a un balletto zero-G, per il mio compleanno. Lo spettacolo è cominciato un’ora fa. — La ragazza fece un respiro per calmarsi, ma era sempre più irritata. — Ho pensato che avesse da fare sul lavoro, e ho telefonato là. Ma mi hanno detto che è uscito alla solita ora.

Quinn guardò l’orologio. — Capisco. — Le sue mani si strinsero sul bordo della consolle. — Hai provato a chiamare casa sua, o qualcuno dei suoi amici?

— Ho chiamato dappertutto. Il tuo numero me l’ha dato tuo padre. — La ragazza si accigliò ancora, sempre insospettita.