— Plasmosi virale Alpha S-D-3.
La mano dell’impiegata si fermò sulla tastiera. — La plasmosi virale Alpha S-D-2 è una necrosi delle mucose epiteliali trasmessa per contatto sessuale, originaria di Varusa Tertius. È questo il contagio a cui si riferisce?
Quinn scosse il capo.
— Questo è un nuovo e più virulento ceppo mutante dei virus che trent’anni fa ha praticamente sterminato la popolazione di un emisfero di Varusa Tertius. Il vaccino per il tipo S-D-3 non è stato ancora bio-programmato, come lei avrà certo saputo… Non ne siete al corrente, lì al Biocontrollo?
L’impiegata aveva sollevato le sopracciglia. — No, signora. — Batté altre cose, furiosamente, e poi si girò a prendere anche una nota scritta che consegnò a qualcuno fuori campo. — E il nome del sospetto vettore del contagio?
— Ghem-lord Harman Dal, un cittadino cetagandano, commerciante di oggetti artistici e artigianali. Ha appena aperto un’agenzia sulla Passeggiata di Viaggiatori, con una licenza avuta dalla Camera di Commercio poche settimane fa. È già venuto in contatto con una dozzina di persone. Non tutte dell’altro sesso, a quanto mi risulta.
Harman Dal, si appuntò Ethan, doveva essere l’altra identità di Millisor.
— Santo spazio — mormorò l’impiegata, — darò inizio alla procedura. Ah… — Fece una pausa, cercando le parole. — Come è venuta a conoscenza della malattia di questo individuo?
Lo sguardo fermo di Quinn si distolse dal volto dell’impiegata per abbassarsi ai suoi piedi, po’ su un angolo lontano della stanza, poi sulle sue mani. Si schiarì la gola. Sarebbe arrossita, se avesse avuto il tempo di trattenere il fiato abbastanza a lungo. — Lei come crede che io ne sia venuta a conoscenza? — disse, alla fibbia della sua cintura.
— Ah. — L’impiegata spalanco gli occhi. — Be’, in questo caso devo informarla che lei ha l’obbligo di presentarsi quanto prima a questo ufficio. Le assicuro che tutti i casi di malattie che riguardano la sfera intima sono mantenuti rigorosamente confidenziali. Lei potrà essere visitata dal nostro primario del Reparto Malattie Infettive, del tutto gratuitamente…
— Voglio sperarlo — annuì Quinn. mostrando un improvviso nervosismo. — Posso venire giù subito? Però senta… temo che se non intervenite con urgenza quel porco di Dal metterà nelle vostre mani tredici pazienti invece di dodici.
— Le assicuro, signora, che il nostro dipartimento sa come occuparsi di questi casi delicati. La prego di appoggiare sullo schermo un suo documento d’identità, in modo che il computer possa leggerlo.
Quinn eseguì, promise ancora di presentarsi immediatamente al Reparto Quarantena, si fece rassicurare sulla riservatezza della cosa, fu ringraziata, e chiuse la comunicazione.
— Ecco fatto, Teki — sospirò. — I soccorsi sono per strada. Io ho firmato col mio nome un atto criminale, ma valeva la pena di pagare questo prezzo.
— Prendere una malattia venerea è contro la legge, qui? — domandò Ethan, perplesso.
— No, ma inoltrare una falsa denuncia contro qualcuno e un falso rapporto per contagio epidemico sono reati ovunque, suppongo. Non puoi mettere in allarme le squadre di pronto intervento e poi sperare di passarla liscia, specialmente se gli hai lasciato le tue generalità… del resto non sarebbe possibile farle muovere con una denuncia anonima. Però preferisco affrontare la legge che un distruttore neuronico tutti i giorni; questo sarebbe assai più micidiale per il mio conto spese.
Cee la stava guardando con stupore. — L’ammiraglio Naismith lo approverebbe?
— Farà coniare una medaglia apposta per decorarmi. — Quinn gli rivolse un sorrisetto allegro, anche se non sembrava affatto tranquilla. — Ora veniamo a noi. Quelli del Pronto Intervento troveranno molta più resistenza di quel che si aspettano dai nuovi pazienti. Meglio che qualcuno fornisca loro un certo tipo di appoggio. Lei sa usare uno storditore, signor Cee?
— Sì, comandante.
Ethan si schiarì la voce e alzò una mano, esitante. — Io ho avuto l’addestramento standard, nell’esercito athosiano — udì se stesso dire, follemente.
CAPITOLO UNDICESIMO
Alla fine fu Ethan, e non Cee, che Quinn scelse per affiancarla in quella che definì "la seconda ondata di questo assalto".
La bruna mercenaria lasciò il telepate appostato agli ascensori antigravità in fondo al corridoio su cui si apriva l’albergo di Millisor. armato con uno dei due storditoli di cui lei disponeva.
— Rimani fuori vista, e spaia su tutti quelli che arrivano da questa parte con atteggiamento sospetto — lo istruì. — E non pensarci troppo prima di premere il grilletto. Con uno storditore puoi sempre chiedere scusa dopo, per i tuoi errori.
A quella frase Ethan inarcò dubbiosamente un sopracciglio, mentre si girava per avviarsi con lei sul marciapiede.
— Non guardarmi così. Non credo che sparerà su una vecchietta, o su un cardiopatico — borbottò Quinn. voltandosi a controllare il nascondiglio di Cee fra le piante in vaso, le proiezioni olografiche e i terminali di comunicazione all’uscita del pozzo antigravità. Ethan vide che gli alberghi della zona, compreso quello di Millisor, erano evidentemente per turisti le cui possibilità economiche superavano le sue.
Entrarono e dopo aver oltrepassato l’atrio si avviarono nel corridoio di sinistra, deserto e silenzioso. Fu in quel momento che una sgradevole pecca del piano d’attacco della mercenaria cominciò a disturbarlo. — Senta, se non dà uno storditore anche a me come posso affiancarla?
— Ne avevo soltanto due — mormorò lei, spazientita. — Ecco, prendi il mio medikit. Tu sarai il medico.
Ethan esaminò con una smorfia la cassettina che s’era staccata dalla cintura, larga un palmo. — E cosa dovrei fare? Sbatterla in testa a Rau prima che lui usi il suo distruttore neuronico?
— Bravo, questo è lo spirito giusto — disse lei, con un brevissimo sorriso. — Se ne avrai l’occasione, certo. Ma Teki avrà bisogno di un antidoto per qualsiasi cosa gli abbiano propinato. Ad esempio quello contro il penta-rapido; lo troverai proprio accanto al penta-rapido stesso. A meno che le cose non degenerino di brutto; in tal caso usa la tua esperienza di medico.
— Ah — annuì Ethan, accontentandosi di questo. Sembrava una linea di condotta razionale.
Stava aprendo bocca per esprimere un’altra valida obiezione quando Quinn lo colpì con una spallata e lo spinse, senza complimenti, nel limitatissimo e inadeguato riparo della nicchia di una porta.
Da un ingresso in penombra all’altra estremità del corridoio, quello che comunicava direttamente coi pozzi antigravità, erano apparse tre figure seguite da una vettura a bolla sigillata sulla cui parte anteriore c’era lo stemma del Biocontrollo-Epidemiologia, una foglia stilizzata in un triangolo rosso di "pericolo".
Passando sotto il primo pannello illuminante del lussuoso corridoio d’albergo — Ethan aveva già riflettuto che qualcuno doveva aver fatto studi accurati sulle reazioni del cervello umano alle lunghezze d’onda, perché quella luce dava al corridoio un aspetto effettivamente "lussuoso" — le tre figure si rivelarono per un robusto agente della Sicurezza della Stazione, e due tecnici della sorveglianza ecologica, uno di sesso maschile e una di sesso femminile.
Una di sesso femminile corpulenta e ossuta, la cui andatura emanava il calore umano e la gentilezza di un bulldozer…
— Per Dio il Padre — ansimò Ethan, — è quell’infernale piantagrane di Helda!
— E tu mantieni la dannata calma — ringhiò Quinn, spingendolo più forte nella nicchia. Era profonda a malapena un palmo, inadatta a celare alla vista una persona adulta e tantomeno due. — Voltagli le spalle e fingi di fare qualcosa di normale. La porta di Millisor è a dieci metri da qui, e non arriveranno fino a noi. Girati, così, ora metti una mano al muro accanto alla mia testa — gli ordinò in fretta. — Appoggiati, tieni la voce bassa e fai come se mi baciassi il collo…