Выбрать главу

— Neppure uno — annuì blandamente Ethan.

Terrence Cee scosse il capo, frustrato, gettò uno sguardo verso il corridoio e sparì verso l’alto nel pozzo antigravità.

Quando gli agenti della Sicurezza fecero finalmente la loro comparsa, arrestarono Elli Quinn.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Ethan passò attraverso il rivelatore d’armi senza provocare un solo fremito di reazione nei sensori che lo avevano analizzato da capo a piedi fino alla profondità delle ossa, e respirò più liberamente. Il Reparto Detenzione di Stazione Kline era un ambiente spoglio capace di mettere soggezione a chiunque, privo delle sottigliezze della psico-architettura e dei colori studiati per rallegrare i turisti. Se quell’effetto era voluto, certo otteneva il suo scopo. Ethan si sentiva in colpa per il solo fatto d’essere entrato in visita al Settore Minima Sicurezza, dov’erano tenuti i carcerati in attesa di giudizio o ritenuti non pericolosi.

— La comandante Quinn è nell’Infermeria Numero Due, ambasciatore Urquhart — lo informò il secondino incaricato di fargli da guida. — Da questa parte, prego.

Su per un pozzo antigravità, a destra e a sinistra lungo corridoi dalle pareti metalliche non verniciate. La gente che viveva da generazioni in una stazione spaziale, rifletté Ethan, doveva aver finito per sviluppare un senso dell’orientamento molto particolare basato su cose come le differenze di gravità, o di pressione, che caratterizzavano il passaggio da un settore all’altro. Per non parlare della sensibilità a certi dettagli.

La scarsa percezione dei colori poteva rivelarsi un handicap mortale, in un luogo dove gli avvertimenti di cui tenere conto erano molteplici. Le uniformi degli agenti di custodia, come tutti gli abiti da lavoro del personale, avevano un codice di colori ben preciso, e la quantità di arancione e di nero variava a seconda del grado. I semplici secondini avevano tute arancione con poche strisce nere. Quello che lo accompagnava rallentò il passo per rivolgere un formale saluto, che fu restituito distrattamente, a un uomo dai capelli bianchi la cui uniforme non era molto rallegrata dal colore arancio. Uno poteva farsi un’idea di tutte le gerarchie della stazione in base a quel genere di indizi.

Il capitano Arata, che stava uscendo dall’Infermeria Due giusto mentre Ethan e la sua guida arrivavano, esibiva molto nero con fasce arancione solo sul colletto, sulle maniche, e sul lato esterno dei pantaloni. Anche la sua faccia era piuttosto scura.

— Ah, ambasciatore Urquhart. — Il cipiglio fu messo da parte e sostituito con un sorrisetto dal sapore ironico. — È venuto a visitare la nostra avventurosa mercenaria spaziale? Non c’era bisogno che si prendesse il disturbo. Fra poco sarà di nuovo una persona libera, con soddisfazione di tutti i parenti e amici che l’hanno tenuta su di morale in questi giorni. La sua carta di credito è risultata essere qualcosa di stupefacente, sostenuta addirittura da garanzie diplomatiche, e le pene pecuniarie stabilite dal tribunale sono state pagate. Aspetta solo il nulla osta dei medici, per andarsene.

— Sembra che lei non ne sia altrettanto soddisfatto, capitano — osservò Ethan. — Comunque, io ho solo qualche domanda da farle.

— Anch’io — sospirò Arata. — Parecchie. Le auguro di avere più fortuna di me con le risposte. Nelle ultime settimane, quando supponevo che mi frequentasse perché ho un sorriso simpatico, non faceva che risucchiarmi informazioni abbastanza riservate. Ora che sono io a volere informazioni, cosa ottengo? Un sorriso simpatico. — Scosse il capo. — Ma sono certo che la persuaderò a collaborare. Ci sono responsabilità tuttavia, che anche altre persone potrebbero aiutarci a precisare. — E guardò Ethan con aria d’attesa, per chiarire che quella non era soltanto un’allusione.

— Le auguro buona fortuna nella sua indagine — disse Ethan, cordialmente deciso a non essergli d’aiuto neppure un po’. Aveva fatto fronte alle domande della Sicurezza sui terribili eventi accaduti ai moli trincerandosi dietro i suoi privilegi diplomatici, dopo aver lasciato alla prolifica inventiva di Quinn la versione ufficiale dell’intera faccenda. Nell’interrogatorio preliminare, a cui avevano partecipato entrambi, nonostante le sue condizioni fisiche la mercenaria aveva mescolato menzogne e verità, montando una storia abbastanza fantasiosa che tuttavia poteva reggere su tutti i punti verificabili dalla Sicurezza. Nella sua spiegazione, ad esempio, Millisor e Rau stavano cercando di rapirla allo scopo di farle il lavaggio del cervello e trasformarla in un doppio agente, infiltrata fra i Mercenari Dendarii ma in realtà al servizio dei cetagandani. I due killer di Casa Bharaputra, ancora a piede libero, erano stati accusati di tutti i crimini che avevano commesso e di qualcuno con cui non c’entravano niente… come la scomparsa di Okita, il cui cadavere veniva per il momento cercato nello spazio. Buona parte delle energie della Sicurezza erano adesso rivolte al consolato del Gruppo Jackson, che dava rifugio ai due bharaputrani, e si stavano negoziando i termini della loro deportazione. Terrence Cee era rimasto nell’ombra. Ethan non aveva osato aggiungere o sottrarre una parola a quel poco che la Sicurezza sapeva di lui.

— Sfortunatamente per una certa persona — concluse Arata, gratificandolo di uno sguardo acuto come una pistola ad aghi, — io ho inoltrato domanda al tribunale per l’uso del penta-rapido.

Ethan ebbe un sorriso blando. — Spero che non ci siano conseguenze diplomatiche — disse, e si separarono con un cenno del capo.

Il secondino scortò Ethan nel corridoio dell’infermeria. Se non fosse stato per le porte metalliche chiuse da serrature speciali, la corsia dov’era ricoverata Quinn avrebbe potuto essere una comune corsia di ospedale. O meglio, non tanto comune; Ethan cominciava a sentire la mancanza di finestre che si potessero aprire, una delle tante cose che nello spazio gli davano la nostalgia di Athos.

Quinn era seduta davanti a uno schermo e guardava un documentario di produzione straniera, uno dei tanti che arrivavano con ogni nave. Non sentendosela d’intavolare subito l’argomento per cui era venuto lì, Ethan esordì con quel pensiero: — Che ne pensa delle finestre, lei che è cresciuta su una stazione? — le chiese. — Voglio dire, quelle che usano alla superficie di un pianeta, non le cornici che avete qui per metter a loro agio i turisti.

— Mi rendono paranoica — rispose subito lei. — Continuo a guardarmi attorno in cerca di una sfoglia autosigillante per chiuderle. Hai intenzione di chiedermi qualcos’altro, ad esempio come sto?

— Lei ha un buon aspetto — disse distrattamente Ethan, — a parte il braccio fratturato e. le contusioni. Ho già chiesto al medico di guardia. Analgesici per via orale e nessuno sforzo fisico per qualche giorno.

La bruna mercenaria aveva infatti un bell’aspetto. Il suo colorito era sano, e si muoveva con scioltezza, salvo il braccio sinistro immobilizzato. Si alzò in piedi e agitò una mano verso lo schermo per abbassare il volume. Non indossava la tuta gialla degli altri detenuti dell’infermeria, ma i suoi pantaloni bianchi e grigi, anche se non aveva la blusa dell’uniforme e al posto degli stivaletti portava le pantofole. Sul tavolo c’erano oggetti che dovevano esserle stati portati dagli amici e dai parenti.

— Non intendo fare sforzi, anche se il medico si riferiva a quelli che solitamente si fanno in due. — Gli occhi di lei ebbero uno scintillio. — E tu cosa provi oggi per le donne, dottor Urquhart?

— Oh… — Lui si strinse nelle spalle. — Più o meno quello che prova lei per le finestre, temo. Lei pensa che si abituerà alle finestre, o che finiranno per piacerle?

— Perché no? Ma qui tutti mi accusano d’essere una che va a cercare le emozioni forti. — Il suo sorriso vacillò. — Non ho ancora dimenticato il mio primo impatto con la superficie di un pianeta, dopo aver firmato coi Mercenari Dendarii… i Mercenari di Oser, come si chiamavano prima che l’ammiraglio Naismith prendesse il comando. Per tutta la vita avevo sognato di conoscere sulla pelle il vero clima di un pianeta di tipo terrestre. Nebbie di montagna, brezza oceanica, questo genere di cose. I depliant dicevano che quel pianeta aveva un clima "temperato", e io lo presi come sinonimo di "mite". Atterrammo in cerca di carburante nel mezzo di una bufera di neve. Ci volle un anno prima che mi offrissi di nuovo volontaria per una missione su un pianeta.