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— Me lo ricorderò — promise Cee in tono non impegnativo.

— Ad ogni modo, uh… non viaggerò sola soletta. — Quinn ebbe un sogghigno storio. — Ho intrappolato un’altra recluta da cui farmi portare le valigie. Un emigrante volonteroso… deciso a viaggiare dappertutto in cerca di fortuna. Vorrei farglielo conoscere, signor Cee. La cosa che lei apprezzerebbe di questo bravo ragazzo è che ha all’incirca la sua età, la sua altezza, stessa corporatura… capelli biondi, anche. — Alzò il calice a forma di fiore con quel che restava del liquore azzurro. — Confusione sui nostri nemici.

— Le sono grato, comandante — disse Cee, colpito.

— Dove, ah… dove pensa di andare, allora, se non le interessa il lavoro dei mercenari? — gli domandò Ethan.

Cee allargò le mani. — Mi si presentano molte scelte. Troppe, in realtà, e tutte ugualmente vuote di significato… scusatemi. — Fece del suo meglio per ritrovare un’espressione meno lugubre. — Da qualche parte, lontano da Cetaganda. — accennò ancora col capo verso la blusa di Quinn. — Spero che non abbia difficoltà a contrabbandare quel pacchetto. Dovrà surgelarlo in un contenitore termostatico al più presto, però. Uno molto piccolo, magari. Sarebbe prudente che nella lista dei suoi bagagli non apparisse nessun contenitore del genere.

Lei sorrise appena, grattandosi un dente (le sue unghie erano di nuovo ben curate) e mormorò: — Uno molto piccolo, oppure… mmh. Penso di avere la soluzione ideale a questo problema, signor Cee.

Ethan guardò con interesse mentre Quinn deponeva l’enorme scatola bianca per le spedizioni di materiale a temperatura controllata sul bancone dei MAGAZZINI REFRIGERATI — INGRESSO 297-C.

Il tonfo riuscì a distrarre l’attenzione della giovane femmina grassottella dallo schermo su cui si svolgeva un dramma sentimentale. Le immagini svanirono in attesa di un momento migliore, e l’impiegata si tolse l’auricolare.

— Sì. signora?

— Sono venuta a riprendere i miei tritoni — disse Quinn. Si protese verso il computer e infilò la ricevuta di plastica con l’impronta del suo pollice nella fessura rossa sotto lo schermo.

— Oh, sì, mi ricordo di lei — disse l’impiegata. — Una cella refrigerata da due metri cubi. Scatolone di plastica verde. Lo vuole scongelato subito? Occorrono venti minuti.

— Non lo voglio scongelato affatto. Lo spedirò così com’è, grazie — disse Quinn. — Temo che ottanta chili di tritoni non sarebbero molto appetitosi dopo quattro settimane di viaggio a temperatura ambiente.

L’impiegata storse il naso. — Non sarebbero appetitosi a nessuna temperatura.

— La loro possibilità d’essere graditi al palato cresce in ragione del quadrato della distanza dal luogo in cui abbondano. Questa è una legge valida per tutte le sostanze alimentari — sogghignò Quinn.

La porta del corridoio alle loro spalle si riaprì con un sibilo. Ethan e Terrence Cee si tolsero di mezzo quando entrò un carrello antigravità su cui c’era una mezza dozzina di contenitori sigillati, pilotato col telecomando da un sorvegliante ecologico in uniforme verde e azzurra.

— Oh-ho, il Bio-controllo ha la precedenza — disse l’impiegata del magazzino. — Mi scusi, signora.

Ethan accolse con un sorriso l’arrivo del giovanotto. Era Teki, probabilmente appena uscito da uno dei locali del Riciclaggio, dietro l’angolo del corridoio. Teki si accorse di Quinn e di Ethan appena ebbe fatto girare il carrello, e non parve molto entusiasta di vederli. Terrence Cee, che non lo conosceva, si limitò a guardare l’orologio, seccato da quel contrattempo.

— Ah, Teki — disse Quinn, voltandosi. — Più tardi sarei passata a salutarti. Stasera parto. Mi sembra che ti sia ripreso benissimo dalla piccola disavventura delle settimana scorsa.

Teki sbuffò. — Sì, essere rapito e drogato e seviziato da una banda di pazzoidi assassini è proprio quello che io chiamerei una piccola disavventura. Comunque sto bene, grazie.

Un angolo della bocca di Quinn si curvò. — Sara ti ha perdonato per quell’appuntamento mancato?

Teki scrollò le spalle, ma non poté reprimere un sorrisetto. — Be’, sì… quando si è convinta che non avevo una storia con te, alla fine, è diventata molto, uh, affettuosa. — Tornò serio. — Però lo sapevo, dannazione, che stavi lavorando per il piccoletto. Adesso puoi dirmi di cosa si tratta, Elli?

— Sicuro, appena la Sicurezza me ne darà il permesso. Al momento c’è sempre un’indagine in corso.

Teki mugolò. — Non è leale! Me l’avevi promesso!

Lei allargò le braccia in gesto d’impotenza. Il cugino sbuffò, si accigliò, ma alla fine rinunciò a metterle il muso. — Te ne vai, allora? Quando?

— Fra poche ore.

— Ah. — Teki si mostrò alquanto deluso. Guardò Ethan. — Buongiorno, signor ambasciatore. Sa, mi dispiace per quello che Helda ha fatto con la sua roba. Spero che lei non pensi che nel nostro dipartimento siamo tutti così. In questi giorni Helda è assente per malattia… dicono che ha l’esaurimento nervoso. Io fungo da direttore della Stazione B, per adesso — aggiunse con modestia ma orgogliosamente. E le mostrò un polsino della giacca, dove c’erano due bande azzurre invece di una come prima. — Almeno, finché Helda non tornerà.

A un’occhiata più da vicino Ethan vide che la seconda banda azzurra era in realtà un semplice nastro adesivo. — Non preoccuparti — gli disse. — Puoi anche ordinare una blusa da direttore effettivo. Mi è stato assicurato che l’assenza di Helda è di carattere permanente.

— Sul serio? — Teki s’illuminò in viso. — Senta, mi dia il tempo di sbattere fuori questa robaccia… — indicò il carico del carrello, — e sarò da voi. Ce li avete due minuti per venire a bere qualcosa alla Stazione B, no?

— Soltanto due minuti — lo avvertì Quinn. — Non posso stare di più, se voglio salire in orario a bordo della nave.

Teki le accennò che capiva perfettamente. — Venite con me? — li invitò, manovrando il carrello antigravità per aggirare il bancone. L’impiegata aprì la porta sigillata del magazzino e tolse di mezzo alcune scatole di plastica per lasciarli passare.

— Io aspetto la mia roba qui, se non vi spiace — disse Quinn, ma Ethan, curioso di guardare tutto, seguì il giovanotto nell’interno. Terrence Cee era rimasto in disparte coi suoi pensieri, malinconica e solitaria figura, ed Ethan si girò a sorridergli per incoraggiarlo a restare nel gruppo.

— Allora cos’è successo con Helda? — domandò Teki a Ethan. — È vero che ha spedito su Athos una quantità di materiale organico rubato, e addirittura dei pezzi di cadavere?

Ethan annuì. — Ancora non riesco a capire cosa sperasse di ottenere. Non credo che lo sappia neanche lei. Forse ha riempito quelle scatole con altre ovaie perché temeva che avrebbero dovuto passare qualche ispezione… voglio dire, dopo aver buttato via le nostre, come ha confessato, qualunque cosa all’incirca dello stesso peso sarebbe andata bene, visto che in effetti nessuno era autorizzato ad aprire i contenitori salvo il destinatario. In questo modo ci lascia con degli interrogativi in più, che aggiungono mistero a questa assurdità.

Teki scosse il capo, come se fosse ancora incapace di crederci.

— Cos’è questa roba? — domandò Ethan, indicando il carrello fluttuante.

— Generi alimentari contaminati. Oggi, dopo le analisi, abbiamo sequestrato e distrutto l’intero carico, ma questi campioni vanno in magazzino. In caso di procedimenti legali, contestazioni, o per qualsiasi eventualità.

Entrarono in un lungo locale bianco dove neppure il riscaldamento sembrava funzionare bene, con alcune apparecchiature robotizzate e un compartimento stagno. Quella era la superficie più esterna della stazione, comprese Ethan.