Выбрать главу

Teki batté qualche rapida istruzione su una tastiera, inserì un disco di dati, mise i contenitori in una cassa di plastica ad alta resistenza etichettata con dei colori-codice, e attaccò la cassa al braccio estensibile di un robot. L’apparecchiatura si alzò dal pavimento e fluttuò nel compartimento stagno, che si chiuse e iniziò il ciclo di decompressione.

Il giovanotto premette un pulsante sulla parete, facendo scivolare di lato un pannello dietro cui c’era una finestra panoramica simile a quelle più grandi della Passeggiata dei Viaggiatori. La vista spettacolare della galassia era in parte bloccata dalle sporgenze periferiche della stazione. Era l’equivalente del cortile posteriore di un caseggiato o di un’enorme fabbrica, si disse Ethan, con la differenza che in quella zona c’era un’illuminazione intensa. Teki seguì con attenzione il robot, che uscito dal portello fluttuava nel vuoto lungo una vastissima griglia metallica di gabbie allineate. Quasi tutte le gabbie più vicine erano piene di cassoni sigillati, ma c’era anche merce in semplici sacchi di plastica e altra chiusa entro blocchi di ghiaccio informi.

— Quando Dio ebbe bisogno di un frigorifero, creò l’universo — ridacchiò Teki. — Da queste parti noi l’abbiamo ridotto a una pattumiera, però. Un giorno o l’altro dovremo mandare fuori delle squadre a distruggere tutte le porcherie rimaste qui attorno fin dall’Anno Uno, ma non è che rischiamo di restare a corto di spazio. Tuttavia, se diventerò un dirigente del Riciclaggio, dovrò pensare a una soluzione… responsabilità… finirla con questi sprechi…

Le parole del sorvegliante ecologico sfumarono via dagli orecchi di Ethan mentre la sua attenzione si spostava su un gruppo di contenitori trasparenti che fluttuavano a poca distanza, sotto la griglia. Dentro ogni contenitore sembravano esserci delle scatole rettangolari d’aspetto familiare. Aveva già visto usare piccole scatole uguali quel mattino, nel laboratorio biologico che s’era occupato della donazione di Quinn. Quante erano? Difficile contarle, difficile capirlo. Più di venti, sicuramente. Più di trenta. Da lì poteva vedere bene soltanto gli scatoloni che le contenevano; ce n’erano nove.

— Buttato via — mormorò fra sé. — Buttato… fuori?

Il robot giunse all’estremità della grata, spinse il suo carico in una delle gabbie vuote e la chiuse. L’attenzione di Teki era ancora fissa sull’apparecchiatura al lavoro, e la seguì finché fece ritorno al compartimento stagno. Ethan indietreggiò accanto a Cee, lo prese per un braccio e in silenzio gli indicò gli oggetti che fluttuavano nello spazio. Dapprima il telepate annuì distrattamente, poi guardò meglio. S’irrigidì, sbattendo le palpebre, e corse davanti alla finestra. I suoi occhi sembravano divorare la distanza. Aveva la fronte imperlata di sudore e imprecava fra i denti, a voce così bassa che Ethan riusciva a udirlo a stento. Le sue mani si aprivano e si chiudevano; le appoggiò contro la superficie trasparente.

Ethan strinse più forte il braccio di Cee. — Sono quelle? — sussurrò. — È possibile?

— Posso vedere lo stemma di Casa Bharaputra su un paio di scatole — ansimò Cee. — Ero presente quando le hanno sigillate.

— Helda deve averle portate qui lei stessa — mormorò Ethan. — Per non lasciare nessuna registrazione nei computer inserendo quella massa extra nel sistema di riciclaggio… e le ha buttate via. Intendeva proprio questo, letteralmente, quando lo ha detto. Ma la gravità della stazione non le ha lasciate allontanare molto.

— È possibile che le colture ovariche siano intatte? — domandò Cee.

— Congelate quasi allo zero assoluto… perché no?

I due si guardarono, ciascuno conscio di ciò che stava passando per la mente dell’altro.

— Dobbiamo avvertire Quinn — disse Ethan.

Le mani di Cee lo afferrarono con forza per le spalle. — No! — sibilò. — Lei ha già la coltura coi miei geni. Le ovaie di Janine… quelle appartengono soltanto a me.

— O ad Athos.

— No. — Cee stava tremando, pallido in faccia. I suoi occhi azzurri erano lame di ghiaccio. — Sono mie.

— Ognuna delle due soluzioni — disse Ethan, pesando con cura le parole, — non esclude necessariamente l’altra.

Nel teso silenzio che seguì, il volto di Cee cominciò a illuminarsi di speranza.

CAPITOLO QUINDICESIMO

Casa. Gli occhi di Ethan erano umidi mentre guardava con ansia fuori dall’oblò della navetta. Riusciva già a distinguere il reticolo dei territori coltivati, e a intravedere le piccole città, le strade e i fiumi? Cumuli di nuvole bianche erano sparsi sopra le insenature e le isole al largo della costa della Provincia Meridionale, screziando la vivida luce del mattino con chiazze d’ombra che rendevano incerto ogni suo riconoscimento. Ma sì. laggiù c’era un’isola a forma di mezzaluna, e nel punto in cui la linea costiera s’incurvava si scorgeva la treccia d’argento di un fiume.

— Terrence, guarda. L’allevamento di pesci di mio padre è in quella piccola baia sulla destra — disse a Cee, seduto accanto a lui. — Proprio sotto quell’isola ricurva come una falce.

La testa bionda di Cee si piegò verso l’oblò. — Sì, la vedo. Ethan.

— Sevarin è più a settentrione, nell’entroterra. Lo spazioporto dove atterreremo e alla periferia della capitale, nel distretto immediatamente a nord di quello. Da qui non si può ancora vedere.

Cee si appoggiò allo schienale, con aria pensierosa. I primi veli d’aria nella stratosfera cominciavano a portare il rombo dei motori nella carlinga. Un inno gioioso, agli orecchi di Ethan.

— Ci sarà un comitato di ricevimento per te, come per gli eroi di guerra? — gli domandò Cee.

— Oh, ne dubito. La mia era una missione segreta, dopotutto. Non segreta nel senso che voi cetagandani potreste dare a questa parola, ma c’era la necessità di non innescare prematuramente il panico e soprattutto di non creare una crisi di sfiducia verso i Centri di Riproduzione. Immagino però che allo spazioporto ci sarà un membro del Consiglio della Popolazione. Vorrei farti conoscere il Dr. Desroches, e anche qualcuno della mia famiglia… Sulla stazione orbitale, mentre tu ti occupavi dei bagagli, ho telefonato a mio padre e lui ha detto che sarebbe venuto. L’ho informato che con me c’è un amico, e lui ha subito chiesto che sia nostro ospite. — aggiunse Ethan, nel tentativo di metterlo a suo agio. Cee sembrava piuttosto nervoso.

Neppure lui era del tutto tranquillo. Come avrebbe potuto spiegare a Janos la presenza di Cee? Durante i due mesi di viaggio da Stazione Kline ad Athos aveva pensato a un centinaio di modi di presentarlo, finché s’era stancato di preoccuparsi. Se Janos fosse stato geloso, o se avesse storto il naso, che si mettesse al lavoro e cominciasse a guadagnarsi il suo stato di coniuge alternativo designato. Questo poteva essere lo stimolo capace di spingerlo a diventare finalmente adulto. Considerato il comportamento di Janos, era difficile che lui vedesse in qualcun altro (e specialmente in un bel ragazzo come Cee) un candidato all’iscrizione nella Fratellanza della Castità. Ethan fece un sospiro.

Cee smise di osservarsi distrattamente le unghie e alzò lo sguardo verso Ethan. — Ma alla fine, quando sapranno tutto, tu sarai giudicato un bravo cittadino di Athos oppure un traditore?

Ethan si girò a controllare il retro del compartimento. Il suo prezioso carico, nove grossi scatoloni bianchi refrigerati, non era stato lasciato agli scossoni della stiva ma assicurato ai sedili con solide cinture di sicurezza. I soli altri passeggeri, l’esperto in statistica, il suo assistente, e tre membri dell’equipaggio della nave del censimento galattico diretti in superficie per una licenza, si erano sistemati sul fondo e parlavano fra loro, fuori portata di udito.

— Vorrei saperlo — disse Ethan. — Ogni giorno prego che vada tutto bene. Non mi mettevo a pregare in ginocchio neppure da bambino, al catechismo, ma ora lo faccio. Non so se servirà a qualcosa.