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Rientrò in casa e considerò doverosamente l’idea di andarsene subito a letto. Era tardi, ma… dannazione, il nervosismo gli avrebbe impedito di dormire. Controllò la consolle di comunicazioni. Nessun messaggio, naturalmente. Senza dubbio ciò significava che Janos era uscito con l’idea di tornare a casa prima di lui, cercò di dirsi. Ethan fece il numero di videotelefono della vettura antigravità; nessuna risposta. Be’, dato che a bordo non c’era nessuno questo gli dava modo di effettuare la ricerca col sistema antifurto, senza che Janos se ne offendesse. Chiamò a schermo la carta della città e batté un codice che lo collegava col satellite. Uno degli accessori extra da lui chiesti era un costoso trasmettitore incorporato nel telaio stesso della Aerostar De Luxe, che avrebbe costretto un ladro a fare a pezzi il motore per smontarlo. Il segnale che il satellite gli mandò sulla carta rivelò che la vettura si trovava in città: a neppure due chilometri di distanza da lì, nel Parco dei Padri Fondatori. Senza dubbio Janos è a una festicciola in casa di qualche amico, pensò, grattandosi la mandibola. Be’, decise infine, allora tanto valeva andarsene da quelle stanze vuote e deprimenti, e raggiungerlo per un’ora o due; così si sarebbe preso la soddisfazione di stupirlo non mostrandosi arrabbiato perché lui era uscito con la sua vettura senza permesso.

L’aria della notte gli scompigliò i capelli e gli schiarì la mente quando sfrecciò per le strade silenziose sulla ronzante bicicletta elettrica. Era freddo, ma fu la vista delle luci gialle dei veicoli del soccorso stradale che gli gelò le ossa, appena ebbe svoltato nel vasto Parco dei Padri Fondatori. Che Dio il Padre non voglia… Ma no, no, era affrettato pensare al peggio solo perché Janos e il soccorso stradale si trovavano nello stesso luogo. Sicuramente si trattava di una vicinanza casuale e senza rapporto.

Nessuna ambulanza, niente polizia municipale; soltanto un paio di veicoli di servizio mandati da qualche garage. Ma se non c’era sangue sull’asfalto, perché quella piccola folla affascinata? Fermò la bicicletta presso le querce allineate sul lato sud del parco, si accorse che gli spettatori stavano guardando all’insù e alzò la testa, seguendo il raggio dei fari puntati fra il fogliame scuro.

La sua Aerostar De Luxe. Parcheggiata sulla cima di una quercia alta 25 metri.

No… incastrata sulla cima di una quercia alta 25 metri. Il propulsore sfondato dai rami, le ali semi-retrattili accartocciate, gli sportelli aperti. Il cuore di Ethan si fermò alla vista della cintura di sicurezza del posto di pilotaggio che penzolava fuori. Il vento aumentò, i rami oscillarono con allarmanti crepitii e la folla fece prudentemente qualche passo indietro. Lui s’incamminò in mezzo alla gente per vedere meglio. Fra i pezzi di plastica e i detriti vegetali piovuti sull’asfalto non c’erano tracce di sangue…

— Ehi, signore, meglio che lei non stia qui sotto. È pericoloso.

— Quella lassù sembra la mia vettura… è una Aerostar De Luxe rosso fiamma, no? — disse Ethan. — In cima a un dannato albero, maledizione. — Accorgendosi di avere la voce stupidamente stridula per la tensione tacque, e si schiarì la gola. Abbassò gli occhi e lo irritò vedere che alcuni dei presenti ridacchiavano. Cosa trovavano di divertente nella vista di una vettura nuova di zecca ridotta in quelle condizioni? Fece qualche passo indietro, poi si girò ad afferrare per una manica l’uomo del garage che gli aveva rivolto la parola.

— Senta, il giovanotto che guidava quella Aerostar, dove…

— È andato via da un pezzo. L’ho visto salire sull’ambulanza.

— L’hanno portato all’ospedale? È ferito?

— No, non mi è parso. Lui no, almeno. Il suo amico aveva un brutto taglio nella testa, invece. Comunque, mi sembra di aver sentito che gli agenti li avrebbero accompagnati al pronto soccorso e poi portati alla stazione della Polizia Municipale, dove suppongo che passeranno qualche guaio. Il conducente stava cantando.

— Ah. Era… ubriaco, vuol dire? — domandò Ethan.

— Ehi lei, ha detto che quella vettura là in cima è sua? — lo interpellò un uomo con la divisa della Protezione Ambientale, avvicinandosi.

— Credo di sì. Io sono il Dr. Urquhart. Perché?

L’uomo della Protezione Ambientale tirò fuori un minicom tascabile sul cui schermo c’era un modulo compilato a mezzo. — Lei si rende conto che questo albero ha quasi duecento anni? È stato piantato dagli stessi Padri Fondatori, e ha un valore storico incalcolabile. Guardi adesso quella crepatura sul tronco, spaccato quasi da cima a fondo…

— La tengo, Fred! — gridò una voce dall’alto. — Abbassa, ora. Piano… ho detto piano!

— Toglietevi di mezzo, laggiù! Via, via!

— Come responsabile dei danni, lei dovrà…

Uno schianto di legno che si spezzava, un violento fruscio sulla chioma dell’albero, un: — Aaah! — della folla, e il gemito acuto di un veicolo antigravità le cui piastre stavano andando all’improvviso fuori fase.

— Oh, merda! — imprecò una voce alla sommità della quercia. La folla si disperse di corsa, fra imprecazioni e grida d’avvertimento.

Cinque metri al secondo, fu il pensiero isterico di Ethan. 25 metri d’altezza per… quanti chili pesava una Aerostar De Luxe?

L’impatto a muso in giù sull’asfalto fece schizzare via il parabrezza e irretì di pieghe orizzontali simili a onde la scintillante carrozzeria rossa, da cima a fondo. Alcuni frammenti rotolarono o volarono fin dall’altra parte della strada. Nel breve intervallo di assoluto silenzio che seguì lo schianto Ethan poté udire lo sfrigolio della costosa elettronica interna che andava in corto circuito. La batteria era rimasta intatta, evidentemente; ne ebbe la prova quando alcune scintille appiccarono il fuoco al quadro dei comandi.

La testa bionda di Janos si volse quando il giovanotto sentì la voce di Ethan, alla Stazione della Polizia Municipale di Sevarin. Parve stupito di vederlo lì.

— Oh, Ethan — lo salutò con calma. — Già di ritorno dalla capitale? Spero che tu abbia fatto buon viaggio. Io ho avuto una giornataccia, temo. — Fece una pausa, poi schioccò le dita. — A proposito… uh, hai trovato la tua Aerostar?

— L’ho trovata.

— Non ci saranno problemi, stai tranquillo. Tu lascia fare a me. Ho chiamato il garage. Forse l’hanno già tirata giù.

Il barbuto sergente di polizia con cui Janos stava parlando, seduto dall’altra parte della scrivania, fece udire un grugnito. — Certa gente non la lascerei andar fuori neanche su un triciclo a pedali, se volete sapere la mia opinione.

— L’hanno tirata giù — annuì seccamente Ethan. — Ho pagato il conto del garage. E ho pagato i danni per l’albero.

— L’albero?

— Monumento storico, dovrei chiamarlo. Questo è il nominativo della pianta sul modulo che mi ha rilasciato la Protezione Ambientale.

— Oh, capisco. Che pignoleria, per qualche rametto spezzato.

— Come hai fatto? — lo interrogò Ethan. — A incastrarti su quella quercia, voglio dire.

— Gli uccelli, Ethan — spiegò Janos. — Sono stati loro.

— Gli uccelli. Ti hanno costretto a scendere di quota, intendi?