Nella sua discesa spirituale, lo stato psichico opposto al nirvana era l’eccitazione euforica, e il sesto giorno l’aveva raggiunta.
— Cosa diavolo sta facendo quel Millisor, là fuori? — domandò alla comandante Quinn durante una delle sue brevi soste nella camera d’albergo.
— Al momento non sta facendo nulla di ciò che avevo sperato — ammise lei. Depose sullo scaffale le forbicine con cui s’era tagliata le unghie dei piedi e si mise un paio di calze rosse. Aveva appena acquistato diversi articoli in un grande magazzino, fra cui qualcosa anche per lui. — Non ha notificato la sparizione di Okita alle autorità della stazione, e non ha contattato il tuo albergo per sapere se ti hanno visto, anche se probabilmente lo sta facendo sorvegliare. Non ha convocato altro personale a me sconosciuto, il che tuttavia non esclude che ce ne sia. dato che i cetagandani hanno un consolato qui. Non ha prenotato posti su navi in partenza, e per ora non sembra intenzionato a lasciare la stazione. La cura che sta mettendo nel tutelare la sua copertura fa anzi pensare che progetti di restare qui per qualche tempo. L’altra settimana ero convinta che avrebbe cercato di penetrare sulla nave del censimento arrivata da Athos, nell’ipotesi che tu fossi venuto qui portando con te quel materiale per restituirlo al mittente. Ma adesso è chiaro che sta aspettando qualcos’altro. E deve trattarsi di una cosa importante, se rinuncia perfino a indagare sulla misteriosa scomparsa di uno dei suoi dipendenti.
Ethan andò nervosamente avanti e indietro; la sua voce si alzò. — Quanto tempo ancora dovrò restare segregato qui dentro?
Lei scrollò le spalle. — Finché non interviene qualche fatto nuovo, suppongo. — Ebbe un sorrisetto aspro. — E qualcosa accadrà, presumo, anche se non dalla nostra parte. Millisor e Rau e Setti hanno perlustrato di persona tutti settori della stazione che potevano raggiungere senza dare nell’occhio, ma continuano ad aggirarsi con molta insistenza soprattutto nei corridoi intorno al Riciclaggio. Dapprima non riuscivo a capire perché. Gli indumenti di Okita, che io avevo esaminato con uno scanner, risultavano privi di microspie. Ma non poteva essere questo. Comunque li ho spediti all’ammiraglio Naismith, per farli analizzare. Alla fine mi sono ricordata che vicino al Riciclaggio ci sono le vasche per la crescita delle sostanze proteiche. Credo che Okita avesse una microtrasmittente di qualche genere impiantata nel corpo; alcuni governi hanno questa procedura standard con chi passa attraverso le prigioni, per poter localizzare un individuo in ogni momento. Qualcuno rischierà di spaccarsi un dente sul suo petto di pollo, nei prossimi giorni. Spero che non sia un turista, altrimenti l’oggetto verrà consegnato al gestore del ristorante ed esaminato… con tanti saluti al nostro delitto perfetto. — Si alzò e aprì l’armadio. — Millisor non ha ancora tratto le deduzioni giuste, comunque; lui e gli altri due sono dei grandi divoratori di bistecche.
Ethan cominciava ad averne fin sopra i capelli della verdura e dei sandwich al formaggio vegetale. E di quella stanza, e della tensione, dell’indecisione e del senso d’impotenza. E soprattutto della comandante Quinn, e della sfacciataggine con cui gli dava ordini, come se lui fosse un povero sciocco incapace di agire…
— Io ho soltanto la sua parola sul fatto che le autorità della stazione non possono aiutarmi — sbottò all’improvviso. — Non sono stato io a sparare a Okita. Non ho fatto niente, io! Lo stesso Millisor non ha niente di personale contro di me… è lei che ha una sua guerra privata contro quella gente. Millisor non avrebbe mai pensato che io sono un agente di qualcuno, se Rau non avesse trovato la microspia che lei aveva messo in quel proiettore. È stata lei a trascinarmi in questa situazione sempre più profondamente, per usarmi nei suoi giochi di spionaggio.
— Guarda che Millisor ti sarebbe piombato addosso in ogni caso — gli fece notare Quinn.
— Sì, ma mi sarebbe bastato convincerlo che Athos non ha il materiale che lui sta cercando. Un semplice interrogatorio col penta rapido gli sarebbe bastato, se lei non si fosse intromessa destando i suoi sospetti. All’inferno, sarei disposto ad andare da lui per invitarlo a perquisire i nostri centri di riproduzione se è questo che vuole, e così si persuaderebbe che Athos non ha niente a che fare con le manovre dei suoi avversari e ci lascerebbe in pace.
Lei inarcò un sopracciglio, vezzo che Ethan trovava sempre più irritante. — Credi davvero che potresti arrivare a un accordo con lui? Personalmente, preferirei far visitare casa mia da un branco di cani affamati.
— Se non altro lui è un uomo — sbottò Ethan.
Lei scoppiò a ridere. I sentimenti accesi di Ethan arrivarono al punto di ebollizione. — Per quanto tempo pretende di tenermi isolato qui dentro, si può sapere? — le domandò ancora.
La mercenaria lo fissò per qualche istante. Il suo sorriso si dileguò. Strinse le palpebre. — La porta di questa stanza non è chiusa a chiave — gli disse con voce calma. — Puoi andartene quando vuoi. A tuo rischio, naturalmente. Se farai una brutta fine mi dispiacerà, tuttavia io potrò cavarmela anche senza di te.
Lui rallentò il suo frenetico andirivieni. — Lei sta bluffando. Non ha nessuna intenzione di lasciarmi andare. Ormai io so troppe cose.
Quinn rimise nell’armadio la camicia che stava tirando fuori e si passò una mano sulla mandibola. Nello sguardo con cui lo esaminò non c’era alcuna espressione, come se stesse calcolando a occhio il suo peso e le conseguenze che ci sarebbero state immettendo una biomassa extra nei sistemi di riciclaggio della stazione. Quando parlò, la sua voce era fredda e ostile come quella di F. Helda. — Io direi invece che tu non sai niente, egregio. Neppure di te stesso.
— Lei non vuole che io parli di Okita alle autorità della stazione, è così? Questo metterebbe a repentaglio il suo prezioso collo, anche se ad accusarla di omicidio sarebbe la sua stessa gente…
— Non credo che il mio collo sia in pericolo. Ovviamente la polizia non potrà ignorare ciò che ho fatto con quel cadavere… sempre che tu possa dimostrargli che sono stata io a uccidere Okita e che tu esca senza conseguenze da un processo per omicidio, cosa che dubito, dal momento che ci sono testimoni pronti a giurare che sei stato mio complice nell’eliminazione del cadavere.
— E allora? Cosa potrebbero fare, scacciarmi da Stazione Kline? Questa non sarebbe una punizione, sarebbe un premio!
Nelle pupille di lei, fra le palpebre strette, ci fu una luce sprezzante. — Se uscirai da questa stanza, athosiano, non aspettarti di avere da me altro aiuto e comprensione. Io non ho tempo per i chiacchieroni che non hanno il fegato di fare le cose fino in fondo.
Ethan capì che per lei questo era un insulto rovente. Decise di prenderlo come tale. — E io non ho tempo da perdere con una presuntuosa, intrigante, insopportabile… femmina! — esclamò.
Lei gli mostrò la porta con un gesto di sfida, stringendo le labbra. Ethan capì di aver avuto lui l’ultima parola. Aveva in tasca la sua carta di credito, le scarpe ai piedi, i vestiti addosso. Con una smorfia irosa raggiunse la porta, a testa alta. Nella schiena gli corse un brivido d’attesa per il raggio di uno storditore o qualcosa di peggio. Non ci fu niente.
C’era un gran silenzio nei corridoi, dopo che la porta si fu chiusa alle sue spalle con un sussurro d’aria compressa. Avere l’ultima parola, si chiese, era proprio ciò che voleva? E tuttavia… sì, preferiva affrontare Millisor, Rau, e lo spettro di Okita insieme a loro piuttosto che tornare a testa bassa nella sua prigione e chiedere scusa a Quinn.
Determinazione. Decisione. Azione. Questo era l’unico modo per risolvere i problemi. Non voltar loro le spalle e nascondersi. La cosa giusta era uscire da lì e affrontare Millisor faccia a faccia. A passi lunghi si avviò verso le scale.