Ethan sobbalzò come a un colpo di pistola e girò su se stesso. — Chi è lei? Che cosa vuole?
Il giovanotto biondo che gli si era avvicinato fra le aiuole intorno alla fontana lo guardò con aria di scusa. Era di altezza media, snello e robusto, vestito in uno stile a lui non familiare: camicia lunga senza maniche, larghi pantaloni allacciati alle caviglie con dei nastri, stivali di pelle d’aspetto rigonfio e floscio. — Mi perdoni. Se lei ò il dottor Ethan Urquhart di Athos, io l’ho cercata in tutta la stazione.
— Perché?
— Speravo che lei potesse aiutarmi. La prego, signore, non se ne vada… — Il giovanotto allungò una mano per fermarlo, mentre Ethan indietreggiava. — Lei non mi conosce, lo so, ma ho una richiesta urgente da fare al pianeta Athos. Lasci che mi presenti: io mi chiamo Cee, Terrence Cee.
CAPITOLO OTTAVO
Dopo un momento di sbalordito silenzio, Ethan si guardò attorno. Nessuno li stava osservando; il giovanotto biondo che lo aveva avvicinato era solo, o almeno non aveva complici nelle vicinanze. — Che cosa vuole da Athos? — gli domandò, vincendo l’impulso di allontanarsi di corsa.
— Rifugio, signore — disse l’altro. — Perché io sono un fuggiasco, non c’è dubbio su questo. — La tensione dipingeva di una luce falsa e ansiosa il suo sorriso. Il modo in cui Ethan si ritraeva davanti a lui lo rese ancor più allarmato e supplichevole. — Sull’elenco dei passeggeri della nave del censimento c’era solo il suo nome, e lì ho letto che lei è l’ambasciatore del suo pianeta all’estero. Lei può offrirmi asilo politico, non è così?
— Io… io… — Ethan alzò le mani per tenerlo lontano. — Quello è soltanto un titolo che il Consiglio della Popolazione ha pensato di attribuirmi all’ultimo momento, perché non sapevano cos’avrei trovato qui fuori. Ma io non sono un diplomatico, io sono un medico.
Cercò di calmarsi e guardò il giovanotto, che lo fissava come se volesse aggrappargli addosso. Con una parte della sua attenzione notò in lui i segni della stanchezza fisica. La faccia attraente di Cee aveva una sfumatura grìgia, gli occhi erano iniettati di sangue, e qualche tremito percorreva le sue mani lisce ed eleganti. D’un tratto Ethan fu colpito da un dubbio orribile. — Senta, uh… non mi sta per caso chiedendo di proteggerla dal Ghem-colonnello Millisor, vero?
Cee annuì senza esitare.
— Ehi, no… no, aspetti. Lei non capisce. Io qui sono un turista, un viaggiatore di passaggio. Non ho nessuna ambasciata o niente del genere. Voglio dire, le ambasciate hanno impiegati e guardie, una intera organizzazione per la sicurezza dei cittadini del loro paese e la tutela dei loro diritti, mentre invece io non…
Cee ebbe un sorrisetto incredulo. — L’uomo che ha eliminato Okita, un sicario addestrato e pericoloso, ha davvero bisogno di tutto questo apparato?
Ethan restò a bocca aperta, troppo stupito da quel malinteso per riuscire a rispondere.
Cee continuò: — Loro sono in molti. Millisor ha a disposizione le risorse dell’intero Cetaganda contro di me… e io sono solo. L’unico rimasto, L’unico superstite. Ormai non ò più questione di se riusciranno a uccidermi, ma di quando. — Le sue mani ben strutturate si aprirono in un gesto di supplica. — Io ero sicuro di aver fatto perdere le mie tracce a quella gente, e mi illudevo che avrei potuto trovare un passaggio su un’astronave diretta molto lontano da qui. ma… l’ultima via di fuga che mi restava è stata sbarrata da quel vampiro di Millisor. un cacciatore di uomini assetato di sangue… — La bocca del giovanotto si torse in una smorfia amara. — Non mi lasceranno scampo. Io la prego, signore, mi dia asilo politico.
Ethan si schiarì nervosamente la gola. — Ah. uh… cosa intende con "cacciatore di uomini", esattamente?
— È così che lui vede se stesso. — Cee scrollò le spalle. — Per Millisor, perfino i delitti più feroci sono atti di eroismo compiuti al servizio di Cetaganda, in base al principio che qualcuno deve fare anche i lavori sporchi… lui stesso lo pensa con grande convinzione. Ed è orgoglioso di ciò che fa. Ma non ha avuto il fegato di fare personalmente il suo lavoro sporco su di me. Nel profondo della sua anima meschina quell’uomo mi odia e mi teme più dell’inferno… ah! Come se i suoi piccoli segreti personali fossero più importanti o più vergognosi di quelli degli altri. Come se a me importasse qualcosa dei suoi segreti, o della sua anima.
Ethan stava cercando, vanamente, di capire cosa ci fosse dietro quelle dichiarazioni piuttosto oscure. Qualcosa c’era. Ma gli sarebbe piaciuto che la conversazione restasse più sul concreto. — Insomma, lei chi è? Anzi, cosa è?
Il giovanotto fece un passo indietro, mentre il suo sguardo si faceva improvvisamente sospettoso e guardingo. — Asilo politico. Prima mi garantisca asilo politico, e poi potrete avere tutto.
— Uh? In che senso?
Sul volto di Cee la disperazione tornò a sostituire il sospetto. La speranzosa eccitazione con cui aveva avvicinato Ethan per chiedergli aiuto lasciava il posto a una truce amarezza. — Già, capisco. Lei mi vede come mi vedono loro. Una mostruosità biologica messa insieme con pezzi di cadavere, un essere non del tutto umano partorito da un utero artificiale. Ebbene… — Sospirò, risolutamente. — Sia pure. Ma prima di morire io mi vendicherò sul capitano Rau. Questo l’ho giurato a Janine. fosse l’ultima cosa che farò.
Ethan riiletté sull’unica cosa abbastanza comprensibile di quel discorso, e con tutta la dignità che poté trovare disse: — Se per "utero artificiale" intende un replicatore uterino, sappia che io stesso sono stato incubato nove mesi in un replicatore, e che questo metodo di gestazione è lecito e giusto quanto l’altro. Di più, anzi. Così la prego di non definire "non del tutto umane" le mie origini, o il lavoro a cui ho dedicato la mia vita.
Un po’ della confusione che lui sentiva di avere nella testa era leggibile anche sulla faccia di Cee. E perché no, del resto? La miseria pensò Ethan con acida soddisfazione, ama la compagnia.
Il giovanotto — il ragazzo, in realtà, perché la tensione e la stanchezza gli aggiungevano qualche anno, mentre doveva essere più giovane di Janos — parve sul punto di dire qualcos’altro, poi scosse il capo, gli volse le spalle e si allontanò.
La necessità, rifletté ad un tratto Ethan, era il replicatore uterino dell’inventiva. — Aspetti! — esclamò. — Farò in modo che Athos le dia asilo politico! — Per quanto stava nei mezzi di cui disponeva avrebbe potuto promettergli anche la remissione dei peccati e la salvezza eterna, visto che le sue possibilità di offrirgli l’una o l’altra cosa si equivalevano. Ma Cee tornò subito verso di lui, così ribollente di speranza che quell’emozione sembrava schizzar fuori come un vapore dai suoi occhi azzurri. — Solo a un patto — proseguì Ethan. — Lei dovrà dirmi cosa ne ha fatto delle colture ovariche che il Consiglio della Popolazione aveva ordinato ai Laboratori di Casa Bharaputra.
Stavolta fu Terrence Cee a restare a bocca aperta per lo stupore. — Vuol dire che Athos non le ha ricevute?
— Nossignore.
L’imprecazione che scaturì fra i denti del giovanotto biondo fece voltare un paio di turiste indignate, ma lui non se ne accorse neppure. — Millisor! Dev’essere stato lui a rubarlo! Ma… no, come avrebbe potuto… non sarebbe riuscito a…
Ethan gli accennò di abbassar la voce e scosse il capo. — Credo che il colonnello Millisor non c’entri con quel furto, infatti. A meno che lei non pensi che mi abbia interrogato per ben sette ore, e in modo molto sgradevole, solo per convincermi che lui era estraneo al fatto.
È quasi un sollievo vedere qualcun altro agitato e confuso come me, pensò Ethan. Questo aveva l’effetto di renderlo più freddo e lucido, per reazione, e lui aveva bisogno d’essere freddo e lucido. Cee espresse uno stupore teatrale allargando le braccia.
— Ma, dottor Urquhart… se voi non avete quelle colture, e gli uomini di Millisor non le hanno, e neppure io le ho… dove sono finite?