Si piegò in avanti, protendendosi verso Ethan. — Cosa sono io per lei, allora, se non sono un mostro?
Lui si passò una mano sul mento e rifletté qualche istante. — Tutti noi restiamo Suoi figli agli occhi del Padre, per quanto possiamo credere d’essere orfani. Lei è mio fratello, naturalmente.
— Naturalmente, dice? — mormorò Cee. Si strinse le braccia al petto e chinò la testa, scosso da un tremito. Quando sbatté le palpebre, più volte, fu per schiarirsi la vista offuscata dalle lacrime che gli avevano improvvisamente riempito gli occhi. Se le asciugò con un polsino della blusa, quasi rabbiosamente, e il suo volto avvampò di vergogna. — Dannazione — mugolò, — l’arma segreta dei militari, la super-spia, l’uomo sopravvissuto a tutti i suoi simili e sfuggito a quelli che gli davano la caccia. Com’è riuscito a farmi piangere? Non mi succedeva da molti anni. — Strinse i pugni e aggiunse, con voce rauca: — Se dovessi scoprire che lei mi ha mentito, giuro che la uccido!
Dette da un altro uomo avrebbero potuto essere soltanto parole, ma la luce fredda che ci fu negli occhi azzurri di Cee fece capire a Ethan che stava dicendo la semplice verità. — Senta, adesso lei è molto stanco — disse per placarlo, allarmato da quell’atteggiamento così emotivo. Per Cee non fu facile ritrovare l’autocontrollo, tuttavia ci provò, lavorando sulla respirazione come uno yogi. Ethan vide che sul minuscolo comodino da notte c’era un fazzoletto e glielo diede perché si asciugasse la faccia. — Credo che guardare il mondo attraverso gli occhi di Millisor, se è questo che lei ha fatto ultimamente, abbia avuto un brutto effetto psicologico su di lei.
— Vedo che lei ha capito questa situazione — mormorò Cee annuendo. — Io sono andato dentro e fuori dalla sua mente fin da quando questa cosa — e allargò ancora le dita di una mano a imitare la forma di un granchio, — si è sviluppata del tutto dentro la mia testa, all’età di tredici anni.
— Un’esperienza spiacevole, già — disse Ethan. senza pensarci. — Come annusare della spazzatura.
Sorpreso, Cee si lasciò sfuggire una risata che per ritrovare la padronanza di sé gli servì meglio della respirazione. — Come ha fatto a saperlo?
— Io non so niente su come funziona la sua telepatia, ma conosco quell’individuo — Ethan si mordicchiò pensosamente le labbra. — Lei è giovane. Quanti anni ha? — domandò all’improvviso.
— Diciannove anni standard.
Non c’era alcuna sfida adolescenziale in quella risposta. Cee stava soltanto esponendo un fatto, come se la sua giovinezza non fosse mai stata un periodo in cui s’era sentito contrapposto agli adulti. La consapevolezza della sua diversità raggelò un momento Ethan, come la vista della cima di un iceberg. — Ah-ehm… spero che non le dispiaccia raccontarmi qualcosa di lei, adesso. Parlando nelle mie vesti di Ufficiale addetto all’Immigrazione, se posso dire così.
Il lavoro dei genetisti, gli spiegò Terrence Cee, era stato basato su una mutazione della glandola pineale. Come quella donna di razza mista, povera e deforme, un’emigrante senza radici che si faceva passare per strega e chiromante, fosse giunta all’attenzione del Dr. Faz Jahar, Cee non l’aveva mai saputo. Ad ogni modo la sedicente strega era stata tolta dalla misera baraccopoli in cui viveva, e portata nel laboratorio universitario di quel giovane medico dalle insolite ambizioni. Jahar conosceva qualcuno che conosceva qualcuno che aveva rapporti con un Ghem-lord d’alto rango dell’esercito, e così era riuscito a farsi ascoltare da un personaggio potente disposto ad assistere a una dimostrazione delle strane facoltà da lui scoperte nella donna. Si trattava di poteri allo stadio molto larvale, e tuttavia la dimostrazione aveva avuto successo. Il Dr. Jahar era così riuscito ad ottenere il finanziamento dei militari per le sue ricerche. La strega-chiromante era svanita nei meandri di qualche installazione segreta, e nessuno dei parenti che vivevano in quel misero sobborgo l’aveva mai più rivista, né viva né morta.
Il racconto di Cee s’era fatto freddo e distaccato, ordinato, come se avesse fatto pratica raccontandolo a chissà quanti altri fino alla noia. Ethan non sapeva se quell’eccessiva dimostrazione di autocontrollo fosse più snervante dell’atteggiamento emotivo e passionale di poco prima, ma cercò di ascoltare con attenzione.
Il complesso genetico della donna dai poteri telepatici era stato isolato e fatto riprodurre in vitro, venti generazioni in cinque anni di lavoro per raffinare e potenziare queir insieme. I primi tre esseri umani ad averlo inserito nei loro cromosomi erano morti prima d’essere estratti dai replicatori uterini, e quei cromosomi ulteriormente selezionati erano stati introdotti in altre cellule-uovo fecondate. Altri quattro erano morti durante la prima infanzia, uccisi da un tumore cerebrale non operabile, ed i cinque successivi, pur sopportando in qualche modo l’organo estraneo al resto del loro tessuto cerebrale, erano stati soppressi da Jahar dopo aver sviluppato orripilanti deformità fisiche collegate a quella presenza anomala nel cranio.
— La sto mettendo a disagio? — domandò Cee, interrompendosi per scrutare la sua espressione.
Seduto su un angolo del letto gonfiabile, Ethan era per la verità un po’ pallido. Si schiarì la voce. — No… no, vada avanti.
I prodotti di quella matrice genetica — Ethan li avrebbe chiamati bambini, ma evidentemente per qualcuno non erano stati tali — mostravano tuttavia grandi progressi dal punto di vista che interessava a Jahar. Il medico aveva continuato gli esperimenti in vitro e messo in crescita altri feti nei replicatori uterini. Le imperfezioni fisiche erano state eliminate. Il feto L-X-10 Terran-C era stato il primo della nuova serie a sopravvivere all’infanzia, anche se diverse caratteristiche ritenute importanti erano state eliminate a favore della perfezione fisica. I militari, che stavano perdendo la pazienza, avevano infatti chiarito che esseri grotteschi dalla testa deforme non erano molto utili come agenti segreti. I risultati dei test preliminari effettuati sul bambino erano stati ambigui, deludenti. Le sovvenzioni al laboratorio erano state tagliate. Ma Jahar, dopo tutti quegli anni di lavori e di sacrifici (di sacrifici umani, lo corresse Ethan, disgustato) aveva rifiutato di arrendersi.
— Quando ripenso alla mia infanzia — disse Cee. — posso dire che Jahar fu una specie di padre per me, a suo modo. Lui credeva in me… o meglio, credeva nel suo lavoro, personificato in me. Quando non ebbe più le sovvenzioni dell’esercito per le governanti e i tecnici e tutto il resto, dovette cedere una parte del laboratorio a dei ricercatori che si occupavano di guerra batteriologica. Ma gli restavano ancora abbastanza soldi per continuare a occuparsi di me e di Janine, e proseguì i suoi studi e i test mentali.
— Chi è Janine? — domandò Ethan dopo un momento, vedendo che Cee taceva.
— J-9-X Ceta-G era… mia sorella, si potrebbe anche dire — rispose Cee sottovoce. Il suo sguardo non cercava quello di Ethan. — Lei e io condividevano molti geni, oltre a quelli dell’organo ricevitore derivato dalla glandola pineale. Dei venti neonati che uscirono dai replicatori uterini in quella generazione, Janine fu l’unica superstite oltre a me. O forse era mia moglie. Non so se Jahar intendesse farci accoppiare per avere una prima coppia umana, anche se le fertilizzazioni in vitro gli andavano benissimo… comunque incoraggiava il sesso fra noi già quando avevamo sette od otto anni di età. Vivevamo tuttavia in una base dell’esercito, ed eravamo sempre sottoposti all’autorità dei militari. Però, a differenza di me, Janine non frequentava la scuola per gli agenti dei servizi segreti. Millisor pensava a lei come a una specie di potenziale ape regina in un futuro alveare di spie. Inoltre aveva delle fantasie sessuali su loro due… in realtà abusava di lei, con la complicità di Jahar, a cui occorreva il suo appoggio. Anche in età pre-puberale Janine era molto femminile e provocante. — Cee tacque, con sollievo di Ethan, a cui non interessava un resoconto dettagliato delle predilezioni sessuali di Millisor.