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Desroches annuì con aria pensosa, poi sorrise allegramente. — Proprio così. Be’… questa è tutta roba sua, dottor Urquhart. Lasci i lavori di routine del laboratorio ai suoi tecnici, e metta le nuove culture nella loro nuova casa. Priorità assoluta.

— Su questo può scommetterci!

Ethan depose teneramente il contenitore su un banco del Laboratorio Colture, e regolò i comandi per far alzare di qualche grado la temperatura interna. Prima di maneggiare il materiale doveva attendere un poco. Quel giorno lui avrebbe prelevato soltanto una dozzina di gruppi, per rifornire le apparecchiature di coltura fredde e vuote e rimettere in loro nuova vita. Serio in viso toccò il pannello spento dietro il quale il feto CJB-9 era cresciuto così a lungo e inutilmente. Quella vista lo fece sentire triste e, cosa strana, in balia degli eventi.

Il resto dei tessuti avrebbe atteso nel contenitore dove aveva viaggiato finché i tecnici delle Costruzioni avrebbero installato un banco di apparecchiature nuove lungo la parete opposta. Ebbe un sogghigno al pensiero dell’attività frenetica che adesso avrebbe scombussolato la placida routine di quel dipartimento. Be’, un po’ di esercizio non avrebbe fatto male a quella gente.

Intanto che aspettava portò le sue nuove riviste alla consolle di comunicazioni, per darci un’occhiata. Esitò un momento. Da quando era stato promosso alla direzione del dipartimento, l’anno addietro, il suo grado di censura era stato elevato a Livello di Sicurezza A. Questa era la prima occasione che aveva di sfruttarlo, la prima occasione di controllare la maturità e la capacità di giudizio che si supponevano necessarie per maneggiare riviste galattiche senza tagli, del tutto non-censurate. Si umettò le labbra e tenne i nervi sotto controllo, desideroso di dimostrare a se stesso che meritava appieno la fiducia che avevano voluto dargli.

Scelse un dischetto a caso, lo inserì nella fessura del lettore e chiamò a schermo l’indice del contenuto. La maggior parte delle due dozzine di articoli riguardavano, comprensibilmente ma con sua delusione, vari problemi della riproduzione dal vivo in femmine della razza umana, cosa che quindi non poteva riguardare il suo lavoro. Con virtuosa fermezza Ethan represse l’impulso di guardarli. C’era tuttavia un articolo sulla diagnosi precoce di una poco nota forma di cancro dei vasi deferenti, e un altro con l’assai invitante titolo Un miglioramento nella permeabilità delle membrane di scambio nei replicatori uterini. Il replicatore uterino era un’invenzione sviluppata in origine su Colonia Beta, pianeta assai famoso per la sua tecnologia biologica d’avanguardia, e un tempo lo si usava quasi unicamente per ospitare gravidanze in caso d’emergenza medica. La maggior parte dei perfezionamenti tecnici, degli studi, e delle novità biologiche proveniva tutt’ora da Colonia Beta, fatto che non era molto apprezzato su Athos.

Ethan chiamò l’articolo a schermo e lo lesse con attenzione. Il nuovo metodo sembrava basarsi su una mescolanza diabolicamente sottile di linfoproteine e polimeri, espediente che deliziò la sua mentalità geometrica, almeno alla seconda lettura, quando riuscì finalmente a capirlo. Per un poco si perse in calcoli su quel che sarebbe costato realizzare lo stesso lavoro lì a Sevarin. Avrebbe dovuto parlarne col direttore di Costruzioni…

Distrattamente, intanto che rifletteva ai materiali che sarebbero occorsi, chiamò a schermo la pagina dell’autore. Un miglioramento nella permeabilità delle membrane di scambio nei replicatori uterini proveniva dall’ospedale universitario di una città di nome Silica. Ethan sapeva poco della geografia di altri mondi, ma quello sembrava proprio un nome betano. Ciò che menti ordinate e mani abili sarebbero state capaci di realizzare con quell’idea…

Kara Burton M.D. Ph.D. ed Elizabeth Naismith M.S. Bio-ingegneria… questi furono i nomi alzando lo sguardo dai quali si trovò a fissare due delle più strane facce che avesse mai visto.

Facce prive di barba, come quelle di uomini che non avessero figli o di ragazzi, ma senza la solidità giovanile di un ragazzo. Facce molli e pallide, dall’ossatura sottile, e tuttavia segnate dalle rughe dell’età matura. I capelli di Elisabeth Naismith erano quasi tutti bianchi. L’altra persona era corpulenta, vestita con un camice da laboratorio celeste lungo al ginocchio e scarpe a tacco alto.

Ethan s’irrigidì con un tremito, in attesa che la pazzia scaturisse da quei loro sguardi da medusa per contagiarlo e travolgerlo. Non accadde nulla. Dopo qualche momento staccò le mani dal bordo della consolle, a cui le aveva attanagliate, e cercò di calmarsi. Forse, allora, la follia che possedeva gli uomini, schiavi di quelle creature nel settore colonizzato della galassia, era qualcosa che si trasmetteva soltanto col contatto della carne… o attraverso una sorta di aura telepatica che emanava come il calore fisico dai loro corpi? Coraggiosamente Ethan alzò di nuovo lo sguardo in quello delle figure a schermo.

Così, dunque. Quella era una femmina… due femmine, in effetti. Ethan analizzò la sua reazione alle immagini; con immenso sollievo scoprì che almeno in apparenza non ne era stato toccato. Provava indifferenza, perfino una leggera repulsione. Il Pozzo del Peccato non s’era spalancato per ingoiare la sua anima nelle profondità dell’abisso, sempre presumendo che lui avesse l’anima. Quando allungò una mano e spense lo schermo del lettore in lui non ci fu altra emozione che una curiosità frustrata. Chiarito questo fatto decise che. per affermare la validità inespugnabile della sua risolutezza, per quel giorno non avrebbe letto una parola di più. Infilò di nuovo il dischetto nella scatola e lo mise via, insieme agli altri.

Lo scatolone refrigerante era quasi alla temperatura giusta. Ethan andò a prendere le bacinelle termiche, preparò i bagni di soluzione nutriente per le nuove colture e li programmò per raffreddarsi a una temperatura molto bassa, identica a quella del contenuto dello scatolone. Indossò i guanti isolanti, spezzò il sigillo e sollevò il coperchio.

Invece del cilindro metallico che si aspettava c’erano dei pacchetti di plastica. Dei pacchetti?

Stupefatto Ethan abbassò lo sguardo nel contenitore. Ogni campione di tessuto avrebbe dovuto essere racchiuso, isolatamente degli altri, in un suo bagno di azoto liquido, non c’era dubbio su questo. Gli informi pacchetti che vedeva erano invece ammucchiati insieme come involti di carne acquistata in una cooperativa alimentare. Il cuore gli balzò in gola per il terrore e la sorpresa.

Un momento, un momento, non doveva lasciarsi prendere dal panico… forse quella era una nuova tecnologia galattica di cui non aveva ancora sentito parlare. Alacremente frugò nella statola in cerca di un manuale d’istruzioni, o magari di un foglio spiegazzato buttato lì fra i pacchetti. Niente. Per qualche minuto la sua mente girò a vuoto.

Guardando quegli involti refrigerati Ethan si rese conto, alla fine, che lì dentro non c’erano affatto colture di tessuti, bensì dei semplici pezzi di organi interni, tagliati e refrigerati. Avrebbe dovuto ricavarne lui stesso le colture. Deglutì un groppo di saliva. Non é impossibile, si disse, cercando di rassicurarsi.

Trovò un paio di forbici, aprì un primo pacchetto e lasciò scivolare il roseo contenuto nel bagno nutriente di una bacinella termica, con un liquido plop. Attraverso il fluido trasparente lo contemplò, preoccupato e deluso. Forse avrebbe dovuto tagliarlo a strisce, per far giungere la soluzione nutriente a ogni strato… no, non ancora; il bisturi avrebbe potuto danneggiare la struttura delle cellule, congelate com’erano. Prima bisognava scongelare.

Aprì anche altri pacchetti, pervaso da un crescente disagio. Strano, molto strano. Qua c’era un blocco di carne grosso sei o sette volte più degli altri, vitreo e tondeggiante. Là ce n’era un altro piatto e bianco, simile a formaggio di campagna e un po’ repellente. Con improvviso sospetto contò i pacchetti. Erano trentotto. E quelli più grandi sul fondo dello scatolone…