— Credo che Millisor abbia prelevato Teki per interrogarlo — disse Quinn. — Se è così, la mia copertura è andata in fumo. Dannazione! Non c’era nessun motivo logico perché Millisor facesse una cosa simile. Ha cominciato a pensare con le gonadi? Questo non sarebbe da lui.
— La logica della disperazione, forse — disse Cee. — La scomparsa di Okita lo ha allarmato molto. E la ricomparsa del dottor Urquhart ancora di più. Lui ha… uh, alcune sue strane teorie sul dottor Urquhart.
— Sulla base delle quali — annuì Ethan. — lei si è dato la pena di venire a cercarmi. Mi spiace di non essere il superagente che lei si aspettava.
Cee lo guardò in modo strano. — Non se la prenda così.
— Io volevo fare pressione su Millisor. — Quinn si mordicchiò un’unghia con uno schiocco udibile. — Ma non fino a questo punto. Non gli ho dato nessun motivo di rapire Teki. Sono certa che non sarebbe successo nulla, se lui avesse seguito alla lettera le mie istruzioni senza cincischiare tanto… ma non avrei dovuto coinvolgere un non-professionista. Perché ho pensato soltanto alla nostra sicurezza? Quel povero Teki non sa neppure cosa gli è piombato addosso.
— Lei non ha avuto nessuno scrupolo anche quando si è trattato di coinvolgere me — le annotò Ethan, rigidamente.
— Tu eri già coinvolto. E inoltre non spettava a me farti da balia, visto che non è certo colpa mia se Athos è nel mirino di questi cetagandani. e… — Fece una pausa e lo guardò stranamente, come Cee poco prima. — Comunque, non devi sottovalutarti — concluse.
— Adesso dove sta andando? — la fermò Ethan allarmato, mentre lei attraversava la stanza.
— Ho intenzione di… — cominciò lei con fermezza. La sua mano, già alzata verso il pulsante della porta, esitò e si riabbassò. — Ho intenzione di pensarci bene.
Si volse e andò avanti a indietro, ai piedi del letto. — Perché lo stanno trattenendo così a lungo? — chiese. Ethan non capì se lo stesse domandando a lui, a Cee o all’aria. — Avrebbero dovuto tirargli fuori tutto quello che sapeva in quindici minuti, provocargli un vuoto di memoria e poi lasciare che si risvegliasse in un’auto a bolla, convinto di aver dormito per tutto il percorso. E nessuno avrebbe sospettato nulla, neppure io.
— Hanno scoperto tutto ciò che io sapevo in quindici minuti — la informò Ethan, — ma non per questo si sono fermati lì.
— Sì, però nel tuo caso avevano buoni motivi per sospettarti, dato che come sai ti avevo regalato una microspia con quel proiettore. Ma addosso a Teki non ho messo niente, proprio perché non volevo fargli correre lo stesso pericolo. Inoltre loro possono sapere chi è Teki esaminando le registrazioni di Stazione Kline fino al giorno della sua nascita. Tu eri un uomo senza passato, o almeno con un passato inaccessibile per i cetagandani, il che dava spazio alle loro fantasie paranoiche.
— Il risultato è stato che ci hanno messo sette ore per convincersi che potevano tranquillamente eliminarmi — disse Ethan.
— Tuttavia — intervenne Cee, — dopo la scomparsa di Okita si sono convinti che lei è un agente capace di resistere con successo a sette ore di interrogatorio. Forse ora sono molto meno disposti a crederci, quando uno gli risponde "io non so niente" anche con una dosa di penta-rapido nelle vene.
— In questo caso — disse cupamente Quinn, — prima riesco a tirare Teki fuori di là, meglio è.
— Mi scusi — disse Ethan, — ma fuori di dove?
— È probabile che si tratti dell’alloggio di Millisor. Dove hanno interrogato te. La loro camera "pulita", dove non ho mai potuto infiltrare una microspia. — Quinn si passò nervosamente una mano fra i capelli. — Come diavolo posso riuscirci? Un attacco frontale a un posto ben difeso, in mezzo a una quantità di innocenti indifesi e nell’ambiente delicato di una stazione spaziale… no, questo non sembra molto pratico.
— Come ha fatto a salvare il dottor Urquhart? — domandò Cee.
— Ho aspettato, con molta pazienza, che lo portassero fuori. Ho aspettato a lungo per avere una buona possibilità d’intervenire con qualche speranza di successo.
— Ho apprezzato molto la sua pazienza — disse Ethan. con serietà. Si scambiarono un sorrisetto rigido.
La mercenaria continuò ad andare avanti e indietro come una tigre in gabbia. — Sono stata preceduta. So che è così. Lo sento. Millisor mi cercherà, attraverso Teki. E Millisor è uno che non ha inibizioni quando si tratta di far parlare la gente. Q.E.D. Quinn Erat Dementis. Mio Dio. Non farti prendere dal panico, Quinn. Cosa farebbe l’ammiraglio Naismith, in questa situazione? — Si fermò, lo sguardo fisso sulla parete nuda.
Ethan immaginò navette da combattimento Dendarii che schizzavano fuori dal punto di balzo, truppe d’assalto in scafandro spaziale, piattaforme antigravità armate con terribili cannoni a plasma che si spostavano nell’aria…
— Mai fare di persona — mormorò Quinn. — quello che un esperto con l’attrezzatura adatta può fare al tuo posto. Questo è ciò che lui direbbe. Judo tattico, dal Manuale del Mago dello Spazio. — Nella sua immobilità c’era il dinamismo della meditazione Zen. Quando si girò, lo sguardo le brillava d’eccitazione. — Sì, questo è proprio ciò che lui farebbe! Astuto piccoletto dalla mente contorta, io ti amo! — La sua mano destra scattò in un saluto militare diretto a una presenza invisibile, poi infilò di nuovo la carta di credito di Cee nella consolle e batté un numero.
Perplesso, Cee gettò un’occhiata interrogativa a Ethan, che si strinse nelle spalle.
Sulla piastra video si materializzò il mezzobusto di un’impiegata dall’aria sveglia in tuta verde-pino e azzurro-cielo. — Pronto Intervento Biocontrollo-Epidemiologia. Buonasera. Cosa possiamo fare per lei? — domandò cortesemente, guardando l’interlocutrice.
— Buonasera. Devo fare rapporto su un sospetto vettore di contagio — disse Quinn, nel suo tono più serio e professionale e con una sfumatura d’urgenza.
— Siamo qui per questo. — L’impiegata girò uno schermo verso di sé e batté qualcosa su una tastiera. — Soggetto umano o animale?
— Umano.
— Visitatore, o cittadino della stazione?
— Visitatore, maschio, adulto. Ma in questo momento è sul punto di trasmettere il contagio a un cittadino di Stazione Kline.
L’impiegata si mostrò subito più interessata. — E la natura del contagio?
— Plasmosi virale Alpha S-D-3.
La mano dell’impiegata si fermò sulla tastiera. — La plasmosi virale Alpha S-D-2 è una necrosi delle mucose epiteliali trasmessa per contatto sessuale, originaria di Varusa Tertius. È questo il contagio a cui si riferisce?
Quinn scosse il capo.
— Questo è un nuovo e più virulento ceppo mutante dei virus che trent’anni fa ha praticamente sterminato la popolazione di un emisfero di Varusa Tertius. Il vaccino per il tipo S-D-3 non è stato ancora bio-programmato, come lei avrà certo saputo… Non ne siete al corrente, lì al Biocontrollo?
L’impiegata aveva sollevato le sopracciglia. — No, signora. — Batté altre cose, furiosamente, e poi si girò a prendere anche una nota scritta che consegnò a qualcuno fuori campo. — E il nome del sospetto vettore del contagio?
— Ghem-lord Harman Dal, un cittadino cetagandano, commerciante di oggetti artistici e artigianali. Ha appena aperto un’agenzia sulla Passeggiata di Viaggiatori, con una licenza avuta dalla Camera di Commercio poche settimane fa. È già venuto in contatto con una dozzina di persone. Non tutte dell’altro sesso, a quanto mi risulta.
Harman Dal, si appuntò Ethan, doveva essere l’altra identità di Millisor.
— Santo spazio — mormorò l’impiegata, — darò inizio alla procedura. Ah… — Fece una pausa, cercando le parole. — Come è venuta a conoscenza della malattia di questo individuo?
Lo sguardo fermo di Quinn si distolse dal volto dell’impiegata per abbassarsi ai suoi piedi, po’ su un angolo lontano della stanza, poi sulle sue mani. Si schiarì la gola. Sarebbe arrossita, se avesse avuto il tempo di trattenere il fiato abbastanza a lungo. — Lei come crede che io ne sia venuta a conoscenza? — disse, alla fibbia della sua cintura.