Ethan corrugò le sopracciglia.
Nella prima generazione, le nuove colture ovariche avrebbero fornito le loro caratteristiche recessive, nascoste e non attivate, ai bambini — e ben presto, dato il ritmo a cui morivano le vecchie colture, a tutti i bambini — nati su Athos. Ma soltanto allorché la seconda generazione avesse raggiunto la pubertà l’organo telepatico funzionante sarebbe apparso in una metà (statisticamente) della popolazione, dall’unione del genotipo attivato maschile con il genotipo recessivo delle colture. Nella terza generazione, metà della popolazione restante sarebbe passata dalla telepatia latente a quella effettiva, e così via, poiché la maggioranza telepatica avrebbe continuato a trasmettere il genotipo attivato a metà della minoranza non-telepatica dimezzandola a ogni generazione.
Ma per allora anche tutti i non-telepatici avrebbero portato quei geni nelle loro cellule, potenziali padri di figli telepatici. L’intera popolazione di Athos sarebbe stata quindi permeata con quel complesso genetico, ormai impossibile da sradicare anche con estese operazioni di chirurgia microcellulare.
Dati quei meccanismi di riproduzione obbligati, la domanda Perché Athos? trovava quindi la sua risposta. Naturalmente Athos. Soltanto Athos.
L’audacia, la perfezione, la bellezza — e l’enormità — del complotto di Cee mozzò il fiato a Ethan. Tutte le tessere del mosaico cadevano al posto, ciascuna provando l’evidenza dell’altra con la chiarezza di un calcolo matematico. C’era da credere che Cee fosse orgoglioso di come aveva speso la sua montagna di denaro.
— Ora chi è che trova insopportabile incontrarsi all’improvviso con la verità? — lo derise Millisor.
— Oh — disse Ethan con un fil di voce.
— La cosa più insidiosa di quel piccolo mostro è il suo fascino — proseguì il cetagandano, guardandolo con intensità. — Lo abbiamo costruito così proprio a questo scopo, quando ancora non sapevamo che i limiti del suo talento l’avrebbero reso poco adatto come agente sul campo. Anche se. visti i guai che ha saputo darci in seguito, di talenti ne aveva fin troppi. Ma non bisogna pensare che il fascino sia una virtù, dottore. Lui è pericoloso, se non altro perché non prova la minima lealtà verso l’umanità dalla quale è uscito, e di cui non fa più parte…
Ethan si chiese se in quel contesto poteva interpretare: Umanità = Cetaganda.
— … essendo non più un uomo ma un virus, che vuole trasformare l’intero universo a sua immagine e somiglianza, un pezzo dopo l’altro. Sicuramente lei capisce che un contagio di questo genere richiede contromisure energiche. Ma la nostra è soltanto la violenza controllata della chirurgia. Lei non deve farsi convincere dalla propaganda del virus. Per quanto pieni di difetti, noi non siamo i macellai che lui vuol farci apparire.
Le mani di Millisor si girarono, nelle cinghie, aprendosi in un gesto di supplica. — Ci aiuti. Lei deve aiutarci.
Scosso, Ethan guardò l’uomo avvolto in quel camice spiegazzato. — Senta, mi spiace di… — Per Dio il Padre, stava davvero chiedendo scusa a Millisor? — No, colonnello. Vede, io ho parlato con Okita. Posso capire che un uomo diventi un killer. Ma un killer che si annoia a fare il suo lavoro?
— Okita è solo uno strumento. Il bisturi del chirurgo.
— Allora il vostro governo trasforma un uomo in una cosa. — Una citazione antica passò nella mente di Ethan: Dai loro frutti li conoscerai…
Millisor strinse le palpebre. Non insisté nelle sue argomentazioni, e dopo un breve sguardo ad Arata domandò: — Cos’ha fatto al sergente Okita, dottor Urquhart?
Anche lui gettò un’occhiata al capitano della Sorveglianza, seccato che quel nome fosse stato riportato in ballo. — Io non gli ho fatto niente. Magari ha avuto un incidente. Oppure ha disertato. — O forse, considerato il destino ultimo di Okita, era più esatto dire "dessertato"… Ethan scacciò quei pensieri morbosi. — In ogni caso, io non posso aiutarla. Anche se volessi tradire Cee per consegnarlo a voi (è questo che mi sta chiedendo, no?) non so assolutamente dov’è.
— Neppure dove sta andando? — suggerì Millisor.
Ethan scosse il capo. — Può esser diretto dovunque, per quello che ne so. Cioè: dovunque ma non su Athos.
— Ahimè, è vero — mormorò Millisor. — Fino ad oggi Cee era legato a quel materiale genetico. Se io fossi riuscito ad averlo avrei potuto mettermi a sedere, e lui sarebbe venuto da noi. Ora che le colture sono state distrutte, e che non sarà possibile da parte nostra attirarlo con qualcosa di analogo, Cee è libero di portare avanti una nuova variante della sua trama nefasta chissà dove. — Il cetagandano sospirò. — Chissà dove…
Il Ghem-colonnello, ricordò risolutamente Ethan a se stesso, era legato e impotente. Lui era libero di muoversi; spettava a lui mettere fine al colloquio prima che quell’astuta spia gli tirasse fuori altre informazioni.
Nella sua ritirata strategica Ethan si fermò un momento quando fu a metà strada verso la porta. — La lascio con un’ultima considerazione su cui riflettere, colonnello: se lei avesse usato questi modi così ragionevoli la prima volta che ci siamo incontrati, invece di fare quello che ha fatto, forse mi avrebbe convinto, e le avrei dato ciò che voleva.
Le mani di Millisor si chiusero a pugno e tesero i loro legami, alla fine.
Fu così che Ethan fece ritorno alla sua camera d’albergo, quella che lui aveva preso il giorno del suo arrivo a Stazione Kline e mai più occupata da allora. Poteva ringraziare la fortuna che l’aveva indotto a pagare in anticipo, perché i suoi effetti personali erano ancora tutti dove li aveva lasciati. Fece il bagno, si rase, diede una ritoccata ai capelli, indossò finalmente abiti di sua proprietà e mangiò una leggera colazione ordinata al distributore della stanza.
Con il bicchiere di caffè sintetico in mano sedette a riflettere. Aveva buttato via due settimane — doveva controllare la data, aveva perso la cognizione del tempo — in quell’avventura, prima come specchietto per le allodole di Quinn. poi come bersaglio mobile di Millisor e oggetto delle manovre di Terrence Cee. Tutti lo avevano usato come una pallina da ping-pong, e cosa ne aveva ricavato? Un utile insegnamento? Una volta che avesse restituito la tuta rossa e gli stivali. non gli sarebbe rimasto altro souvenir che quanto aveva appreso. Tirò fuori la carta di credito e la esaminò. L’invisibile microspia di Quinn era presumibilmente ancora lì, e attiva. Se avesse detto quel che pensava di lei, avrebbe fatto fremere uno dei suoi orecchini a forma di fiore? Comunque, una persona che parlava alla sua carta di credito avrebbe senza dubbio messo a disagio chi gli stava accanto, anche lì su Stazione Kline.
Si distese stancamente sul letto, solo per scoprire che i suoi nervi erano troppo tesi per addormentarsi. Era giorno, o notte? E avevano un senso quei termini su Stazione Kline? Lui non avrebbe saputo dire se aveva conservato il ritmo del suo fuso orario di Athos, o se l’aveva perso già prima di sbarcare sulla stazione. Sentiva il bisogno di alzare la faccia sotto la pioggia, o di un freddo vento polare che gli spazzasse via le ragnatele dal cervello. Avrebbe potuto aprire l’aria condizionata, ma l’odore del deodorante chimico non sarebbe cambiato.
Dopo un’ora trascorsa a rivedere tutti gli avvenimenti di quei giorni, e ad immaginare ciò che avrebbe potuto dire e fare se fosse stato più accorto (o più duro, o più pronto alla risposta salace, o più affascinante) rinunciò disgustato, si vestì e uscì dall’albergo. Se dormire gli era impossibile, avrebbe almeno cercato di occupare il suo tempo con qualcosa di utile. Athos stava pagando quattrini sonanti per ogni minuto della sua missione.
Tornò al Livello della Passeggiata dei Viaggiatori, dov’erano quasi tutti i consolati e le ambasciate, e cominciò a fare una ricerca seria delle case produttrici di materiale biologico. Quasi tutti i pianeti più progrediti offrivano qualcosa. Su Colonia Beta c’erano diciannove diverse possibilità, fra ditte private e governative, e l’Università di Silica offriva un’interessante possibilità di scelta fra le donazioni genetiche di persone di talento, con ampie garanzie.