Benché contrario ad accettare senza riserve i suggerimenti di Quinn su qualsiasi cosa, Ethan rifletté che Colonia Beta sembrava la destinazione migliore. Non sarebbe rimasto deluso, gli assicurò la femmina che operava all’interfaccia computerizzato nell’atrio. Lui uscì convinto di aver finalmente fatto un buon lavoro. E si sentiva fiero anche per un altro motivo; aveva trattato con quella femmina come avrebbe fatto con un uomo. Poteva riuscirci, dopotutto; non era affatto difficile.
Fece ritorno in albergo per mangiare un boccone, poi sedette alla consolle di comunicazione per vedere quanto gli sarebbe costato un biglietto di andata e ritorno per Colonia Beta.
Il percorso più diretto era via Escobar, e ciò gli avrebbe offerto la possibilità di esaminare altri potenziali fornitori senza aggravare di una spesa extra il Consiglio della Popolazione. Almeno metà dei consiglieri gli avrebbero fatto i loro complimenti, qualunque fosse stata la sua scelta tecnica.
Prese finalmente le decisioni più importanti, la stanchezza cominciò a farsi sentire. Ethan si distese sul letto per un sonnellino di cinque minuti.
Parecchie ore più tardi un ronzio insistente del videotelefono lo trascinò fuori dalla palude di un sogno confuso. Il suo piede destro rifiutò di svegliarsi, piegato a un angolazione anomala, e gli fremette di un solleticante torpore quando si alzò per andare a sfiorare il pulsante "Ricezione".
Sulla piastra olovisiva si materializzò la faccia di Terrence Cee. — Dottor Urquhart?
— Ah. Non mi aspettavo di rivederla. — Ethan si sfregò gli occhi cisposi e sedette per entrare nel campo della telecamera. — Credevo che non sapesse più cosa farsene dell’asilo politico di Athos, visto che i suoi grandi traguardi sono ormai finiti in fumo. Un individuo materialista come lei è sicuramente più adatto all’ambiente dei mercenari, comunque. Le consiglio di esaminare l’offerta della comandante Quinn.
Cee ebbe una smorfia, mostrandosi chiaramente a disagio. — In effetti sto per partire — disse con voce rauca. — Volevo parlarle un’ultima volta per… per chiederle scusa. Possiamo vederci al Molo C-8 fra, diciamo, una mezzora?
— Be’, se proprio ci tiene. — Ethan annuì. — Ha intenzione di partire con Quinn, allora, per unirsi ai Mercenari Dendarii?
— Per il momento non posso dire altro. Mi scusi. — L’immagine di Cee si dissolse in una nevicata luminosa e la comunicazione s’interruppe.
Forse accanto a lui c’era Quinn, che gli aveva accennato di tenere la bocca chiusa. Ethan respinse la tentazione di chiamare la Sicurezza e dire al capitano Arata dove poteva trovarla. Lui e Quinn erano pari, adesso; l’aiuto ricevuto aveva pareggiato i guai in cui quella femmina lo aveva trascinato. Il mistero era stato risolto, lei aveva le informazioni tanto desiderate dal suo capo. Che se ne andasse per la sua strada.
Mentre Ethan usciva dall’albergo e si avviava sul marciapiede del corridoio, un uomo che fin’allora era stato seduto accanto alla vasca dei pesci dorati tolse la carta di credito dalla macchinetta che spruzzava nell’acqua briciole di cibo, e venne verso di lui con l’evidente intenzione di fermarlo.
Per un momento Ethan ebbe l’impulso paranoico di voltarsi e fuggire urlando lungo la strada. L’uomo non poteva essere Setti. Non corrispondeva affatto al tipo razziale cetagandano: era alto, di pelle scura, con un gran naso a becco, e indossava un completo di seta rosa gaiamente ricamato.
— Il dottor Urquhart? — domandò educatamente lo sconosciuto.
Ethan mantenne una certa distanza fra loro. Se costui era un’altra dannata spia di qualche genere, giurò a se stesso, l’avrebbe ficcato a testa in giù nella vasca dei pesci dorati. — Sì?
— Mi chiedo se non sarebbe così gentile da farmi un piccolo favore.
— Di che si tratta?
L’uomo tolse da una tasca della giacca rosa un oggettino oblungo, un piccolo proiettore olovideo. — Se le accadesse di rivederlo, vorrei che lei consegnasse questa capsula da messaggi al Ghem-colonnello Luyst Millisor. Il messaggio si attiva introducendo il suo numero di matricola militare.
Nella vasca dei pesci rossi, a testa in giù. — Il colonnello Millisor è stato arrestato dalla Sicurezza di Stazione Kline. Se vuole fargli avere un messaggio, si rivolga a loro.
— Ah. — L’uomo sorrise. — Forse lo farò. Tuttavia, chi può dire dove ci porterà il prossimo giro della grande ruota? Lo prenda ugualmente. Se non le capiterà l’occasione di consegnarlo, lo getti pure via. — Detto questo cercò di mettere il piccolo oggetto in mano a Ethan, che però fu svelto a indietreggiare. Invece di insistere e costringerlo a camminare ancora all’indietro sul marciapiede, l’uomo si fermò e scosse il capo. Appoggiò la capsula sulla panchina che Ethan aveva messo come barriera fra loro. — Lascio la cosa alla sua discrezione, signore. — Gli rivolse un inchino accompagnato da un ampio gesto del braccio, quasi una genuflessione, e si allontanò.
— Non ho intenzione di toccare questo oggetto — disse dietro di lui Ethan con voce piatta. L’uomo si volse a mezzo con un sorrisetto, ed entrò in un ascensore antigravità. — Lo porterò alla Sicurezza! — gridò lui. L’uomo si portò una mano a un orecchio e scosse il capo, sollevandosi nel tubo trasparente. — Io lo… io lo… — Ethan imprecò fra i denti mentre la figura rosa spariva alla vista.
Girò intorno alla panchina, scrutando il piccolo oggetto con la coda dell’occhio. Sembrava innocuo. Alla fine, con un borbottio, si chinò a raccoglierlo. Alla prima occasione l’avrebbe portato al capitano Arata, e qualunque cosa ci fosse dentro se ne sarebbe occupato lui. Guardò l’orologio e si affrettò verso le auto pubbliche.
Dovette prendere una vettura a bolla per farsi portare al Molo C-8. che si trovava in un settore riservato alle navi mercantili sul lato opposto della stazione rispetto alla Passeggiata dei Viaggiatori. Stavolta aveva una mappa con sé, e non si smarrì nelle traverse.
La zona dei moli era molto silenziosa a quell’ora. Un solo ingresso al corridoio estensibile esterno era acceso, collegato a una piccola nave, probabilmente un corriere veloce che affittava anche cabine passeggeri a chi voleva spostarsi in fretta. Quelle astronavi da balzo erano perfino più costose dei grossi transgalattici di linea, ed Ethan rifletté che il conto spese di Quinn doveva essere molto elastico.
Terrence Cee, vestito con la sua tuta verde da operaio della stazione, era seduto su una cassa da imballaggio sul bordo della strada dei moli, completamente solo. Il giovanotto biondo si girò nel sentire i suoi passi sulla rampa di uscita, e quando lui gli fu accanto disse: — È in anticipo di dieci minuti, dottor Urquhart.
Ethan guardò il corridoio estensibile. — Credevo che lei avrebbe cercato un passaggio su un mercantile, o su uno di quei passeggeri che ammucchiano i turisti come sardine. Non immaginavo che lei viaggiasse con questo stile.
— Ero convinto che lei non sarebbe venuto.
— Perché? Forse perché ho scoperto tutta la verità sul materiale che lei voleva mandare ad Athos? — Ethan scrollò le spalle. — Non posso dire che approvo quel che lei cercava di fare. Ma visti gli ovvi problemi che la sua… uh, la sua razza, suppongo di poter dire, avrebbe sofferto nelle vesti di minoranza odiata e temuta, penso di capire.
Un malinconico sorriso illuminò il volto del giovanotto biondo, poi scomparve. — Lei capisce? Sì, è naturale che un athosiano capisca. — Ebbe un cenno col capo. — Forse avrei dovuto dire che speravo che lei non venisse.
Ethan si volse, seguendo la direzione del suo cenno.
Nell’ombra di un grosso carrello sollevatore c’era Elli Quinn. Ma era una Elli Quinn insolitamente sciatta e spettinata. La sua bella blusa non c’era, e indossava solo una maglietta a mezze maniche e i pantaloni dell’uniforme. Anche i suoi stivaletti non c’erano. E inoltre, notò Ethan quando barcollò avanti fuori dall’ombra, la fondina del suo storditore era vuota.