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Nel pannello di comandi da cui aveva strappato il coperchio. Quinn stava cercando di accendere le piastre di gravità d’emergenza. Il peso tornava, e Rau e Cee avvinti nella lotta scesero lentamente al suolo. Ethan smise di ondeggiare come una bandiera al vento e si ritrovò a penzolare, benché ancora molto leggero, a una decina di metri d’altezza rispetto ai moli. In fretta scese giù dall’argano e raggiunse la pavimentazione, prima che Quinn facesse la stessa cosa che Helda aveva fatto con gli uccelli fuggiti.

Rau scaraventò sulla strada Cee. più snello e leggero, e mentre il giovanotto rotolava via lui corse verso il tubolare del Molo C-8, collegato con la nave ormeggiata all’esterno. Ma aveva fatto appena due passi quando il suo corpo fiammeggiò e bruciò come un tizzone nei raggi incrociati di armi al plasma, usate non da uno ma da due individui appostati sulle passerelle. Lo sventurato cadde con un tonfo molle, visse ancora qualche orribile istante mentre la sua mandibola scarnificata si apriva in un muto grido, e poi fu scosso solo dai sussulti interni delle ossa che si carbonizzavano. Poco più in là Cee, sulle mani e sulle ginocchia lo guardò a occhi sbarrati, come stupito dalla distanza ormai insuperabile che qualcun altro aveva messo fra lui e la sua vendetta.

Ethan aspettò d’essere certo che quegli uomini non avrebbero sparato a nessun altro prima d’incamminarsi verso il telepate. Gli sconosciuti stavano scendendo lungo una scaletta. Uno era l’uomo in completo rosa che l’aveva avvicinato fuori dall’albergo, l’altro, anche lui nero di pelle, vestiva un abito marrone altrettanto vistoso e ricamato. I due si avvicinarono subito a Quinn, che invece di mostrarsi lieta dell’intervento dei loro salvatori cominciò ad arrampicarsi su per la parete come un ragno spaventato.

Gli individui di pelle nera la agguantarono ciascuno per una caviglia e la tirarono giù senza complimenti, facendole sbattere la testa su una piattaforma di carico. La mercenaria cercò di colpire uno di loro con un calcio in faccia, ma il suo tentativo fu sventato da Abito Marrone e lei precipitò dalla piattaforma, in una caduta che sarebbe stata dolorosa a piena gravità e anche così non fu certo piacevole. Abito Rosa le immobilizzò le braccia dietro la schiena, e Abito Marrone le tolse la voglia di lottare ancora con un pugno nello stomaco che le mozzò il respiro.

Subito dopo, tenendola per le braccia, i due la trascinarono su per una rampa verso la luce gialla di un’uscita d’emergenza, mentre le squadre del controllo-danni della stazione, in tuta pressurizzata, stavano già entrando nel settore da altri portelli.

— Quei due stanno portando via Quinn… la rapiscono! — gridò Ethan a Cee. — Chi sono? Cosa vogliono? — Aiutò il giovanotto a rialzarsi e rimase lì a ballare da un piede all’altro, sgomento e senza sapere cosa fare.

Il telepate li guardò e scosse il capo. — Gente del Gruppo Jackson? Di Casa Bharaputra? Non lo so, ma dobbiamo fermarli!

— Preferibilmente fuori di qui, dove c’è aria da respirare…

Aggrappandosi uno all’altro per non procedere a salti troppo lunghi e incontrollati, I due attraversarono la strada più rapidamente possibile e salirono su per la rampa.

Al compartimento stagno d’emergenza dovettero aspettare per decine di terribili secondi, coi denti stretti e le dita ficcate negli orecchi per proteggere i timpani contro la pressione dell’aria che diminuiva sempre più, mentre il terzetto che li aveva preceduti passava attraverso il ciclo automatico del piccolo locale che comunicava con le zone a minore rischio della stazione. Ethan scoprì che premere tutti i pulsanti, o maledire e prendere a calci in preda al panico i comandi manuali, non serviva ad accelerare il ciclo. Il meccanismo si aprì solo quando i suoi sensori gli diedero le risposte giuste.

I due si gettarono nell’interno e poi dovettero aspettare che la pressione si ristabilisse, mentre i rapitori di Quinn aumentavano il loro vantaggio. Ethan poté riempirsi i polmoni per respirare di sollievo. S’era sbagliato sull’aria della stazione: riciclata o no, aveva il profumo più dolce che lui avesse mai sentito.

— Come diavolo hanno fatto Millisor e Rau — ansimò, nell’attesa che l’indicatore dei minibar raggiungesse la linea verde, — a fuggire dai Reparto Quarantena? Credevo che neppure un virus avrebbe potuto uscire di là.

— Li ha liberati Setti — ansimò in risposta Cee. — Si è presentato dicendo di essere l’agente che li doveva scortare nella stiva di un mercantile ormeggiato ai moli, in attesa della deportazione. O forse era veramente lui ad avere quell’incarico, non lo so. Non credo che Quinn avesse capito fino a che punto erano riusciti a infiltrarsi nell’organizzazione della stazione.

Il portello interno del compartimento stagno si aprì con un sibilo, ed Ethan e Cee corsero nel corridoio all’inseguimento di una preda già scomparsa e dalla quale, disarmati com’erano, sapevano che avrebbero dovuto restare a prudenziale distanza. Al primo incrocio si fermarono, indecisi.

Cee allargò le braccia e girò su se stesso, come se la sua telepatia fosse attiva e stesse cercando di captare qualcosa. — Da questa parte — decise, indicando a sinistra.

— Ne è sicuro?

— No.

I due ripresero a correre. Arrivati all’incrocio successivo furono ricompensati dal suono di una voce femminile che gridava qualcosa, in tono di protesta, dalla traversa di destra. Seguirono quella direzione e da lì a poco videro che il corridoio sfociava in un atrio da cui partiva un pozzo antigravità per le merci.

L’uomo dal vestito di seta marrone aveva spinto Quinn faccia al muro, e le torceva un braccio dietro la schiena. Lei cercava di divincolarsi per attenuare il dolore, ma in quella posizione non aveva possibilità di opporsi.

— Avanti, signora mia — stava dicendo l’uomo dall’abito rosa. — Non farci perdere altro tempo. Dov’è il denaro?

— Se avete fretta non voglio trattenervi, andate pure — ansimò lei con la faccia schiacciata contro il muro. Quella sfacciataggine le costò cara. — Ouch! Razza di… agh! Sentite, vi consiglio di nascondervi nella vostra ambasciata prima che arrivi la Sicurezza. Fra poco sarà pieno di gente, qui, dopo quell’esplosione.

Abito rosa girò su se stesso e alzò la pistola a plasma nel sentire i passi di Ethan e di Cee che arrivavano nell’atrio.

— Si fermi! — disse il telepate afferrando Ethan per un braccio.

— Non sparate, questi due sono amici! — protestò Quinn, lottando per divincolarsi. — Sono amici, vi dico. Non c’è bisogno di sparare, siamo tutti amici, qui!

— È così, ve l’assicuro! — si affrettò a dire Ethan, stordito e confuso ma non al punto di tentare qualcosa contro quelle armi.

— I mercenari che riscuotono soldi per un contratto e poi non lo portano a termine, non hanno amici — grugnì Abito Marrone. — Hanno soltanto eredi.

— Io stavo eseguendo il contratto — replicò Quinn. — Voialtri scalzacani non apprezzate la professionalità. Qui uno non può riempire le strade di cadaveri e correre sotto la protezione di questa o quell’ambasciata. Non può neanche farsi sbattere fuori e dichiarare persona non grata su Stazione Kline, se ci tiene a lavorare da queste parti anche in futuro. Non solo io sono stata costretta a recitare due diversi ruoli, ma ho dovuto restare dietro le quinte, se volevo poter tornare qui un giorno o l’altro. A me piace fare il lavoro con professionalità.

— Hai avuto sei mesi per fare il lavoro con professionalità. Adesso il Barone Luigi rivuole indietro i soldi della Casa — disse Abito Rosa. — Questa è l’unica professionalità che io so apprezzare.

Abito Marrone le strappò un gemito, costringendola ad alzarsi sulle punte dei piedi. — Ouch! Ouch! E va bene, non c’è problema! — La vostra tessera di credito è nel taschino interno della mia blusa. Servitevi da soli.

— E dov’è la tua blusa?

— Me l’ha levata Millisor. È giù ai moli. Auch! No. credetemi, è la verità!