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Lei aprì la bocca, la richiuse e scosse il capo. — Non si può spremere birra da una vacca — mormorò fra sé. — Be’, senti… — Inalò il fiato, lo lasciò uscire. — Senti… e chi sarebbe a beneficiare della mia, uh, donazione?

— Chiunque scegliesse il suo genotipo — disse Ethan. — In poco tempo la sua coltura sarebbe divisa in sub-colture ospitate in ogni centro di riproduzione di Athos. Fra un anno, di questi tempi, lei potrebbe avere già un migliaio di figli. Io stesso, non appena risolto il problema del mio coniuge alterativo designato, potrei senz’altro… uh… — Senza capire il perché si trovò ad arrossire, sotto lo sguardo improvvisamente allusivo della bruna. — Io preferirei avere tutti i miei figli dalla stessa coltura ovarica, capisce? Per quell’epoca potrei avere già diritto a quattro bambini. Io non ho mai avuto neppure un fratello, sa, proveniente dalla stessa coltura. Questa pratica sembra dare alle famiglie una certa piacevole omogeneità. La diversità nell’uguaglianza… — Si accorse che stava cominciando a balbettare e s’interruppe.

— Un migliaio di figli maschi — ironizzò lei, — e nessuna femmina?

— Be’, no… niente femmine. Non su Athos. — E timidamente aggiunse: — Le figlie femmine sono importanti per una femmina come i figli lo sono per un uomo?

— Diciamo che il pensiero della continuità ha una certa attrattiva — ammise lei. — Nella mia vita professionale, tuttavia, non c’è molto spazio per i figli, maschi o femmine.

— Be’, lei può averne.

— Così pare. — La luce divertita nel suo sguardo aveva lasciato il posto a qualche ombra pensosa. — Però non potrei mai vederli, no? I miei mille figli maschi. Loro non saprebbero neppure chi sono io.

— Lei sarebbe soltanto due iniziali e un numero: EQ-1. Io però… io potrei usare il mio Livello di Sicurezza A con la censura per mandarle, diciamo, un olocubo, un giorno o l’altro… Se questo le interessa, voglio dire. Lei non potrebbe mai venire su Athos, né mandare dei messaggi video… almeno non con la sua faccia. Oppure potrebbe nascondere il suo sesso e oltrepassare la censura con questo stratagemma… — Ethan rifletté che avere a che fare con Quinn e le sue tendenze avventurose gli aveva fatto un brutto effetto, se si lasciava sfuggire di bocca suggerimenti così asociali. Si schiarì la gola.

Negli occhi di lei brillava di nuovo una scintilla maliziosa. — Contrabbandare immagini femminili su Athos, mimetizzandole magari con un paio di baffi… che idea rivoluzionaria.

— Io non sono un rivoluzionario e lei lo sa — replicò Ethan con dignità. Fece una pausa. — Anche se… la mia patria mi apparirà diversa quando sarò tornato. Io non voglio cambiare me stesso e le persone che amo. Non oltre certi limiti, comunque.

Lei si guardò attorno, come se vedesse oltre le paratie metalliche quella che era stata la sua casa, la sua gente, e la distanza che la separava da loro. — I tuoi istinti sono sani, dottor Urquhart, anche se suppongo che questo ormai serva a poco. Il cambiamento è in funzione del tempo, oltreché delle esperienze, e il tempo è una barriera implacabile.

— Una coltura ovarica può sfidare il tempo… per 200 anni o forse più, ora che stiamo perfezionando i nostri metodi di conservazione. Lei potrebbe continuare ad avere figli per molti anni dopo la sua morte.

— Io avrei potuto morire l’altro giorno sul molo. O potrei morire fra un mese, quanto a questo. Chissà cosa mi riserva il futuro.

— Questo vale per tutti.

— Già, ma le probabilità che un mercenario spenga cento candeline sono sei volte inferiori a quelle di qualsiasi altra professione, e non perché noi abbiamo il fiato più corto. La mia assicurazione sulla vita è quella che paga di meno, sa? — Quinn sospirò. — Be’. inutile pensarci. — Le sue labbra si piegarono. — E io che pensavo che Tav Arata avesse una gran faccia di bronzo. Tu li batti tutti, dottor Urquhart.

Ethan curvò le spalle, deluso, mentre le immagini dei quattro figli dai capelli neri e dallo sguardo luminoso svanivano di nuovo nel reame dei sogni irraggiungibili. — Mi scusi. Non avevo l’intenzione di offenderla. Allora io vado. — E si alzò in piedi.

— Non stai cedendo un po’ troppo facilmente? — borbottò lei, senza guardarlo.

Lui si affrettò a sedersi di nuovo. Intrecciò le dita e poi le strinse fra le ginocchia, per impedirsi di tamburellare nervosamente sui braccioli. Cercò di mostrarsi lucido e pratico. — I suoi figli sarebbero allevati con ogni cura. I miei lo sarebbero, senz’altro. Noi conferiamo i permessi di paternità con molta attenzione. Un uomo che non viva secondo la legge può vedersi annullare il diritto di paternità e privare dei figli che ha già, e questa è considerata una vergogna terribile, una disgrazia.

— A me cosa ne viene, però?

Ethan rivoltò quella domanda da tutti i lati. — Niente — ammise infine, onestamente. All’improvviso ebbe l’impulso di offrirle del denaro… dopotutto era una mercenaria. Ma subito l’idea gli sembrò sbagliata, anche se non avrebbe saputo dire perché. Curvò di nuovo le spalle.

— Niente. — Lei scosse lentamente il capo. — Quale donna potrebbe resistere a un simile invito? Ti ho mai detto che uno dei miei hobby è di fare una cosa stupida ogni giovedì?

Lui la guardò senza capire, poi si accorse che stava scherzando.

Lei si portò alle labbra l’ultima unghia non mangiucchiata, ma senza morderla. — Sei sicuro che Athos potrebbe sopportare un migliaio di piccoli Quinn?

— Forse di più, col tempo. Potrebbero vivacizzare il posto… magari migliorare il nostro esercito.

Quinn sembrò divertita da quel pensiero. — Cosa posso dirti? Dottor Urquhart, mi hai convinto.

Lui balzò in piedi e le strinse la mano con entusiasmo.

Ethan prese appuntamento con Elli Quinn telefonandole a casa di suo padre, e poi andò a incontrarla in un bar poco frequentato dai turisti, in una galleria laterale della Passeggiata dei Viaggiatori. La bruna mercenaria era arrivata in anticipo e stava bevendo un liquore azzurro da un calice a forma di fiore, che sollevò un po’ per farsi vedere e un po’ per salutarlo mentre lui s’avvicinava fra i tavolini.

— Come sta? — s’informò subito lui, sedendosi.

Quinn si appoggiò pensosamente una mano sul lato destro dell’addome. — Bene. Avevi ragione, non me ne sono neppure accorta. Non sento niente. Quasi mi dispiace di non avere neppure una cicatrice con cui dimostrare la mia generosità. — Sembrava che dicesse sul serio.

— L’ovaia ha reagito benissimo al trattamento di coltura — le assicurò Ethan. — le cellule si stanno già riproducendo. Fra quarantott’ore saranno pronte per essere surgelate e spedite. E subito dopo, se non ci saranno contrattempi, anch’io partirò per Colonia Beta. Lei quando se ne andrà? — La vaga ipotesi (speranza?) che potessero viaggiare sulla stessa nave gli attraversò la mente.

— Io parto stasera. Prima di trovarmi in altre difficoltà con la polizia della stazione — rispose lei, cancellando le possibilità di conoscerla meglio che Ethan cominciava a figurarsi. Non aveva avuto il tempo di chiederle nulla dei pianeti dove lei era stata nel corso dei suoi viaggi. — Voglio essere molto lontana da qui prima che arrivino dei cetagandani a indagare sulla morte di Millisor. In effetti è più probabile che vadano sul Gruppo Jackson, dove possono sempre trovare qualcuno disposto a raccontargli tutto per denaro… non escluso lo stesso Barone Luigi. Gli auguro di divertirsi, ma io ho altro da fare. — Si appoggiò allo schienale, soddisfatta come una gatta che avesse fatto piazza pulita nella gabbia e si leccasse via dai baffi un’ultima piuma.

— Anch’io conto di non incontrare nessun cetagandano — disse Ethan, — finché è possibile.

— Non dovrebbe esserti troppo difficile. Per tua tranquillità, potrei dirti che dopo la sua fuga dal Reparto Quarantena il Ghem-colonnello Millisor ha mandato un rapporto ai suoi superiori, informandoli che Helda ha distrutto le colture ovariche fatte dai bharaputrani. Questo dovrebbe distogliere da Athos l’interesse del governo di Cetaganda. In quanto a Terrence Cee è un altro paio di maniche, perché lo stesso rapporto conferma la sua presenza qui su Stazione Kline. Almeno, questo è ciò che Millisor e Rau hanno detto in mia presenza giù ai moli, intanto che aspettavamo il tuo arrivo.