«Questa mattina — continuò Quinn, — ho cominciato a lavorare alla mia relazione conclusiva per l’ammiraglio Naismith. Ce n’è abbastanza da dargli da pensare per mesi. Sono felice di non essere io a dover decidere cosa fare con quel materiale. Bene. Per rendere perfetta la mia ultima giornata a Stazione Kline ci mancava soltanto una cosa… e sembra che stia venendo da questa parte giusto ora. — Rivolse un cenno del capo a qualcuno alle spalle di Ethan, e lui si voltò a guardare.
Terrence Cee stava attraversando la galleria verso i tavolini del bar. La sua tuta verde da operaio gli dava un’apparenza comune, ma Ethan notò che quegli occhi azzurri facevano voltare tre o quattro clienti di sesso femminile.
Il giovanotto trovò una sedia e la portò al loro tavolo; annuì verso Quinn e sorrise brevemente a Ethan. — Buon pomeriggio comandante, dottore.
Quinn sembrava felice di vederlo. — Buon pomeriggio, signor Cee. Posso offrirle un drink? Borgogna, sherry, Champagne, birra…
— Un thè nero — disse lui. — Grazie.
Quinn infilò la sua carta di credito in una fessura del tavolo automatico. La stazione, evidentemente, non importava tutti i generi voluttuari. Un thè assai profumato, una varietà nera coltivata nella serra di Stazione Kline, uscì dal distributore in una tazza di cristallo fumante.
Anche Ethan ordinò un thè nero, celando sotto modi noncuranti il lieve disagio che gli dava la vicinanza di Cee. Il telepate non poteva avere più nessun interesse per Athos, a quel punto.
Cee sorseggiò. Ethan sorseggiò. — Bene — disse Quinn. — Me li ha portati?
Cee annuì, bevve un altro sorso e mise sul tavolo tre dischetti, più una scatola sigillata larga la metà di una mano. Il tutto scomparve subito nella blusa di Quinn. All’occhiata interrogativa di Ethan, la mercenaria rispose: — Tutti quanti commerciamo in carne umana, qui, a quanto pare. — Dal che lui comprese che la scatoletta conteneva i campioni di tessuto organico promessi dal telepate.
— Credevo che Terrence venisse con lei, per lavorare coi Mercenari Dendarii — disse Ethan, sorpreso.
— Ho cercato di convincerlo e di costringerlo, ma ahimè… comunque l’offerta resta sempre valida, signor Cee.
Terrence Cee scosse il capo. — Quando sentivo sul collo l’alito di Millisor, mi sembrava quasi la sola possibilità. Lei mi ha aperto una via d’uscita mentre mi vedevo in trappola… e spero di averle dimostrato la mia riconoscenza, comandante Quinn. — Un cenno verso il pacchetto nascosto nella blusa di lei indicò che quella era la forma tangibile della sua gratitudine.
— E più di quanto speravo — annuì seccamente lei. — Se in seguito cambiasse idea, può sempre venire a cercarci. Non so dove saremo, ma lei si faccia indicare un posto agitato, cerchi un piccoletto dalla mente acuta in mezzo ai guai più rognosi che vede e gli dica che la manda Quinn.
— Me lo ricorderò — promise Cee in tono non impegnativo.
— Ad ogni modo, uh… non viaggerò sola soletta. — Quinn ebbe un sogghigno storio. — Ho intrappolato un’altra recluta da cui farmi portare le valigie. Un emigrante volonteroso… deciso a viaggiare dappertutto in cerca di fortuna. Vorrei farglielo conoscere, signor Cee. La cosa che lei apprezzerebbe di questo bravo ragazzo è che ha all’incirca la sua età, la sua altezza, stessa corporatura… capelli biondi, anche. — Alzò il calice a forma di fiore con quel che restava del liquore azzurro. — Confusione sui nostri nemici.
— Le sono grato, comandante — disse Cee, colpito.
— Dove, ah… dove pensa di andare, allora, se non le interessa il lavoro dei mercenari? — gli domandò Ethan.
Cee allargò le mani. — Mi si presentano molte scelte. Troppe, in realtà, e tutte ugualmente vuote di significato… scusatemi. — Fece del suo meglio per ritrovare un’espressione meno lugubre. — Da qualche parte, lontano da Cetaganda. — accennò ancora col capo verso la blusa di Quinn. — Spero che non abbia difficoltà a contrabbandare quel pacchetto. Dovrà surgelarlo in un contenitore termostatico al più presto, però. Uno molto piccolo, magari. Sarebbe prudente che nella lista dei suoi bagagli non apparisse nessun contenitore del genere.
Lei sorrise appena, grattandosi un dente (le sue unghie erano di nuovo ben curate) e mormorò: — Uno molto piccolo, oppure… mmh. Penso di avere la soluzione ideale a questo problema, signor Cee.
Ethan guardò con interesse mentre Quinn deponeva l’enorme scatola bianca per le spedizioni di materiale a temperatura controllata sul bancone dei MAGAZZINI REFRIGERATI — INGRESSO 297-C.
Il tonfo riuscì a distrarre l’attenzione della giovane femmina grassottella dallo schermo su cui si svolgeva un dramma sentimentale. Le immagini svanirono in attesa di un momento migliore, e l’impiegata si tolse l’auricolare.
— Sì. signora?
— Sono venuta a riprendere i miei tritoni — disse Quinn. Si protese verso il computer e infilò la ricevuta di plastica con l’impronta del suo pollice nella fessura rossa sotto lo schermo.
— Oh, sì, mi ricordo di lei — disse l’impiegata. — Una cella refrigerata da due metri cubi. Scatolone di plastica verde. Lo vuole scongelato subito? Occorrono venti minuti.
— Non lo voglio scongelato affatto. Lo spedirò così com’è, grazie — disse Quinn. — Temo che ottanta chili di tritoni non sarebbero molto appetitosi dopo quattro settimane di viaggio a temperatura ambiente.
L’impiegata storse il naso. — Non sarebbero appetitosi a nessuna temperatura.
— La loro possibilità d’essere graditi al palato cresce in ragione del quadrato della distanza dal luogo in cui abbondano. Questa è una legge valida per tutte le sostanze alimentari — sogghignò Quinn.
La porta del corridoio alle loro spalle si riaprì con un sibilo. Ethan e Terrence Cee si tolsero di mezzo quando entrò un carrello antigravità su cui c’era una mezza dozzina di contenitori sigillati, pilotato col telecomando da un sorvegliante ecologico in uniforme verde e azzurra.
— Oh-ho, il Bio-controllo ha la precedenza — disse l’impiegata del magazzino. — Mi scusi, signora.
Ethan accolse con un sorriso l’arrivo del giovanotto. Era Teki, probabilmente appena uscito da uno dei locali del Riciclaggio, dietro l’angolo del corridoio. Teki si accorse di Quinn e di Ethan appena ebbe fatto girare il carrello, e non parve molto entusiasta di vederli. Terrence Cee, che non lo conosceva, si limitò a guardare l’orologio, seccato da quel contrattempo.
— Ah, Teki — disse Quinn, voltandosi. — Più tardi sarei passata a salutarti. Stasera parto. Mi sembra che ti sia ripreso benissimo dalla piccola disavventura delle settimana scorsa.
Teki sbuffò. — Sì, essere rapito e drogato e seviziato da una banda di pazzoidi assassini è proprio quello che io chiamerei una piccola disavventura. Comunque sto bene, grazie.
Un angolo della bocca di Quinn si curvò. — Sara ti ha perdonato per quell’appuntamento mancato?
Teki scrollò le spalle, ma non poté reprimere un sorrisetto. — Be’, sì… quando si è convinta che non avevo una storia con te, alla fine, è diventata molto, uh, affettuosa. — Tornò serio. — Però lo sapevo, dannazione, che stavi lavorando per il piccoletto. Adesso puoi dirmi di cosa si tratta, Elli?
— Sicuro, appena la Sicurezza me ne darà il permesso. Al momento c’è sempre un’indagine in corso.
Teki mugolò. — Non è leale! Me l’avevi promesso!
Lei allargò le braccia in gesto d’impotenza. Il cugino sbuffò, si accigliò, ma alla fine rinunciò a metterle il muso. — Te ne vai, allora? Quando?
— Fra poche ore.
— Ah. — Teki si mostrò alquanto deluso. Guardò Ethan. — Buongiorno, signor ambasciatore. Sa, mi dispiace per quello che Helda ha fatto con la sua roba. Spero che lei non pensi che nel nostro dipartimento siamo tutti così. In questi giorni Helda è assente per malattia… dicono che ha l’esaurimento nervoso. Io fungo da direttore della Stazione B, per adesso — aggiunse con modestia ma orgogliosamente. E le mostrò un polsino della giacca, dove c’erano due bande azzurre invece di una come prima. — Almeno, finché Helda non tornerà.