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Non c’erano ombre. Il sole dell’estate riempiva la stanza ingombra. La grande pietra stava sotto un tavolo, tra la polvere, indenne.

L’Evocatore protese le braccia, ciecamente, afferrando la mano dell’altro, come un bambino. Tirò un profondo respiro. Infine si rialzò, appoggiandosi un po’ al Maestro delle Metamorfosi, e disse, con labbra tremanti, sforzandosi di sorridere: — Non accetterò mai più le tue sfide, mio signore.

— Cos’hai visto, Thorion?

— Ho visto le fontane. Le ho viste sprofondare, e i ruscelli inaridirsi, e gli orli dell’acqua ritirarsi. E sotto era tutto nero e arido. Tu hai visto il mare prima della Creazione, ma io ho visto… ciò che viene dopo: ho visto l’Annientamento. — Si umettò le labbra. — Vorrei che l’arcimago fosse qui — aggiunse.

— Io vorrei che fossimo là insieme a lui.

— Dove? Ormai nessuno può trovarlo. — L’Evocatore alzò lo sguardo verso le finestre, che mostravano il cielo azzurro e tranquillo. — Nessun messaggio può raggiungerlo, nessun richiamo può arrivare fino a lui. È là dove tu hai visto il mare vuoto. Sta per giungere al luogo dove le fonti s’inaridiscono. È là dove le nostre arti non servono a nulla… Eppure, forse ancora adesso ci sono incantesimi che potrebbero raggiungerlo: alcuni di quelli che sono contenuti nella tradizione di Paln.

— Ma sono incantesimi che servono a riportare i morti tra i vivi.

— Alcuni portano i vivi tra i morti.

— Non lo credi morto?

— Io credo che vada verso la morte, che ne sia attratto. E così è per tutti noi. Il nostro potere ci abbandona, e anche la nostra forza, e la speranza e la fortuna. Le fonti s’inaridiscono.

Il Maestro delle Metamorfosi lo guardò a lungo, con aria turbata. — Non cercare di inviargli un messaggio — disse infine. — Sapeva ciò che cercava, molto prima che lo sapessimo noi. Per lui il mondo è come questa Pietra di Shelieth: guarda e vede ciò che è e ciò che deve essere… Non possiamo aiutarlo. I grandi incantesimi sono divenuti molto pericolosi, e tra tutti il pericolo più grande sta nella tradizione di cui hai parlato. Dobbiamo resistere, come lui ci ha ordinato, e proteggere le mura di Roke e il ricordo dei Nomi.

— Sì — replicò l’Evocatore. — Ma io devo andare a riflettere su tutto questo. — E lasciò la stanza della torre, camminando a passo rigido e tenendo alta la nobile testa bruna.

Il mattino dopo, il Maestro delle Metamorfosi andò a cercarlo. Entrò nella sua stanza dopo aver bussato invano, e lo trovò disteso sul pavimento di pietra, come se fosse stato scagliato all’indietro da un colpo fortissimo. Le sue braccia erano spalancate, come nel gesto dell’invocazione, ma le sue mani erano fredde e gli occhi spalancati non vedevano. Sebbene il Maestro delle Metamorfosi s’inginocchiasse accanto a lui e lo chiamasse con l’autorità di un mago, pronunciando il suo nome, per tre volte, Thorion continuò a restare immoto. Non era morto: ma c’era in lui solo abbastanza vita per far battere il suo cuore molto lentamente e per mantenere un po’ di respiro nei suoi polmoni. Il Maestro delle Metamorfosi gli prese le mani e, stringendole, mormorò: — Oh, Thorion, io ti ho costretto a guardare nella Pietra. Questa è opera mia! — Poi, uscito in fretta dalla camera, gridò a tutti coloro che incontrava, Maestri e discepoli: — Il nemico è penetrato fra noi, in Roke così ben difesa, e ha colpito al cuore la nostra forza! — Sebbene fosse un uomo mite, appariva tanto folle e gelido che quanti lo vedevano ne avevano paura. — Prendetevi cura del Maestro Evocatore — disse. — Tuttavia, chi richiamerà il suo spirito, dato che lui, il maestro della sua arte, non c’è più?

Si diresse verso la propria camera, e tutti si ritrassero per lasciarlo passare.

Venne mandato a chiamare il Maestro Guaritore. Questo ordinò di mettere Thorion a letto e di coprirlo bene; ma non preparò filtri con erbe risanatrici, non salmodiò nessuno dei canti che aiutano il corpo malato e la mente turbata. C’era con lui uno dei suoi allievi, un ragazzo che non era ancora diventato incantatore ma che prometteva bene nell’arte della guarigione; e chiese: — Maestro, non si può far nulla per lui?

— No, da questa parte del muro — rispose il Maestro Guaritore. Poi, ricordandosi a chi parlava, disse: — Non è malato, ragazzo; ma anche se questa fosse una febbre o un’infermità del corpo, non so se le nostre arti servirebbero a molto. Sembra che da qualche tempo le mie erbe non abbiano più sapore; e sebbene io pronunci le parole dei nostri incantesimi, non hanno più virtù.

— È ciò che ha detto ieri il Maestro Cantore. Si è interrotto a metà di un canto che ci stava insegnando, e ha detto: «Non so cosa significhi questo canto». Ed è uscito dall’aula. Alcuni ragazzi hanno riso, ma io ho avuto l’impressione di sprofondare.

Il Guaritore scrutò il volto franco e intelligente del ragazzo, e poi abbassò lo sguardo su quello dell’Evocatore, freddo e rigido. — Ritornerà a noi — disse. — I canti non verranno dimenticati. Quella notte, il Maestro delle Metamorfosi se ne andò da Roke.

Nessuno lo vide partire. Dormiva in una camera con una finestra affacciata sul giardino; e alla mattina la finestra era aperta, e lui non c’era più. Pensarono che si fosse trasformato, mediante la sua arte, in un uccello o un quadrupede, o forse in una nebbia o in un vento, perché non c’era forma o sostanza che non potesse assumere, e che avesse lasciato Roke, forse per andare in cerca dell’arcimago. Alcuni, sapendo che chi opera metamorfosi può restare prigioniero dei suoi stessi incantesimi se vengono meno la volontà o l’abilità, temettero per lui, ma non confidarono le loro paure.

E così, il Consiglio dei Saggi perse tre Maestri. Via via che i giorni passavano e non giungevano notizie dell’arcimago, e l’Evocatore giaceva come morto, e il Maestro delle Metamorfosi non ritornava, la tristezza e il gelo crebbero nella Grande Casa. I ragazzi bisbigliavano tra loro, e alcuni parlavano di lasciare Roke, poiché non veniva insegnato loro ciò che erano venuti a imparare. — Forse — disse uno, — erano menzogne fin dall’inizio, queste arti segrete, questi poteri. Tra tutti i Maestri, solo il Maestro delle Mani esegue ancora i suoi trucchi: e quelli, lo sappiamo, sono illusioni dichiarate. E adesso gli altri si nascondono, o rifiutano di fare qualunque cosa, perché i loro trucchi sono stati scoperti. — Un altro, che l’aveva ascoltato, replicò: — Ebbene, cos’è la magia? Cos’è quest’arte, se non un gioco di apparenze? Ha mai salvato un uomo dalla morte, o gli ha dato la longevità? Senza dubbio, se i maghi avessero il potere che affermano di possedere vivrebbero tutti in eterno! — E lui e l’altro ragazzo cominciarono a raccontare le morti dei grandi maghi, e come Morred era stato ucciso in battaglia, e Nereger dal Mago Grigio, e Erreth-Akbe da un drago, e Gensher, l’ultimo arcimago, da una malattia, nel suo letto, come un uomo qualunque. Alcuni degli altri ragazzi ascoltavano lieti, poiché avevano l’invidia nel cuore; ma altri, ascoltando, si rattristarono.

E per tutto quel tempo, il Maestro degli Schemi rimase solo nel Bosco Immanente, e non lasciò che nessuno vi penetrasse.

Ma il Portinaio, sebbene si mostrasse di rado, non era cambiato. Non c’erano ombre, nei suoi occhi. Sorrideva, e teneva pronte le porte della Grande Casa per il ritorno del suo signore.

LO STRETTO DEI DRAGHI

Sulle acque esterne dello Stretto Occidentale, il signore dell’isola dei Saggi, svegliandosi intorpidito e rigido a bordo di una piccola barca in un freddo mattino luminoso, si levò a sedere e sbadigliò. E dopo un momento, tendendo il braccio verso nord, disse al compagno, che sbadigliava a sua volta: — Là! Quelle due isole, le vedi? Sono le isole più meridionali dello Stretto dei Draghi.