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«Ti piace davvero leggere questa roba?»

«Certo. Primo, mi trasporta in un mondo completamente diverso, e poi mi dà la gioia di poter tornare alla mia vita normale.»

«Magari per me fosse così semplice…» commentò Michael. «Gli altri dove sono?»

«Tuo padre è rimasto a chiacchierare con Halden e Zenora. Jimmy e Melanie sono qui accanto, da Tela, a guardare non so che programma sul suo megativù.»

Portò in tavola un panino ripieno di polpetta alla soia e una tazza di cioccolata, poi sedette dinanzi a suo figlio. Un’espressione pensosa le aleggiava sul volto.

«Michael», esordì, «lo so che ti senti offeso per tutto quello che pretendiamo da te. Ma non pensare che tuo padre voglia essere troppo rigido, nei tuoi confronti.»

«E allora perché si comporta a quel modo?»

Sue Li sospirò. «È preoccupato. Lo sai bene quant’è importante, per lui, costruire per il futuro. Ma ti assicuro che è enormemente orgoglioso di te…»

«Lo credo! Orgoglioso di aver messo al mondo un mutante doppio. Benissimo, ma se va così fiero di suo figlio, perché non me lo dice apertamente?»

«Devi capire che è molto difficile, per lui.»

Prima di replicare, Michael mandò giù un boccone del suo panino.

«Già, e così va a finire che rende tutto molto più difficile a me. E a Mel.»

«Lo so.»

«A te è mai capitato di trovarti nella nostra situazione?»

Un tenue sorriso le increspò le labbra. «Naturalmente. Ma le cose andavano in modo diverso quand’ero ragazzina io. Si respirava molto più entusiasmo, all’interno del clan. Avevamo la sensazione di trovarci alle soglie di una nuova epoca. Eh, sì, i favolosi anni Settanta, quando tutto sembrava possibile…»

«E dimmi, com’era?»

«Oh, eccitante. Sconcertante. Soprattutto per noi bambini.» Rimase qualche momento in silenzio, mentre l’emozione di vecchi ricordi rifioriva a colorarle le gote. «Ci pareva che il mondo intero fosse pieno di scoperte e di promesse. Che tutti i vecchi schemi stessero cambiando. E così era, in un certo senso. Ma poi venne la violenza. E per molti versi le cose rimasero le stesse di prima, per noi.»

Michael si appoggiò allo schienale della sedia. «Nessuno pensò che il Tempo dell’Attesa potesse essere terminato?»

Sua madre annuì tristemente. «Ero molto giovane, allora, e non sempre avevo una chiara consapevolezza di quanto avveniva durante i convegni. Però ricordo bene che un anno venne proposto ufficialmente di farci avanti, rendendo la nostra esistenza di pubblico dominio. Parecchi membri anziani si opposero strenuamente, e successe che il clan si suddivise in due fazioni. Andò poi a finire che negli anni Novanta alcuni di noi uscirono effettivamente allo scoperto. In precedenza i convegni erano molto più affollati, ci partecipava il doppio di persone. Ma la vera scissione era avvenuta ben prima di allora, negli anni Sessanta e Settanta, e i fautori dell’apertura avevano abbandonato il clan. Alcuni andarono a stabilirsi in California. Fra loro c’era anche il ragazzo che avrei dovuto sposare.»

«E cosa gli è capitato… a loro, e a lui?»

Un’ombra le oscurò i lineamenti delicati. «Finalmente stiamo incominciando a ritrovarci. Forse un giorno saremo di nuovo tutti assieme, come ai vecchi tempi. Quanto a quel ragazzo… be’, nessuno ne ha più saputo nulla.»

Michael smise di masticare il panino e scrutò sua madre come se la vedesse per la prima volta. Si rendeva conto, all’improvviso, che un’ampia parte della sua vita privata gli era completamente ignota. Sentì che un rinnovato sentimento di rispetto nei confronti di lei gli andava sbocciando dentro.

«È morto?»

«Credo di sì.»

«E… com’era?»

Sue Li tese una mano a scansargli delicatamente dalla fronte un ciuffo di capelli. «Assomigliava un poco a tuo cugino Skerry. Un ribelle. Era quello, che lo rendeva così attraente. E che avrebbe reso impossibile viverci insieme.»

Michael fu tentato di rivelarle che aveva veduto Skerry. Stava già per parlare ma all’ultimo istante decise di non farne nulla. Se lei si fosse lasciata sfuggire una mezza frase con qualcuno, sarebbero venuti ad asfissiarlo con mille domande. E poi, ora come ora, gli piaceva particolarmente avere qualche piccolo segreto tutto per sé…

3

La musica proveniente dal robostereo dello Hardwired rimbalzava sulle piastrelle rosa del bagno sfaccettandosi in bizzarri echi distorti, uiaouuu, uiaouuu, simili al lontano gemito di un gatto elettronico. Melanie, accesa in volto, osservava la propria immagine accaldata nel vetro incrinato dello specchio. Una serata fin troppo tiepida, per essere la metà di febbraio.

La Valedrina che aveva trovato nell’armadietto dei medicinali di sua madre le ronzava piacevolmente attraverso il cervello, provocandole appena un lievissimo stordimento. Si ravviò i capelli con un pettinino giallo, continuando a esaminare la propria immagine riflessa. Una mezza cinesina dai morbidi capelli castani la fissò di rimando. Eccola là, nient’altro che una graziosa, normalissima ragazza intenta a trascorrere una piacevole serata fuori casa.

Sì, una graziosa, normalissima ragazza… ma con gli occhi d’oro.

Si scrutò attenta il viso quasi che non l’avesse mai veduto prima, pietrificata dalla stranezza di quegli occhi, duplice insinuante promemoria della sua ambigua natura. Una mutante. Neutra, per giunta. E chi, mutante o normale, chi mai avrebbe voluto aver qualcosa a che fare con lei?

Forse, però, applicando un paio di lenti a contatto… Serrò le palpebre, godendosi la momentanea consolazione che le veniva da quel pensiero. Certo, sovrapporre al marchio dorato della mutazione un bel marrone scuro o nocciola chiaro. Almeno avrebbe preso semplicemente l’aspetto di una qualunque ragazza di origine asiatica. Chissà che strano effetto le avrebbe fatto vivere una vita da nonmutante, pensò. Camminare per strada e confondersi facilmente tra la folla…

La porta del bagno si spalancò di colpo e fecero il loro ingresso, chiacchierando fitto fitto, Tiff Seldon e Cilla Cole. Si fermarono contemporaneamente nel vedere Melanie. Poi Tiff proseguì decisa in direzione dei gabinetti. Di corporatura atletica e robusta, il cranio sormontato da un cespuglio di gialli capelli a spazzola, sopravanzava Melanie di tutta la testa.

«Oh, scusami tanto», le disse in tono esageratamente cortese nel passarle accanto, e le affibbiò a tradimento un rude colpo d’anca.

Melanie cadde in avanti e si riprese a stento, evitando per un pelo di urtare rovinosamente la fronte contro lo specchio.

«Ehi, attenta!» esclamò, rivolgendo di sbieco all’altra un’occhiata furibonda. Era sicurissima che l’avesse fatto apposta.

Intanto, appoggiata al muro piastrellato che fronteggiava il lavandino, le magre braccia spavaldamente conserte, uno spinello fra le labbra, due anellini d’argento infilati in ciascuna narice, capelli verdevivo un paio di centimetri più lunghi di quelli dell’amica, Cilla, irradiando malignità, la gratificava d’un sogghigno soddisfatto.

«Attenta tu, mutosa!» risonò sprezzante da dentro uno dei cubicoli la voce di Tiff. «Senti, perché non ci fai vedere qualche giochetto, eh?»

Melanie buttò il pettine dentro la borsetta e fece per andarsene. Ma Cilla le sbarrò il passo.

«Ehi tu, mutocchia, ti hanno fatto una domanda, non hai sentito?»

«Togliti di mezzo, Cilla», scandì Melanie con voce gelida ma col cuore che le martellava in petto. Tiff e Cilla erano due persone aggressive e crudeli, tipiche rappresentanti di quella marmaglia che amava infierire sui mutanti per puro divertimento.

«Ma guarda un po’ che razza di maleducata!» Cilla scosse la testa con aria di beffarda riprovazione, e incalzandola da destra costrinse Melanie ad arretrare fin contro la parete. Melanie cercò di sgusciare sulla sinistra, ma si ritrovò all’improvviso bloccata da Tiff, che incombeva su di lei con un sorriso cattivo. Infilandosi una mano massiccia sotto la camicetta, Tiff tirò fuori un coltello, che balenò argenteo nella luce dei fluorescenti. Poi afferrò Melanie per una spalla, agitandole davanti al viso la piccola, scintillante vibrolama.