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«E allora?»

«Sarei molto curioso di sapere come fa a resistere.»

«Carter…» lo ammonì Fuentes innervosito.

«Be’, in ogni caso è sempre meglio che trafficare giorno e notte per svendere gli avanzi della nostra industria a favore di interessi stranieri!» replicò lei, con sorriso velenoso. «Scusatemi, sono arrivata.» La porta si aprì e Andie, furente, uscì con impeto dall’ascensore.

«Andie, aspetta».

Si girò vivacemente, pronta a gettarsi in una bella litigata, ma vide che Fuentes l’aveva seguita da solo.

«Sì?»

«Mi spiace per Carter. Purtroppo sai come la pensa…» Il corridoio era pieno di gente, e guardandosi attorno con aria inquieta Fuentes le si fece più vicino.

«A proposito di che?»

«Be’, sì, a proposito dei…» rispose in un sussurro.

«Dei mutanti?» domandò Andie a denti stretti.

«Esatto. Secondo lui, appena pronta bisognerebbe spedirli tutti quanti alla Base Marte, o roba del genere», spiegò Karim con una scrollata di spalle.

«Ma guarda che strano. Proprio quello che vorrei fare io con Carter.»

Fuentes ridacchiò. Andie sentì allentarsi la tensione.

«E tu di loro che cosa pensi, Karim?»

Il suo sorriso si spense. Chinò gli occhi per qualche istante, poi tornò a fissarla con sguardo serio, indagatore. «Penso che abbiano diritto, come chiunque altro, a essere rappresentati in Parlamento. E il diritto a essere lasciati in pace. Non c’è neanche un mutante che io possa dire di conoscere davvero bene, ma la Jacobsen sembrerebbe una persona intelligente, onesta e capace. Che riesce a far bene il suo lavoro nonostante i giornalisti le stiano addosso di continuo. Che altro si può pretendere da un senatore? Non mi pare che tu debba star lì a farle da balia continuamente come tocca fare a me con Craddick.»

«Di questo puoi star certo.»

«Vedi, è chiaro che a certa gente la Jacobsen non va giù, ma non è il mio caso. Io non ho proprio niente contro i mutanti, e se finalmente sono riusciti a trovarsi un senatore, be’, buon per loro. E poi mia nonna si rivolterebbe nella tomba se sospettasse che mi oppongo a una minoranza. Nella nostra famiglia fu la prima a laurearsi. Credeva nell’eguaglianza, e cercò di fare in modo che tutti i suoi familiari sviluppassero il medesimo sentimento.»

«Mi fa piacere sentirtelo dire, Karim. Non sono molti, fra quelli che conosco, a pensarla come te.» Non si era sbagliata a giudicare quell’uomo, e se ne compiacque. «Nutro un’enorme ammirazione per Eleanor Jacobsen, e farò tutto il possibile per aiutarla nella sua opera d’integrazione fra mutanti e nonmutanti.» Ciò detto si girò per andarsene, ma dovette fermarsi sentendosi afferrare gentilmente per un braccio.

«Andie, ti andrebbe di venire a pranzo insieme a me?»

La maschera fascinosa era caduta. Karim le appariva disarmato. Serio. Persino più attraente. Andie sorrise.

«Be’, non mi sembra affatto una cattiva idea.» Diede un’occhiata all’orologio d’oro che aveva al polso. «Però non tanto presto, diciamo all’una e mezzo. A parte il solito lavoro, debbo mettere in condizione la Jacobsen e me stessa di partire per il Brasile.»

«Già, me l’immaginavo. Anche Craddick dovrebbe andare.»

«… Ma ti dirò che non mi dispiace affatto barattare il freddo e l’umidità di Washington con le assolate spiagge di Rio.»

«Mi dichiaro perfettamente d’accordo. Senti, pranzare sul tardi mi va benissimo. Avremo modo di parlare del Brasile, che ne dici?» E sorrise con entusiasmo.

«Perfetto. Allora ci vediamo all’una e mezzo giù nell’atrio.»

Un gesto di saluto, e lo lasciò.

Andie mostrò la sua olocarta alla porta dell’ufficio e quella si aprì senza indugio, augurandole buona giornata con la solita voce stridula che lei trovava così odiosa.

C’era una lettera per la Jacobsen proveniente dal senatore Horner, il «reverendo senatore», come Andie amava definirlo. Attivò il cicalino di richiesta ammissione all’ufficio privato della Jacobsen, ma non ottenne risposta. Be’, era ancora presto, di solito la senatrice compariva verso le nove.

Strappato il sigillo della cartellina ne lesse il contenuto scrollando il capo. Un’altra di quelle assurde proposte di aggregazione dei mutanti al Gregge, il collegio elettorale fondamentalista di Horner.

«Se ciascun uomo, donna e bambino mutante volesse unirsi alla nostra comunità», scriveva il senatore, «le nostre preghiere sarebbero esaudite.»

Che razza d’ipocrita, pensò Andie. Tutti i gruppi di una certa importanza avevano un loro rappresentante a Washington. La settimana scorsa s’era fatto avanti il Fronte Unito di Liberazione Musulmano guidato dall’emiro Kawanda. Costoro prima avevano tentato invano di battere i mutanti opponendo alla Jacobsen il proprio candidato, e adesso avrebbero voluto allearsi con gli ex avversari. E chi poteva biasimarle, tutte quelle minoranze politiche? Traguardi che ad altri erano costati generazioni di marce, dimostrazioni e petizioni, i mutanti sembravano in grado di raggiungerli con relativa facilità.

Probabilmente a Horner e a tutti i demagoghi del suo stampo interessava solo scroccare un passaggio al seguito dei mutanti. Ma le loro filosofie sostanzialmente intessute di avidità, razzismo e imperialismo religioso apparivano incompatibili con gli interessi mutanti. Anche se Horner non ne avrebbe certo fatto un problema, pensò Andie. Sotto tutta quella ostentazione di bigotteria, il cuore del «reverendo senatore» pulsava a un ritmo pragmaticamente politico: voti, voti, voti…,.

«Buongiorno, Andrea.» La senatrice Jacobsen, un videodisco per mano, attraversò la stanza a grandi passi. Sorrise, poi scomparve nel suo ufficio privato. Andie la seguì fin sulla soglia, sporgendosi attraverso la porta aperta.

«Senatrice, è arrivata un’altra istanza da Horner. La solita roba.»

«E tu dagli la solita risposta.»

«Grazie, ma non ci interessa.»

«Esatto.» La senatrice, già intenta al monitor della sua scrivania, alzò un attimo lo sguardo. «Stephen Jeffers ha confermato l’appuntamento delle nove e mezzo?»

«Sì.» Poi, dopo una breve esitazione, Andie soggiunse: «Sembra davvero che sia passato dalla nostra parte».

«Perché, cosa ti aspettavi?»

«Be’, dopo averlo visto così accanito alle primarie pensavo che avrebbe quanto meno tenuto le distanze.»

La Jacobsen sorrise. «Andie, una vecchia volpe esperta del mestiere come te dovrebbe sapere che gli antagonismi politici possono rivelarsi i più effimeri di tutti. E quando si arriva al dunque quel che conta è ottenere un risultato, specialmente se a favore dei mutanti, Stephen è troppo in gamba per consentire che la nostra trascorsa rivalità possa mettersi di mezzo. Meglio così. Se dopo le primarie non mi avesse spalleggiato, dubito che sarei riuscita a farmi eleggere. Sarebbe stato fin troppo facile dividere l’elettorato mutante.»

«Anche considerando il massiccio apporto dell’Oregon?»

«Senza dubbio. Il suo aiuto è stato essenziale.»

Fra l’altro è pure un bell’uomo, pensò Andie. Con quella magnifica chioma folta. Quel mento così forte e virile. E quel sorriso assassino. E quegli occhi dorati…

Si accorse che Eleanor Jacobsen la fissava con aria maliziosa, e distolse imbarazzata lo sguardo. Sapeva che la senatrice possedeva limitate facoltà telepatiche: ma non era vero che i mutanti si impegnavano a rispettare l’intimità dei pensieri altrui?…

«Allora, pronta a discutere della trasferta brasileira?»

«Un attimo solo.» Andie ripose il raccoglitore, acchiappò il videòtaccuino e tornò immediatamente nell’ufficio della Jacobsen.

«Hai presente quelle dicerie a proposito del supermutante?»

«Naturalmente.»

«Si tratta, com’è comprensibile, di un argomento per il quale nutro un vivissimo interesse. A quanto pare, tale interesse è condiviso da altri, tant’è vero che è stata proposta un’indagine parlamentare. Non ufficiale, s’intende.»