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Andie annuì. «E lei è la persona logicamente più indicata per guidare questa missione… ufficiosa?»

«Così sembrerebbe.» Poi, con un sorrisetto ironico: «Mai vista una simile unanimità».

«E l’hanno già interpellata?»

«No, ma lo faranno. Un bel pasticcio. Sinceramente, l’ultima cosa che mi vorrei accollare, ora come ora, è proprio un insulso viaggio in Brasile. E poi nemmeno parlo il portoghese.»

«Si faccia fare un innesto.»

«No, finché non me lo chiedono…» Tese una mano e afferrò la tazza in porcellana bianca, colma di caffè, che attendeva lì accanto. «… la qual cosa, presumo, avverrà oggi pomeriggio. Sarà quindi opportuno fissare per tutt’e due un bell’innesto ipnotico. Il consueto bagaglio culturale e linguistico. Riceveremo istruzioni dal Dipartimento di Stato subito prima della partenza. Fai conto di restar fuori almeno un paio di settimane.»

«Va bene. Programmerò abbastanza cibo per gatti da lasciare Livia ben fornita fino ad aprile, nel caso lei decida d’impiantare laggiù un ufficio via satellite.»

La battuta fece spuntare un sorriso sul volto della senatrice. Quella mattina sembrava insolitamente di buon umore. «Non tentarmi, Andrea. Mi sei indispensabile qui per continuare a esercitare i tuoi benefici influssi. Ah, non dimenticarti di informare le agenzie di stampa.»

«Naturalmente.» Una pausa, prima di continuare. «Senatrice, posso rivolgerle una domanda personale?»

«Sentiamo.»

«Lei non dà molto credito a queste chiacchiere sul supermutante, vero?»

Le sopracciglia di Eleanor Jacobsen s’inarcarono in segno di sorpresa, ma tale incontrollata reazione durò lo spazio di pochi attimi, poi la consueta maschera d’armoniosa serenità tornò al proprio posto.

«Ritengo opportuno mantenere un atteggiamento di estrema cautela sin quando non si possa disporre di una prova certa», rispose con voce quieta. Controllata. «Quel che abbiamo sinora fra le mani non sono altro che chiacchiere. E io odio perdere tempo in chiacchiere.»

«Ma che cosa farà se quelle voci dovessero rivelarsi qualcosa di più che semplici voci?»

«Ci penserò se e quando verrà il momento.»

Datasi una rassettata ai polsini, James Ryton si rivolse al figlio.

«Nervoso?»

«Un poco. Diciamo emozionato.» Assai signorile nel suo completo grigio, Michael pareva una versione più giovane di Ryton padre, eccettuata la cravatta a treccia, di colore rosa acceso, che aveva insistito per indossare. James non aveva avuto problemi a concedergli quel pizzico di ostentazione, ma per sé aveva preferito una sobria cravatta rosso borgogna decisamente vecchio stile. Il vagone della metropolitana diede uno scossone, costringendoli ad afferrarsi al corrimano. Fuori dei finestrini schizzavano via stazioni su stazioni, rettangoli di luce bianca e pallidi volti inquadrati per un istante, e subito svaniti.

«Tu già la conosci, vero, papà?»

Ryton annuì. «Sì, e ti assicuro che incontrarla è sempre un piacere. Eleanor Jacobsen è in carica ormai da un intero mandato, ed è qualcosa di cui ogni mutante può andare orgoglioso.»

Il convoglio li depositò alla stazione centrale. Una lenta ascesa lungo scale mobili, sino a raggiungere l’ascensore argentato che s’incaricò di condurli all’ufficio della Jacobsen, dove furono accolti dall’addetta all’accettazione.

«I signori James e Michael Ryton? Accomodatevi, prego. La senatrice al momento è in riunione, ma sono certa che vi riceverà fra breve.»

Ryton annuì con aria impaziente. Era ansioso di arrivare al dunque. Trascorso un quarto d’ora, reinterpellò l’impiegata.

«Crede che ci vorrà ancora molto?»

L’altra sorrise comprensiva. «Ricorderò alla senatrice che siete arrivati.»

«Grazie.»

Al suono del cicalino, Andie alzò la testa dal monitor. Eleanor Jacobsen e Stephen Jeffers, immersi nella discussione, non se ne accorsero neppure.

«Vuoi forse dire che non ti opporresti all’applicazione di ulteriori restrizioni a danno degli atleti mutanti?» domandò Jeffers con voce irosa. «Buon Dio, Eleanor, se continua così fra un poco ci toccherà mettere le cinture di piombo e le bende agli occhi, prima di scendere in pista!»

«Calmati, Stephen», replicò la Jacobsen in tono pacato. «Stai esagerando. È ovvio che non sosterrò quelle restrizioni. Ma la tua richiesta di abrogare il Principio d’Imparzialità è prematura. Lo sai bene che al Senato non abbiamo ancora sostegno sufficiente per chiedere un simile voto.»

«E allora troviamolo, questo sostegno.»

«Magari fosse così facile.»

Lo schermo della senatrice suonò di nuovo, e Andie prese la chiamata.

«Che c’è, Caryl?»

«Ci sono qui James e Michael Ryton. Hanno un appuntamento con la senatrice. È già mezz’ora che aspettano.»

«Grazie.»

Si rivolse alla Jacobsen. «Senatrice, credo che i suoi ospiti delle undici siano di là che aspettano di essere ricevuti.»

«Di già?» Controllò il proprio monitor, poi: «Andie, mi servono altri dieci minuti o giù di lì per Stephen. Ce la fai a tenerli tranquilli finché non mi libero?»

«Si capisce.»

Jeffers le fece l’occhiolino. «Eleanor dovrebbe clonarti, Andie. Così potresti stare in due posti contemporaneamente.»

«O magari tre», aggiunse la senatrice. «Grazie, Andie, vai pure.»

Andie uscì, richiuse la porta, e col sorriso di Jeffers che ancora le rifulgeva in mente s’inoltrò nell’ufficio esterno. I Ryton erano in attesa accanto alla scrivania di Caryl.

«Signori, vi prego di scusare il ritardo. Sono Andrea Greenberg, assistente della senatrice Jacobsen. Verrete ricevuti fra pochi istanti.» Strinse la mano a entrambi i visitatori, vincendo l’impulso di lasciarsi andare a una risatina. Guarda un po’ a parlar di cloni… Ryton figlio, in effetti, pareva a prima vista modellato esattamente con il medesimo stampo del padre, anche se a un esame più attento risultava evidente che i suoi occhi avevano qualcosa di inconsueto, diciamo un tantino obliqui. Interessante. I mutanti erano sempre interessanti, pensò Andie. E attraenti. Sentì un fremito birichino correrle su per la schiena.

Fece accomodare i Ryton su due sedie che fronteggiavano la sua scrivania.

«Avete mai incontrato la senatrice, prima d’ora?»

«Io sì, nel corso di una precedente visita», rispose James Ryton. «Vogliamo parlarle a proposito del disegno di legge sugli stanziamenti per la Base Marte. Le previste norme di attuazione rischiano seriamente di soffocare l’intero comparto dell’ingegneria spaziale, e proprio ora che siamo finalmente riusciti a riguadagnare competitività nei confronti della Russia e del Giappone.»

«Sapete che il disegno di legge sarà messo ai voti domani?»

«È appunto per questo che oggi siamo qui.»

La linea privata di Andie emise un breve trillo. Il codice della Jacobsen.

«Scusatemi.» Distolse lo sguardo e sollevò il microfono.

«Andie, bisognerà rimandare, coi Ryton. Se facessimo domani?»

«Ora glielo chiedo.»

Con aria contrita tornò ad affrontarli.

«Pare purtroppo che la riunione debba andare per le lunghe. Temo proprio di dovervi pregare di tornare domani…»

«Ma potrebbe essere troppo tardi!» sbottò Michael Ryton. Una rapida occhiata di suo padre lo ridusse al silenzio.

Andie incominciò a spiegare quanto fosse spiacente, ma si interruppe a metà della prima parola. Dio, che facce depresse! Le bastò uno sguardo al ruolino dell’indomani per rendersi conto che all’ora in cui la Jacobsen avrebbe potuto riceverli il progetto sarebbe già stato votato.

«Aspettate», disse allora. «Vedo se posso fare qualcosa.»