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Premette il pulsante di chiamata.

«Mi scusi, senatrice, ma credo proprio che dovrebbe cercare di trovare qualche minuto per i Ryton oggi stesso. Desiderano incontrarla per via del disegno di legge su Base Marte, e domani lei non avrà tempo di riceverli prima della votazione.»

«È tanto urgente?»

«Credo di sì.»

Pausa di silenzio in linea, mentre la Jacobsen si consultava con Jeffers. Poi: «Non fa nulla per loro se c’è anche Jeffers?»

Andie si rivolse ai Ryton.

«Al momento insieme alla senatrice c’è Stephen Jeffers. Avete qualcosa in contrario se assiste al colloquio?»

«Niente affatto.»

«Hanno accettato.»

«Grazie, Andie.»

«Va bene, gente, potete entrare.» Il giovane Ryton appariva talmente sollevato, che Andie fu sul punto di fargli l’occhiolino. Anche suo padre dava l’idea d’essere un poco meno teso. «Da questa parte.»

Mentre stavano per varcare la soglia dell’ufficio interno, James Ryton si fermò.

«Signorina Greenberg… grazie.» James Ryton sorrideva. Andie ebbe l’impressione che non dovesse capitargli tanto spesso.

«James, che piacere rivederti», lo salutò Eleanor Jacobsen con una breve stretta di mano. «E questo è tuo figlio?» Strinse la mano anche a Michael, il quale ne trasse un’impressione di fermezza che ben si accordava all’espressione autoritaria di lei. Sobriamente abbigliata con un pratico completo grigio, dominava l’ambiente circostante con la massima disinvoltura. Fece cenno ai due visitatori di prendere posto sulle sedie imbottite, rivestite in cuoio rosso, che stavano di fronte alla sua scrivania. Michael vide che non portava il distintivo della fraternità mutante. Probabilmente non è nel suo stile, pensò. Dava l’idea di essere molto più seria e tradizionalista di quanto Michael si fosse aspettato. E nello studio regnava un’atmosfera démodée cui davano sostanziale apporto il caldo rivestimento in legno delle pareti, l’elegante tappezzeria azzurra del divano e il tappeto orientale color vinaccia che faceva bella mostra di sé sul pavimento. Niente mobilio acrilico del Ventunesimo secolo, per la senatrice Jacobsen.

Un bell’uomo dalla mascella forte e dagli occhi dorati stava seduto accanto alla scrivania. Sul risvolto dell’impeccabile giacca blu marino gli scintillava un distintivo della fraternità. Il padre di Michael gli rivolse un cenno del capo.

«Conosci Stephen Jeffers?» domandò la Jacobsen.

«Ci siamo incontrati tre anni fa al convegno della costa occidentale», spiegò Ryton.

«Lieto di rivederti, James.» I due si strinsero la mano, poi Jeffers si rivolse a Michael. «Vedo che nel frattempo sei entrato anche tu in ditta. Ottima scelta. A quel che sento, si tratta di una delle migliori imprese di ingegneria spaziale attualmente in attività.»

«James, ho saputo che ti sei aggiudicato il contratto per il collettore solare», disse la Jacobsen.

«Esatto.»

«Sarebbe proprio ora che il programma spaziale americano ridiventasse competitivo.»

«Be’, è quello che vorremmo ottenere, ma quei maledetti regolamenti ci paralizzano.»

Jeffers annuì. «L’eredità del caso Groenlandia.»

«Le norme di sicurezza sono divenute per noi un cappio attorno al collo. Io utilizzo già una dozzina di persone solo per star dietro alla nuova normativa. In simili condizioni è impossibile rimanere concorrenziali. Non posso semplicemente dare in appalto il lavoro a ditte coreane come fanno la Russia e il Giappone.»

«James, nell’industria spaziale le norme di sicurezza sono un fattore vitale», obiettò la Jacobsen.

«Sicurezza, certo. Da questo punto di vista tutto il nostro lavoro è perfettamente aggiornato. Ma la normativa più recente è in gran parte apparenza e nient’altro, qualcosa a cui i tuoi colleghi possono riferirsi ogni volta che in questa nazione d’imbecilli torna di moda mettersi a far baccano sulla sicurezza delle imprese spaziali.»

«Be’, aspetta un momento, James…»

«Cara la mia senatrice, tu non hai idea di quanto sono diventati intricati questi maledetti regolamenti! È per questo che siamo qui. Con l’aumento continuo del costo del lavoro e del prezzo di materiali e componenti, e con una concorrenza estera sempre più agguerrita, se la nuova legge introdurrà l’obbligo di osservare ulteriori misure di sicurezza ti dico chiaramente che non sarò più in grado di tirare avanti.»

Eleanor Jacobsen scosse la testa. «Sai bene che si tratta di una questione molto delicata. Non posso semplicemente presentarmi in aula e annunciare la mia opposizione alle nuove norme federali di sicurezza su Base Marte. Mi farei ridere in faccia da tutto il Senato. A ragione o a torto, è politicamente indispensabile fornire risposte soddisfacenti ai non pochi critici del programma spaziale… se vogliamo che tale programma continui a esistere. Altrimenti risuccederà quel che accadde negli anni Ottanta. E la tua attività ne subirà un danno ancora più grave.»

«Sarei lieto di poter dimostrare quali effetti abbiano, sulla nostra attività, le misure preventive già in vigore», ribatté Ryton. «Siamo stati costretti a decuplicare i prezzi solo per conservare la posizione di mercato pre-Groenlandia. E sono certo che se deste un’occhiata ai miei concorrenti americani constatereste la medesima situazione. Forse ai contribuenti non dispiacerebbe affatto scoprire quanto gli costa la gratificazione psicologica derivante da una tale sovrabbondanza di precauzioni.»

«Dunque sei proprio convinto che queste norme di sicurezza siano superflue?»

«Alcune senza dubbio.»

Michael si sentì nascere dentro un’ondata di ammirazione per il modo in cui suo padre difendeva le proprie posizioni.

«E tu che cosa ne pensi?» gli domandò la Jacobsen.

«Sono d’accordo con mio padre. Dopo l’incidente in Groenlandia, la regolamentazione si rendeva evidentemente necessaria per spegnere le proteste. Ma in realtà si tratta solo di una perdita di tempo e di uno spreco di denaro pubblico. Le nuove norme non aumentano affatto la sicurezza del sistema. Che, comunque, è già molto sicuro. Abbiamo portato una documentazione dimostrativa di quanto elevato sia il suo grado di sicurezza anche senza l’adozione di ulteriori misure.» Si tolse di tasca una memocassetta e gliela porse.

Eleanor sospirò. «Sei persuasivo quanto tuo padre. Benissimo, signori. Miracoli non ne posso promettere. Ma farò il possibile.»

James Ryton si alzò in piedi. «Gradiremmo ricevere notizie circa l’esito della votazione, senatrice.»

«Vi contatterà Andie, la mia assistente.»

Michael strinse di nuovo la mano a Eleanor Jacobsen e uscì dallo studio sentendosi tranquillizzato, quasi euforico. Mentre insieme a suo padre passava accanto alla scrivania della graziosa assistente dai capelli rossi, lei li salutò alzando entrambe le mani in gesto beneaugurante.

Eccola qua, dunque, la famosa Eleanor Jacobsen, pensava Michael. Senza dubbio all’altezza della propria reputazione: schietta, intelligente, politicamente astuta. Il mutante giusto al posto giusto. Non vedeva l’ora di parlarne a Kelly.

5

La navetta del volo di notte sfrecciava silenziosa al di sopra delle nubi. Anzi, al di sopra dell’atmosfera. Grazie alle navette intercontinentali, un viaggio che in altri tempi avrebbe richiesto l’intera notte era stato ridotto a un tragitto di mezz’ora. Appena il tempo di aprire la videocartella, pensò Andie. Occhieggiò, fuori del finestrino, la nera distesa dello spazio, tempestata di stelle. Giù in basso, il globo terrestre dormiva sotto la sua coltre di nubi. Argentea e rotonda, amichevole bagliore nell’oscurità notturna, la luna ammiccava sull’orizzonte. Dedicò qualche secondo a domandarsi che effetto dovesse fare trascorrere l’esistenza sulla superficie di quell’arido satellite, in quel deserto senz’aria calcinato dal sole, al riparo di cupole, adoperandosi giorno per giorno, lentamente e fra mille difficoltà, a trasformare quell’inferno in un simulacro della madreterra, sapendo che i propri figli avrebbero ereditato e goduto i frutti di quell’ingrato lavoro. Non era mai stata a Base Luna. Sinora. Quanto a Base Marte, be’, sperava di visitarla non appena fosse terminata. Non avrebbe mai potuto vivere a lungo fuori dei confini terrestri, ma un viaggetto qua e là non le sarebbe affatto dispiaciuto.