Andie sfogliò l’allegato al biglietto, un fascicolo pubblicitario che invitava a investire in Lunamena, stazione di soggiorno «attualmente in costruzione negli stupendi contrafforti montagnosi prospicienti la Baia della Tranquillità. Accessibile ai soli soci, naturalmente.» Le venne da ridere, ma si trattenne. In foto e in video i panorami lunari l’avevano sempre colpita come bizzarri e spettacolari. Paurosi. Tutto meno che stupendi.
Dall’altra parte del corridoio, Karim alzò gli occhi dal medesimo fascicolo. Incontrando il suo sguardo Andie gli ammiccò, e lui sorrise, poi accennò innanzi a sé in direzione del sedile dove il suo capo, il venerabile senatore Leon Craddick, era riuscito a prendere sonno. L’arruffata gran testa dai capelli bianchi oscillava pian piano avanti e indietro al ritmo di un lieve russare. Eleanor Jacobsen diede un’occhiata al collega, aggrottò le sopracciglia, quindi tornò a dedicarsi al fascicolo che stava esaminando. Che perseveranza, e che capacità di concentrazione, pensò Andie ammirata. Erano doti che in Senato si facevano senza dubbio valere.
Adocchiò poi, diversi sedili più indietro, il senatore Joseph Horner intento a borbottare chissà cosa chino sul monitor del suo portatile, col cranio che gli luccicava attraverso rade ciocche di capelli. Forse sta pregando per ottenere altri facoltosi adepti, pensò Andie. Che diavolo ci faceva, aggregato a quella missione? Non avrebbe dovuto nemmeno credere nell’evoluzione umana, figuriamoci poi nell’evoluzione dei mutanti! Non che questo gli impedisse di invitare i mutanti a unirsi al suo Gregge. Andie era pronta a scommettere che il senatore doveva aver fatto carte false per riuscire a procurarsi un biglietto. A prescindere dalle proprie convinzioni religiose, Horner non poteva permettere che la ricerca del successivo gradino nella scala dell’evoluzione avesse inizio in assenza dell’uomo che il Signore Iddio aveva prescelto a fungere da Suo personale rappresentante in seno al Congresso degli Stati Uniti. Andie pensò quanto sarebbe stato bello poterlo chiudere fuori da una camera di compensazione… ma poi bandì dalla propria mente la vana fantasticheria, e decise semplicemente di tenersi il più possibile alla larga da quell’individuo.
Chiudendo gli occhi, immaginò di starsene seduta in un caffeuccio brasiliano a ordinare un Cuba Libre. Peccato davvero che della brigata non facesse parte anche Stephen Jeffers. Non le sarebbe affatto dispiaciuto dividere con lui quel tavolino. Be’, forse un po’ di compagnia gliel’avrebbe fornita il buon Karim. L’innesto mnemonico su Rio le proponeva vivide immagini di spiagge immense, una lussureggiante flora in piena fioritura, una città sfavillante, irta di bianchi edifici svettanti fino al cielo, vibrante d’un palpito sensuale che pareva non interrompersi mai. La navetta incominciò lentamente a dirigere la prua verso il basso, iniziando la fase di rientro. Nell’attesa di veder comparire le luci bianche della pista di atterraggio, Andie diede una silenziosa ripassata alle sue indotte nozioni di portoghese.
Il grande schermo a parete lampeggiava inondando la stanza di riflessi ambrati. Sue Li poggiò le borse della spesa sul pavimento azzurro pallido del vestibolo e digitò il codice di accesso. Apparve il primo messaggio, confermando nella sostanza quanto lei aveva già immaginato.
«Mamma, ho preso in prestito chiavi e libratore. Ci vediamo verso le undici. Michael.»
Sue Li sospirò e si tolse il soprabito. Senza dubbio Michael era di nuovo uscito insieme a Kelly McLeod. Non sarebbe stato opportuno informare James? No, contrario com’era a quel genere di cose, meno ne sapeva meglio era. Quanto a lei, non ci trovava nulla di male. Però sembrava proprio che Michael avesse intenzione di trascorrere tutto il suo tempo libero in compagnia di quella ragazza. Non avrebbe potuto continuare a coprirlo all’infinito. Specialmente in occasione del convegno estivo. In giugno sarebbero dovuti tornare a Seaside Heights.
Lo schermo passò a mostrare il secondo messaggio: James era pregato di mettersi in contatto con Andrea Greenberg al numero 3015552244. Andrea Greenberg? Sue Li si sentì rodere da una punta di sospetto. Non era da James ricevere a casa messaggi femminili. Di chi poteva trattarsi? Una conoscenza di lavoro?
Certo, aveva fiducia in suo marito, più o meno. Ma in un matrimonio di quella durata la fiducia finiva per diventare quasi un elemento secondario. La loro era un’unione cementata dal tempo e dalla famiglia.
In passato, con Vinar, Sue Li aveva nutrito ben altre speranze. Come aveva palpitato, al tocco delle sue mani, e con quanta trepidazione aveva atteso i momenti in cui potevano ritrovarsi assieme!… Naturalmente era stata molto giovane, allora. Non si poteva pretendere che una passione così bruciante si conservasse intatta negli anni della maturità. Eppure, dopo la scomparsa di Vinar, Sue Li aveva confidato di poter raggiungere con James una piena, armonica unione fisica e mentale. In effetti, tramite il contatto telepatico, essi potevano almeno congiungersi a livello di pensiero, sebbene si trattasse di un’esperienza che le causava sovente un profondo turbamento. Specialmente ora che in James cominciavano a prodursi le vampate mentali. Quanto alla comunione dei corpi… be’, già da un bel pezzo aveva cessato di aspettarsi l’appagamento sessuale. Tutto ciò, comunque, non le impediva affatto di sentirsi possessiva nei confronti di suo marito.
Appeso il soprabito nell’armadio a muro dell’ingresso, Sue Li si asciugò col dorso della mano il sudore che le imperlava la fronte e si arrotolò fino al gomito le maniche del vestito. Il display del termometro a parete indicava quindici gradi. Caldo, per essere aprile. Una pressione sul pulsante dell’interfono.
«Melanie?»
Silenzio. Doveva essere andata da qualche parte a combattere col suo umor nero. Dal giorno dell’incidente al bar, due mesi prima, era divenuta ancor più taciturna e introversa del solito. Sue Li soffocò una fitta di rimorso. Che cosa avrebbe potuto dirle? Che colpa aveva lei, se Melanie era una neutra e doveva subirne le inevitabili conseguenze? Aveva fatto tutto il possibile, per sua figlia. Calciò via le scarpe e contrasse e distese più volte le dita dei piedi, chiudendo gli occhi e godendosi la sensazione di sollievo.
«Jimmy?»
«Sì, mamma.»
«Che stai facendo?»
«Niente.»
Come al solito, pensò Sue Li. Probabilmente era impegnato a far levitare tutti i mobili in camera dei genitori, aspettando il momento propizio per farle una sorpresa. «Bene, visto che non stai facendo nulla, potresti portare la spesa in cucina e metterla a posto?»
«Subito, mamma.»
I vari involti presero a sollevarsi in aria e a girare l’angolo. Nel momento in cui Sue Li entrò in cucina, i pacchetti stavano scomparendo dentro i mobili, le verdure dentro il frigorifero. Fin qui tutto bene, pensò. Si girò per mettere un bicchiere nell’acquaio. Un involucro arancione le sfrecciò davanti al viso mancandole il naso per un pelo, e prese a orbitarle attorno al capo come un piccolo satellite. Cercò di acchiapparlo, ma quello continuava a ballonzolare fuori tiro. Sospirando richiuse gli occhi e concentrò tutta la sua irritazione nell’equivalente mentale di uno schiaffo, scagliando poi l’immagine a mezza potenza in direzione di Jimmy. Il contenitore cadde rumorosamente a terra. Udì attivarsi l’interfono.
«Mamma! Non c’era mica bisogno di pigliarla in questo modo!»
«Ho dovuto combattere tutto il giorno con irascibili mercanti d’arte e sovrintendenti ultrapermalosi. Non sono per niente in vena di scherzi.» Si chinò a raccogliere la scatoletta. Una confenzione di preservativi. Aperta.