«Jimmy, dove hai preso questa roba?» domandò, cercando di rimanere calma.
«L’ho trovata nel cassetto di Michael.»
«E allora rimetticela immediatamente. L’intimità fisica di ognuno deve essere rispettata non meno dei suoi diritti mentali.»
«Lo dirai a papà?»
Sembrava a lei, o dalla voce del suo figliolo più giovane emergeva una nota di maligna soddisfazione? Bisognava intervenire senza indugio. Gelida, sferzante, Sue Li lo mise in guardia senza mezzi termini.
«Farai meglio a occuparti dei fatti tuoi, giovanotto, se non vuoi assaggiarle più forti… o magari preferisci essere costretto a ripetere per qualche ora i diciassette salmi di prudenza e tolleranza? Non illuderti di essere troppo grande, per questo salutare trattamento.» Lasciò qualche istante aleggiare, nel silenzio, la terribile minaccia. «Voglio che tu rimetta questo pacchetto esattamente dove l’hai trovato. Subito!»
«Va bene», capitolò Jimmy in tono da funerale. Quando udì spegnersi l’interfono, Sue Li trasse un sospiro di sollievo. Jimmy stava diventando un po’ troppo imprevedibile. L’avevano decisamente viziato. Si faceva di anno in anno più impudente e aggressivo. All’ultimo convegno aveva nascosto i vestiti di Halden per un’intera mattinata. Man mano che alle infantili birichinate si andavano sostituendo pesanti monellerie e aperte malignità, sempre più probabile diveniva il rischio di un biasimo ufficiale da parte del clan. E James, naturalmente, era tanto cieco ai difetti dell’omonimo figlio minore quanto lo era alle doti del maggiore. Sue Li scosse la testa.
Mentre la scatola di preservativi prendeva il volo uscendo dalla cucina, Sue Li si lasciò andare nell’idropoltrona verde che troneggiava accanto alla porta del seminterrato, e sentì l’imbottitura adeguarsi piacevolmente alla conformazione del suo corpo. Provava una curiosa voglia di piangere e ridere a un tempo. Michael non era certo più un bambino, ma lei avrebbe fatto volentieri a meno di una prova così decisiva. Provò a salmodiare mentalmente una serie di nenie rasserenanti, quelle cui spesso ricorreva nelle giornate più impegnative, ma l’auspicato effetto calmante questa volta non si verificò.
Nel mobile bar c’erano quei blandi spinelli che si concedeva di tanto in tanto, quando James lavorava fino a tardi. E nell’armadietto dei medicinali attendeva la Valedrina. Per un attimo fu tentata. Poi udì richiudersi la porta d’ingresso.
«James?»
«No, mamma, sono io», disse Melanie con voce sommessa. Fece il suo ingresso in cucina indossando una casacca azzurra e stivaletti verdi, aprì il frigorifero e restò lì a sbirciarvi dentro. Sue Li le si fece accanto per estrarre una confezione di calamaretti. Melanie optò infine per un pacchetto di biscotti al kiwi e richiuse il frigorifero, mettendosi a masticare senza troppo impegno. Sua madre approvò con un cenno del capo. Mantenere in equilibrio il metabolismo mutante richiedeva numerosi piccoli pasti.
«Com’è andata, oggi?»
«Tutto bene.»
«Per la cena ci vorrà ancora un po’.»
Melanie alzò le spalle. Si diresse verso il soggiorno, volgendosi poi improvvisamente come se si fosse ricordata di qualcosa.
«Mamma?»
Dissigillata la confezione, Sue Li stava aspettando che i reagenti chimici in essa contenuti, combinandosi con l’aria, svolgessero la loro azione.
«Sì?» disse, senza alzare la testa.
«Il primo venerdì dopo il diploma la cugina Evra darà un ricevimento notturno. Vorrebbe congegnare una scenetta da presentare al convegno del clan. Posso andarci?»
«Chi altro è invitato?»
«Tela, Marit, Meri. Soltanto ragazze.»
«Credevo che con Tela tu non andassi d’accordo.» Sue Li aggrottò la fronte, concentrandosi nel delicato compito di tagliare i calamaretti in fettine sottili. Invidiava a Zenora le sue raffinate doti telecinetiche. Quella era capace di affettare un filetto di pesce da una distanza di cinquanta metri.
«Ma no, è un tipo a posto.»
Sue Li accese il forno a convezione. Se Michael fosse stato in casa avrebbe chiesto a lui di effettuare una rapida cottura telecinetica, ma con Jimmy non c’era da fidarsi, riusciva sempre a bruciare il cibo. Che ragazzo trascurato, pensò. Michael esercitava un controllo molto più attento sulle sue capacità. Si rivolse a Melanie.
«Se proprio lo desideri, nulla in contrario. Tuo padre sarà contento di sapere che ti interessi alle questioni del clan.»
«Oh, che magnifica notizia!»
«Non fare l’impertinente, Mel.» Sue Li impanò ben bene le fette di calamaro e le collocò sul cuscino d’aria del forno, dove rimasero a fluttuare ondeggiando lievemente.
«Ti ci posso portare io in macchina, se ti va di aspettarmi finché non rientro.»
«No, non importa. Ha detto Michael che mi dà un passaggio lui.» Sue Li se lo stava solo immaginando, oppure Mel appariva davvero a disagio? Comunque Michael era un ottimo guidatore, e dava a sua madre una mano preziosa nello scarrozzare la sorella minore. E poi, di lì a poche settimane, Mel avrebbe finito il liceo, dopo di che sarebbe stato concesso anche a lei di richiedere la patente.
«Come preferisci. E adesso, se hai finito il tuo spuntino, mi daresti una mano per la cena?»
Dall’altra parte della stanza buia, vicino alla finestra, l’orologio annunciava mezzanotte e mezzo in grandi cifre gialle. Michael si girò sulla schiena. Distesa nel letto accanto a lui, Kelly si mosse lievemente. Egli tese una mano a sfiorarle con delicatezza un fianco, assaporando la serica consistenza della sua pelle.
«Mmmmm.» Kelly gli si rannicchiò più vicino. «Rimani tutta la notte?» Lui le diede un bacio sulla guancia. «Non posso. Già così rientrerò in ritardo. Credo che mio padre dorma con un occhio solo finché non sente richiudere il portoncino.»
«Perché continui a vivere con loro? Non ambisci a un nido tutto tuo?»
«Certamente. Ma è la tradizione del clan. Non andiamo via di casa finché non ci sposiamo.»
«E la rispettano tutti, questa tradizione?»
«Quasi tutti.»
«Ma guarda. Le consuetudini di voi mutanti sono incredibili. Nella mia famiglia, l’usanza più consolidata è quella di far visita alla zia per Pasqua. E non è che i miei ne abbiano fatto una tragedia, quando non ci sono voluta andare.»
«Come hai fatto a convincerli?»
«Gli ho detto che avevo da preparare un’interrogazione. La mia famiglia non è mica rigida come la tua.» Si girò di fianco e gli passò delicatamente un dito lungo il petto.
«La tua famiglia sembra piuttosto chiusa, in effetti.»
Michael rabbrividì a quel contatto, in preda a una sensazione deliziosamente tormentosa che agognava e aborriva al tempo stesso. «Claustrofobica, è il termine giusto. Magari potessi evitare i convegni annuali! Tanto, per quel che me ne viene…»
«Che effetto fa?»
«In che senso?»
«Ma sì, essere un mutante, partecipare alle riunioni del clan.»
Michael sospirò. «Una sofferenza. Mi becco inevitabilmente una sgridata da mio padre, di solito del tipo ’Guai a te se oserai mescolarti ai normali’. E mi tocca sorbirmi pure il resoconto annuale: quante nascite, quante morti… Poi ci sono le letture delle Cronache. E, ovviamente, i miei cugini.»
«A dozzine?» ridacchiò Kelly.
«Quasi.»
«Sembrerebbe interessante.» Si ridistese sulla schiena, stiracchiandosi. Il suo profilo leggiadro si delineava contro il giallo riverbero del cronometro.
«Per un nonmutante può anche darsi.»
«Be’, allora sono la persona adatta. Raccontami ancora della condivisione.»
«Ci teniamo tutti quanti per mano attorno a un tavolo, collegandoci telepaticamente. In questo modo anche i non dotati possono partecipare alla sintonia di gruppo. Si prova la sensazione di fluttuare in un’atmosfera di cordialità, diciamo pure d’intimità.»