Jena spinse a tavoletta l’acceleratore della sua freccia vermiglia. L’autostrada era un nastro di calcestruzzo divorato dal libratore, il fuggente paesaggio un guazzabuglio giallo-verde di alberi germoglianti.
Osservò fra sé che in fin dei conti aveva detto la verità, a Melanie Ryton. È chiaro che avrebbe invitato alla festa sia lei sia suo fratello, anche se entrambi sapevano a chi era veramente interessata. E aveva davvero un appuntamento con Stevam, sebbene lo considerasse essenzialmente uno sciocco presuntuoso.
Se solo fosse riuscita a dimenticare quello che aveva visto la sera prima… Michael con un braccio stretto attorno a Kelly McLeod. E tutti e due che ridevano all’unisono uscendo dal cinema. Felici di essere insieme, ignari degli sguardi che come coppia «mista» inevitabilmente si attiravano.
Il concetto di «coppia» le fece venire un groppo allo stomaco. Quei due le avevano dato l’impressione di formare una coppia davvero molto affiatata, immersi com’erano in un alone di particolare intimità che faceva al confronto impallidire i suoi peggiori incubi.
Jena aveva adorato Michael Ryton sin dall’età di dodici anni. A ogni convegno del clan l’aveva osservato giocare a pallone e saltare la cavallina coi loro cugini, beandosi del modo in cui si muoveva, del modo in cui timidamente le sorrideva. E sperando che, con l’andar del tempo, lui pure giungesse a provare per lei gli stessi sentimenti. Dopotutto avevano quasi la stessa età. Una scelta assolutamente appropriata. E il momento della decisione era ormai giunto, per Michael Ryton. Perché non doveva toccare a lei?
Jena si era accorta presto che i suoi sguardi erano un’arma potente, efficace anche sui nonmutanti… non che quegli ottusi, noiosi normali, destassero in lei il minimo interesse. Lo vedeva bene, ai convegni del clan, in che maniera la guardavano gli uomini. Quando passava lei, persino gli individui dell’età di suo padre si permettevano di indugiare sulle sue fattezze con occhiate inequivocabili. L’aveva sempre considerato un piacevole gioco. Ma l’unico uomo col quale veramente desiderava giocare pareva avere la mente orientata altrove. Sui nonmutanti. Jena strinse il volante. Accidenti, aveva saltato l’uscita.
L’atteggiamento intransigente e ribelle tenuto da Michael durante il convegno dell’inverno prima le era parso un chiaro segno del fatto che egli non era ancora pronto a sottomettersi. D’accordo, aveva pensato Jena. Prima o poi si arrenderà. Diamogli tempo e modo. Il suo rifiuto le aveva fatto male, però lei non aveva lasciato capire a nessuno, neppure a sua madre, quanto profonda fosse quella ferita. E aveva giurato a se stessa che Michael, presto o tardi, sarebbe stato suo.
Ma come poteva essere tanto interessato a una nonmutante? Kelly era una ragazza in gamba, d’accordo, ma si trattava pur sempre di una normale. Di un’estranea! Per andare contro le rigide consuetudini del clan, Michael doveva aver contratto ben più di una leggera infatuazione. Forse sarebbe stato addirittura disposto a sfidare pesanti sanzioni, pur di sposarla.
No. No. No.
Jena si disse che una cosa del genere non poteva, non doveva accadere. Aveva aspettato abbastanza. Adesso bisognava intervenire, e alla svelta. Uscì allo svincolo successivo, invertì direzione e manovrò il libratore verso casa, mentre un piano le si andava già delineando nella mente.
«James, non puoi semplicemente incollare Michael a Jena aspettando che succeda qualcosa. Non sono mica animali.» Sue Li guardava suo marito andare avanti e indietro per la stanza spostandosi senza posa da una zona di luce azzurra a una di luce verde, sintomo indubbio che le vampate mentali lo stavano tormentando. «E poi i fidanzamenti non sono più di moda.»
«Non me ne frega niente della moda. Con noi due ha funzionato, no? A dar troppa libertà di scelta a questi giovani scriteriati, finisce che prendono decisioni pericolose.»
«Già, ma quelli erano altri tempi. Non devi generalizzare.» Sue Li avrebbe preferito non affrontare l’argomento, ma James aveva insistito per sapere che fine avesse fatto il libratore, e alla fine, pur controvoglia, era stata costretta a dirgli dell’appuntamento di Michael con Kelly. Lui era andato su tutte le furie. Sue Li interruppe con un sospiro la lettura dell’Art History Monthly, e senza disattivare lo schermo si abbandonò rassegnata contro i cuscini del divano.
«Cercare di obbligare Michael a obbedirti non servirà», lo ammonì. «Temo, anzi, che tu possa indurlo a lasciarci.» E se dovesse accadere non te lo perdonerò mai, pensò, chiedendosi se James fosse in grado di percepirla nettamente. La sua chiarudienza era una facoltà capricciosa e incostante.
Ryton, un’espressione costernata dipinta sul volto, troncò di netto il proprio andirivieni, e lei si sentì percorrere da un lieve fremito di esultanza. I suoi poteri telepatici erano sempre stati assai superiori a quelli del marito.
«Non costringerei mai mio figlio ad andarsene di casa», dichiarò Ryton con voce sommessa.
«Però non credo che tu ti renda ben conto di quali pressioni stai esercitando su di lui», obiettò Sue Li, infagottandosi più stretta nel suo kimono color prugna.
«E lui non ha nessuna idea di quali forze potrebbero essere messe in opera per ricondurlo alla ragione», replicò Ryton in tono aspro.
Sue Li lo fissò con sguardo atterrito. «Non starai mica pensando di chiedere l’intervento della mente di gruppo? Contro nostro figlio?»
«Non sarebbe certo la prima volta che accade una cosa del genere. Anche se, naturalmente, si tratta di una sanzione applicata di rado. E sempre per il bene del clan. È già stato proposto di richiedere l’applicazione di un provvedimento ufficiale a carico di Skerry. Per costringerlo a rigare dritto. E io sono tentato di votare a favore. Michael gli vuole bene. Potrebbe essere un’ottima lezione, per lui.»
«Ma una condanna di gruppo potrebbe distruggere le facoltà telepatiche di Skerry!»
Ryton si strinse nelle spalle. «Ora come ora di quale utilità è costui, per il clan? Ha abbandonato la comunità. Se non altro, potremmo recuperare il suo potenziale genetico.»
«Operando su di lui un’ulteriore costrizione, naturalmente. Possibile che tu non sappia pensare ad altro?»
«Lo sai che non è così. E sai altrettanto bene che si tratta di un punto essenziale. Lo è sempre stato. Siamo così pochi. E adesso che siamo usciti allo scoperto, i nostri giovani pensano solo a mescolarsi coi normali.» Ryton si massaggiò le tempie con aria stanca. «È un’idea pazzesca. Pericolosa. Non può uscirne nulla di buono. I normali sono impreparati almeno quanto noi, a un passo del genere.»
«Sembra quasi che li consideri una specie di trogloditi.»
«Sotto certi aspetti lo sono, paragonati a noi.»
«Dio, quanto mi irrita sentirti parlare a questo modo!» Sue Li si girò verso lo schermo del computer. Era la seconda volta, quella sera, che provava una gran voglia di possedere facoltà telecinetiche, appena quel tanto che sarebbe bastato a sbatter suo marito contro un muro per cacciargli fuori quell’atteggiamento ostile, quelle idee paranoiche.
«Incoraggiarlo in questa sua infatuazione per la figlia di McLeod servirà solo a rendere le cose più difficili», dichiarò Ryton. «E io non voglio che mio figlio si esponga così alle insensatezze dei normali, col rischio di rimanerne scottato, o peggio.»
«Finora, ad ogni modo, ce l’ha fatta a sopravvivere», obiettò sarcastica Sue Li. «Anche dall’università è uscito tutto intero, e dire che là dentro era circondato da migliaia di normali.» Con un gesto nervoso della mano si decise finalmente a spegnere il video. «Non possiamo tenerlo isolato per sempre, James. Già sta scalpitando per andarsene a vivere la sua vita, e se cerchiamo per forza di separarlo da Kelly potremmo ottenere solo di far precipitare la situazione. Porta pazienza. Sono tanto giovani, tutti e due. Può darsi benissimo che a tempo debito la cosa si risolva da sé.»