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«Tuo padre è fenomenale», disse Melanie, cercando di stare al passo con le lunghe falcate di Kelly mentre trottavano verso il parcheggio. Il tiepido vento primaverile le scompigliava sugli occhi i capelli sottili, ed invidiò a Kelly la sua composta acconciatura a treccia.

«In che senso?»

«È simpatico. Gentile. Ed è anche un bell’uomo.» Melanie ridacchiò. «Lo so che lo metto a disagio, però lui fa del suo meglio per non darlo a vedere.»

«Il fatto è che non capisce i mutanti.»

«Ma quand’era in aviazione non gli è mai capitato di lavorarci assieme?»

«Solo di tanto in tanto. Sembra che siano molto bravi a scansare il servizio militare.»

Melanie sorrise. Ricordava bene con quanta destrezza suo cugino avesse influenzato la commissione di leva tramite una leggera pressione telepatica.

«Non devi prenderlo come un fatto personale», continuò Kelly. «Tu sei un mistero, per lui. Come per la maggior parte della gente. È da questo che nasce il loro disagio.»

«E tu come pensi che mi senta, io, a essere una mutante?» replicò Melanie appoggiandosi alla carrozzeria azzurra del libratore, mentre Kelly si metteva a rovistare nel portabagagli. «Credi che mi piaccia? Le persone, con me, o si sforzano di essere fin troppo carine e quindi esagerano e finiscono per ottenere l’effetto contrario, oppure sono apertamente sgarbate… per non dire brutali.»

«Già. In effetti è persino strano che i mutanti si sforzino di andare d’accordo coi nonmutanti, quando il più delle volte ci agitiamo attorno a voi come un mare in tempesta.» Tirò fuori un contenitore verde tenendolo per la maniglia e richiuse la macchina.

Melanie alzò le spalle. «Non possiamo mica continuare a nasconderci all’infinito. E poi non abbiamo altra scelta. Voi siete molti più di noi.»

«Ma non è che il numero dei mutanti aumenta di anno in anno?»

«Certo. Però se ci volessimo mettere in pari dovremmo passare tutto il tempo a fare bambini mutanti.»

«Detta così sembra una cosa buffa.» Kelly incominciò a far roteare per gioco la borsa degli attrezzi, ma si interruppe a metà di un’oscillazione. Si era fatta seria in volto. «E i bambini semimutanti, nati da matrimoni misti?»

«Non è che ce ne siano molti.»

«Ma hanno capacità mutanti?»

«Alcuni. Comunque il clan scoraggia in tutti i modi l’esogamia.»

«Già, me l’avevi detto.» Kelly si fermò e rimase lì, lo sguardo fisso in lontananza.

«Cosa c’è che non va?»

«Niente.»

«Davvero?»

«Davvero. Stavo solo pensando al futuro.» Si girò verso Melanie.

«Stavi pensando a mio fratello, vero?»

Kelly annuì. «Mi sono innamorata di lui», disse, quasi in un sussurro.

«Innamorata?» Melanie l’afferrò per una spalla. «E gliel’hai detto?»

«No.» Sotto la spinta dell’emozione, la voce di Kelly s’incrinò.

Confusa, Melanie la strinse in un abbraccio. «Non piangere», disse. «Scommetto che anche lui ti vuole bene. Perché non glielo chiedi?»

«Mi sentirei una stupida. E poi deve dirmelo lui spontaneamente, altrimenti non ha valore.»

«Capisco.» Melanie la lasciò andare. Si sentiva combattuta fra la voglia di aiutarla e il timore di rimanere coinvolta. Aveva già abbastanza problemi per conto suo. E aveva già rischiato molto mentendo ai propri genitori circa il programma di quel pomeriggio. Le vicende sentimentali di Michael non la riguardavano. Ma Kelly era sua amica. Come faceva a dirle che ciò che desiderava tanto appassionatamente era impossibile?

«Dai, smettila. Non vorrai mica che tuo padre ti veda piangere, no?» Le porse un fazzolettino.

«Grazie. Sarà meglio cambiare argomento», assentì Kelly asciugandosi il viso. «Cosa pensi di fare, dopo il diploma?»

«Avrei in vista un lavoretto estivo a Washington.» Al pensiero, le sorrisero gli occhi. «Dopo non lo so. Non mi va di infilarmi subito all’università.»

«Ma tuo padre non vuole che tu vada a lavorare con lui?»

«È quello che continua a dire. Io però preferirei trovarmi un lavoro da qualche altra parte. Arrangiarmi un po’ da me, insomma, per far vedere ai miei genitori che so cavarmela anche da sola.» Le tornò in mente la pubblicità che aveva visto in tivù: «Hai diciotto anni o più? Lavori estivi a Washington. Casella postale 7172A…» E ripensò alla spessa busta che l’attendeva chiusa nell’armadio. Aveva mandato la sua domanda la settimana prima. E ieri era giunta la risposta. Le offrivano impiego come assistente di sala al Washington Convention Center! Forse avrebbe persino avuto occasione di conoscere qualche telecronista…

«Magari fossi anch’io tanto sicura di quello che voglio fare…», commentò Kelly. Dal tono si sarebbe detto che fosse un po’ invidiosa. Mentre le rivolgeva uno sguardo di affettuosa comprensione, Melanie cercò di ricordarsi quando fosse stata l’ultima volta che qualcuno l’aveva invidiata per qualcosa. Che piacevole sensazione…

8

Leggermente a corto di fiato, Andie sedette al lungo tavolo da conferenze in tek. Il robocameriere aveva già servito il primo giro di caffè nelle bianche tazzine d’ordinanza. L’intera città sembrava alimentata dalla caffeina brasiliana. Un vassoio d’argento, in bella mostra sopra un tavolino di servizio accanto alla porta, offriva confezioni sigillate di siringhe a chi desiderasse dosaggi più massicci. Andie non fu sorpresa di scorgere accanto a Craddick due ipodermiche vuote. Dall’inizio della missione aveva già veduto la sua testa ciondolare sonnacchiosa durante più d’una riunione.

A metà della tavola sedeva Eleanor Jacobsen, con un videotaccuino aperto davanti e, accanto ad esso, una tazza fumante di quello che pareva tè. Senza interrompersi, salutò con un cenno del capo l’ingresso della sua assistente.

Come Andie aveva sospettato, c’era ben poco da riferire. Horner e il suo secondo osservavano un silenzio contegnoso. Craddick si limitava a qualche sporadica osservazione. A condurre il gioco era essenzialmente la Jacobsen. E la senatrice mutante aveva un’aria piuttosto stanca.

«A quanto pare, il dottor Ribeiros continua a offrirci una piena collaborazione», dichiarò la Jacobsen. Si coglieva forse una nota ironica, nella sua voce? «Comunque, per impiegare al meglio la settimana che ci resta, suggerisco di diversificare al massimo i nostri sforzi. Propongo che il senatore Horner, tramite i propri agganci in campo religioso, entri in contatto con l’arcivescovo locale. Il senatore Craddick, d’altro canto, potrebbe forse visitare le cliniche del Jacarepaguá. Quanto a me, continuerò le mie chiacchierate col dottor Ribeiros.»

Jacarepaguá? Ma non era proprio in quella zona la clinica dove Skerry aveva reperito la documentazione sugli esperimenti genetici? Spie o non spie, pensò Andie, bisognava che ne parlasse in segreto alla Jacobsen. Aspettò con impazienza che la riunione avesse termine e la stanza si vuotasse. Karim la salutò con un cenno della mano. L’avrebbe visto dopo, alla clinica di Ribeiros. Ma proprio nel momento in cui si volgeva verso la Jacobsen, qualcuno in un baleno le fu accanto.

«Mi scusi, gentile signorina, potrei scambiare due parole con lei e con la nostra incantevole senatrice?» Il reverendo Horner prese posto nella sedia piazzata fra Andie ed Eleanor, che lo accolse sorridendo freddamente.

Andie trasse un respiro profondo e lottò contro l’impulso di afferrare i braccioli della sedia di Horner. Bastava una bella spinta, e il reverendo, la boccaccia spalancata dalla sorpresa, si sarebbe rovesciato all’indietro andando a fracassare la grande lastra di cristallo della finestra. Poi, lentamente, l’avrebbero visto andar giù, venti piani buoni, verso la strada pulsante di traffico. Immaginò persino l’urlo affievolirsi nell’aria umida. Chiudendo di scatto il suo videotaccuino, rivolse al senatore un gran sorriso.