«Ma sì, sì», rispose Ryton in tono impaziente. «Sono perfettamente consapevole delle limitazioni insite in una rete telepatica. Anche noi abbiamo i nostri limiti.»
«Senza contare, poi, che la disfunzionalità di Melanie agisce quasi come una barriera riflettente.»
«E allora andate in cerca di uno spazio assolutamente vuoto che respinga tutti i nostri sforzi. Ecco, sì, proprio un nulla, questa è la migliore definizione che se ne può dare.» Ryton avvertì netto il trasalimento nel respiro di Sue Li, l’emanazione d’orrore suscitata dalla sua battuta.
Halden fece una smorfia. «James, capisco bene che sei sottoposto a una tensione tremenda, ma se è questo che pensi di tua figlia, non mi sorprende affatto che se ne sia andata senza tante cerimonie.»
«Mi spiace, Halden. Il fatto è che sono scombussolato. Capirai, è solo una bambina…»
«Conosci nessuno, a Washington?»
«No… Anzi, sì, nell’ufficio della Jacobsen.»
«Allora ti suggerisco di sentirli subito domattina. Mi farò vivo appena so qualcosa.» Lo schermo si spense.
Ryton si volse a fronteggiare la sua famiglia. Sue Li aveva le labbra increspate in un modo che non prometteva nulla di buono. Michael, paonazzo in viso, lo fissava accigliato.
«Bel colpo, papà.»
«Che vuoi dire?»
Michael scosse il capo. «Ha ragione zio Halden. Sei proprio uno stronzo incredibile.»
«Non ti permettere di parlarmi a questo modo, capito?» Nel cervello di Ryton, babeliche voci rincaravano la dose. Si massaggiò la fronte con gesti stanchi.
«E scommetto che ti preoccupa molto meno l’incolumità di tua figlia, delle chiacchiere che verranno fuori al convegno estivo.»
«Michael!» intervenne Sue Li in tono scandalizzato.
A Ryton la testa martellava ferocemente. La voce di quel ragazzo irriverente era ormai solo una delle tante che congiuravano nell’inchiodarlo alla sua sofferenza. «Ma non essere ridicolo.»
«Michael», soggiunse Sue Li, «tuo padre è terribilmente sconvolto. E poi lo sai che quando è agitato gli vengono le vampate mentali.»
«E come se lo so. E so anche che mia sorella se n’è scappata chissà dove, che forse proprio ora si trova nei guai, e che tutto quel che siete capaci di fare è mettervi a frignare col caro zio Halden.»
«Michael, basta così!» ordinò Sue Li.
Ryton li lasciò alla loro discussione e fuggì verso il bagno. Aveva assoluto bisogno di qualcosa che placasse quel rumore, che lenisse il suo dolore.
Le luci di sala si attenuarono, e ricominciò la pubblicità. Le ormai familiari immagini di Base Luna riempirono lo schermo. Mel le aveva già viste tre volte, e il testo lo conosceva quasi a memoria. Certo che Base Luna dava proprio l’idea di un posto interessante, che sarebbe valso la pena visitare. Con le sue piccole cupole. Con tutte quelle persone sorridenti nelle loro eleganti tute azzurre. Anche i meccanismi che adoperavano avevano un aspetto strano ed esotico. Forse nessuno faceva caso ai mutanti, sulla Luna. Chissà che un giorno o l’altro non riuscisse anche a lei, di andare lassù.
Insonnolita, si ravvolse nella giacca. Il locale era quasi vuoto. Probabilmente avrebbe potuto trattenersi lì tutta la notte. La maratona cinematografica sarebbe andata avanti fino alla mezza del giorno dopo. Domani avrebbe deciso cosa fare. Se le riusciva di simulare il numero di credito di suo padre poteva prendere la monorotaia fino a Denver. Magari avrebbe trovato un lavoro. Qui per lo meno non c’era nessuno a dirle cosa fare, e come farlo. Cadde in un sonno leggero e sognò di fluttuare sotto una cupola, con due nastri rosa legati alle caviglie come fosse un pallone frenato.
10
Le numerose relazioni color zafferano riguardanti il collettore solare si distendevano a ventaglio sulla scrivania di Ryton, ma egli le fissava con occhi resi ciechi dal rimorso e dalla paura. Perché Melanie se n’era andata? Eppure avevano fatto tutto quel che potevano, per lei. Era una ragazza semplice, innocente, esposta a ogni rischio. Non voleva neppure pensare a tutti i pericoli che l’aspettavano al varco. Melanie stava bene a casa sua, dove c’erano persone che le volevano bene e potevano prendersi cura di lei.
Era stata proprio la paura, quando la sera prima aveva svegliato Halden, a fargli esprimere un giudizio tanto severo su sua figlia… la paura, e quelle maledette vampate mentali. Quella mattina, comunque, Sue Li gli aveva preparato una pozione calmante a base di erbe, e le vampate, grazie al cielo, avevano perso vigore riducendosi a deboli eco. Al momento di chiamare la polizia, Ryton sentiva che il suo autocontrollo, rassicurante armatura, era tornato saldamente al proprio posto.
S’erano mostrati cortesi, naturalmente. Quelli della polizia erano sempre cortesi. Con un pizzico d’arroganza, magari, però senza dubbio garbati.
«Svolgeremo indagini», gli aveva assicurato il sergente Mallory. «Ma non stia troppo a preoccuparsi. Succede spesso, dopo il diploma. Una settimana o due, e vedrà che torna a casa.»
Chiusa la comunicazione, i poliziotti s’erano probabilmente concessa una bella risata corale a commento del fatto che pure i mutanti avevano da sputar sangue coi figli ribelli. Normali, pensò Ryton. Per farne che?
Smise di tamburellare con le dita sul grigio ripiano in plastilegno. Sebbene trovasse di scarsa utilità gran parte dei nonmutanti, doveva tuttavia riconoscere che almeno uno di costoro era stato comprensivo e ben disposto, quando lui aveva avuto bisogno del suo aiuto. Anche in questo caso, dunque, poteva rivelarsi la persona giusta nel posto giusto. Ryton si volse al videocom incastonato nella scrivania e compose il numero di Andrea Greenberg. Lei rispose al quarto squillo, mostrandosi leggermente sorpresa.
«Oh, signor Ryton… Ha ricevuto il mio messaggio circa gli stanziamenti per Base Marte?»
Lui annuì brevemente. «Sì, e la ringrazio per la preziosa collaborazione. L’esito del voto ci ha notevolmente confortati.»
«Era quello che mi auguravo. Cos’altro posso fare per lei?»
«Signorina Greenberg, avrei un problema.»
«Sempre i regolamenti NASA?»
«No. Stavolta è una questione… personale.» S’impantanò per qualche secondo in un silenzio imbarazzato. Aveva senso coinvolgere nelle sue beghe famigliari una nonmutante che conosceva appena?
«Sì?» Probabilmente era una nota d’impazienza, quella che si coglieva nella sua voce. In effetti le stava rubando tempo. Che aveva da perdere, comunque? La disperazione diede a Ryton la forza necessaria.
«Si tratta di mia figlia Melanie. Se n’è andata di casa. Almeno credo. Ci ha lasciato un messaggio in cui dice d’aver trovato lavoro a Washington.»
«Quanti anni ha?»
«Diciotto.»
Andrea Greenberg aggrottò la fronte. «Signor Ryton, da un punto di vista legale sua figlia è un individuo adulto. E riterrei che una mutante adulta dovrebbe essere in grado di badare a se stessa.»
«Lei non conosce mia figlia», replicò Ryton. «Finora aveva sempre condotto un’esistenza protetta. E poi è una neutra.»
«Una neutra?»
«Sì, disfunzionale. Priva di qualunque capacità mutante.»
Andrea Greenberg lo fissò interdetta, i grandi occhi verdi ricolmi di stupore. «Non avevo mai sentito parlare di mutanti disfunzionali.»
«Sono casi rari», ammise Ryton. «E inoltre preferiamo non parlarne.»
«Incomincio a comprendere le sue preoccupazioni.»
Ryton si chinò, avvicinandosi allo schermo. «Signorina Greenberg, credo che mia figlia abbia deciso di dimostrarci qualcosa. O forse è una prova che vuol dare soprattutto a se stessa. Ad ogni modo ho paura che riuscirà solo a dimostrare in quali pasticci sia capace di cacciarsi agendo di testa sua. Io e mia moglie siamo tremendamente preoccupati.»
«Non ne dubito, signor Ryton. Ma non può darsi che Melanie abbia detto la verità? Forse ha davvero trovato un lavoro. Nel qual caso le vostre inquietudini sarebbero sostanzialmente ingiustificate.»