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Senza dir nulla, Joanna premette il pulsantino scarlatto di spegnimento. Davanti al sole passava una nube, proiettando al suolo la sua ombra.

«Non l’ho mai sopportato, quell’uomo», commentò McLeod.

Joanna rimase senza fiato.

«È tutto qui quel che sai dire?» sbottò. «Una donna straordinaria viene uccisa, e tu non sai far altro che manifestare il tuo fastidio per quella specie di stupido prete!» Con gesto rabbioso scagliò al suolo la borsa degli attrezzi, e guardò il contenuto sparpagliarsi sul terreno scuro.

«Joanna, ma si può sapere cosa ti succede?» McLeod la fissava sconvolto.

Lei si volse a fronteggiarlo, le mani piantate sui fianchi.

«Sono stufa del tuo atteggiamento verso i mutanti, Bill. Nostra figlia è innamorata di un ragazzo mutante, e tu sei capace solo di continuare a dire quanto ti fa schifo. Una donna coraggiosa e intelligente è stata uccisa, e tu non provi nemmeno un briciolo di rincrescimento. Incomincio a pensare che abbia ragione Kelly. Sei davvero un fanatico intollerante.»

«Un momento, Jo. Nonostante tutte le mie battute, credo anch’io che il figlio di Ryton sia un ragazzo in gamba. E sono convinto che l’uccisione della loro senatrice sia una grave perdita, per i mutanti. Comunque non puoi pretendere che di punto in bianco io cambi idea su tutta la linea.»

«Certo che no. Però mi aspetto che tu te la prenda un po’ più a cuore.»

McLeod saltò giù dal suo trespolo e la strinse fra le braccia.

«Jo, non giudicarmi un cinico insensibile. Ogni omicidio è un fatto allarmante. Spaventoso. Ma non ti accorgi che i mutanti sembrano coagulare attorno a sé questo genere di violenza? E così è stato fin da quando uscirono allo scoperto negli anni Novanta. Io non voglio che nostra figlia rimanga coinvolta in una situazione del genere. E tu?» La fissò gravemente.

Joanna gli poggiò la testa su una spalla. «Anch’io sono spaventata, caro. I figli di Ryton mi sembrano due ragazzi perfettamente a posto. Non posso credere che i mutanti debbano meritare un simile trattamento. E poi non so più che cosa dire a Kelly.» Batté le palpebre in fretta, rintuzzando le lacrime incombenti. «A prescindere da quanti mutanti possano venire assassinati, non proibirò a Kelly di rivedere Michael. Non posso farlo. E voglio che tu ne prenda atto. Ora finisci, per favore, e andiamocene via di qui.» Gli voltò le spalle, avviandosi a lunghi passi verso il libratore.

James Ryton sedeva immobile nel proprio ufficio con lo sguardo passivamente inchiodato sul videoterminale della scrivania, confusa macchia baluginante. Aveva visto l’inizio della conferenza stampa, aveva visto la telecamera oscillare come impazzita mentre Eleanor Jacobsen cadeva. E poi facce indistinte, e gente che correva, e una donna mutante, vestita di bianco, riversa esanime al suolo, occhi sbarrati sul nulla.

«Glielo dicevo, io, che dovevamo stare attenti!» proclamò Ryton con voce alta, petulante, all’ufficio deserto. «Ma non hanno voluto credermi. Non hanno mai voluto darmi ascolto. E guarda ora cos’è successo. I normali hanno ammazzato Eleanor Jacobsen. Lo sapevo. Lo sapevo…»

E adesso anche l’assassino era morto.

Chinò la testa e se la prese fra le mani, massaggiandosi le tempie mentre le vampate mentali incominciavano il loro quotidiano rumoreggiare. Se solo potessero, i normali ci sterminerebbero tutti quanti fino all’ultimo, pensò con amarezza. E mia figlia è là fuori chissà dove, in balia di quelle belve scatenate.

Skerry sedeva sopra uno sgabello di legno del Devonshire Arms di SoHo, sorseggiando una Red Jack e seguendo le notizie via satellite. Mandavano di continuo la scena registrata, con la donna bionda che cadeva e cadeva e cadeva. Poi la faccia pallida dell’assassino, morto nella sua cella. Anche il barista si era fermato a guardare.

«Che peccato, eh, amico, per quella senatrice mutante», commentò. «Sembrava una tipa abbastanza per bene.»

Skerry annuì lentamente, senza staccare gli occhi dallo schermo.

«Lo era.»

Vuotò il bicchiere.

«Bisogna che me ne vada.»

Buttò sul banco un gettone da un credito.

«Tieni il resto.»

Seduto alla sua scrivania, Stephen Jeffers si stropicciava una mano sulla bocca fissando il monitor.

«Maledizione», disse. «Questa non ci voleva. E ora?»

Sue Li Ryton, sguardo puntato sul video, si lasciò andare contro lo schienale della poltroncina. Trevan, l’assistente di reparto, entrò nell’ufficio e senza una parola le porse un bicchiere ambrato, quasi colmo. Lei lo ringraziò con un cenno del capo e bevve un sorso. Avvertiva il profumo dell’anice, ma, per chissà quale curioso motivo, la bevanda non le dava alcuna sensazione a livello di papille gustative. Sorbì un’altra sorsata, poi ancora un’altra.

«Ouzo», disse Trevan in tono contrito. «È tutto quel che ho.»

«Va benissimo», lo rassicurò Sue Li porgendogli il bicchiere vuoto. «Ti spiacerebbe portarmene un altro?»

Chiuso nel suo ufficio, Benjamin Cariddi non abbandonò lo schermo fino al termine del notiziario. Quindi, pallido in volto, digitò un numero segreto disattivando il video.

«Sì?» rispose una voce tesa.

«Sono Ben.»

«Hai saputo, vero?»

«Già. Non credevo che fosse in programma una cosa del genere.»

«Quel pazzo fottuto ha esagerato.»

«Eppure ti avevo avvertito…»

«Al diavolo te e i tuoi avvertimenti! Ormai è troppo tardi. Dovremo muoverci ancora più in fretta.»

«Ti sei occupato di Tamlin?»

«Naturale. E tu ce l’hai ancora la ragazza?»

«In carne, ossa e occhi d’oro.»

«Allora procediamo.»

Michael correva lungo il corridoio in penombra, diretto verso l’ufficio di suo padre. In ognuno dei locali accanto a cui passava, intravvedeva un monitor baluginante in rosso, ambra, oro, sempre le medesime immagini, interminabilmente ripetute.

Rabbia e dolore ardevano nei suoi occhi senza lacrime.

L’hanno ammazzata, pensava. Maledetti, l’hanno ammazzata!

Irruppe nella stanza di Ryton.

«E adesso cosa facciamo?»

Suo padre rialzò la testa e si volse a guardarlo con aria stanca.

«In che senso?»

«Non chiediamo l’apertura di un’inchiesta?»

«Ma certo. Probabilmente Halden sta già presentando formale domanda.»

Sorpreso, Michael guardava fisso suo padre.

«Pensavo di trovarti più in collera.»

«Ma io sono in collera, Michael. I miei timori più gravi stanno divenendo realtà.»

«Ci sarà una riunione di clan?»

«Sì. Martedì, da Halden.» La voce di Ryton s’era ridotta ad un sussurro.

«Voglio esserci anch’io.»

Suo padre annuì. «Benissimo. Vedi, allora, se puoi occuparti di organizzare il viaggio…»

Durante l’intervallo di colazione, Melanie sostò all’ombra della videocabina masticando un panino imbottito. Benjamin le aveva procurato un lavoro al bureau della Betajef, e lei ci si trovava piuttosto bene. Era divertente incontrare tutti quegli uomini d’affari stranieri, e la decorosa divisa color garofano che doveva indossare adesso le risultava decisamente preferibile rispetto al costume dello Star Chamber.