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«Secondo me ci hanno fottuto», commentò Skerry. «Da sola non può essersene andata di sicuro.»

«Ad ogni modo non capisco come abbia fatto a sparire. Qualcuno avrebbe dovuto sapere che ce l’avevo, e chiunque sia stato bisogna che l’abbia rubata mentre quel criminale stava compiendo il suo delitto. Ma, innanzitutto, come avranno fatto a entrare? E poi te l’ho detto, la mia scrivania la tengo sempre chiusa a chiave.»

«Eppure hai visto con quanta rapidità ho violato la scrivania di Eleanor. Una serratura non vuol dire nulla.»

D’un tratto Andie balzò in piedi e prese a digitare sul terminale di Eleanor.

«Che stai facendo?»

«Mi è venuta un’idea.»

Si mise a far scorrere velocemente i nomi dei file.

«Maledizione!» borbottava. «Dove diavolo è?»

Dopo qualche istante introdusse dalla tastiera diversi comandi, poi si raddrizzò tirando un sospirone di sollievo. «Eccola qua.»

«Ma cosa?»

«Due giorni fa avevo mostrato la memocassetta a Eleanor. È rimasta nella memoria di schermo.»

Skerry si chinò a esaminare il monitor.

«È possibile registrarla e poi cancellare la memoria?»

«Certo.»

Con il più radioso dei sorrisi, Skerry le batté affettuosamente sulla schiena. «Dolcezza mia, ritiro ogni e qualsivoglia osservazione scortese io possa aver mai pronunciato a proposito dei nonmutanti. Sei favolosa. E quando ci saremo lavorato ben bene il Consiglio dei mutanti, vedrai se non proporranno te, per la nomina a senatrice!»

13

Seduta sull’idrodivano verde, intenta a osservare le baluginanti immagini che animavano la videoparete, Melanie rabbrividiva. Benjamìn si protese verso di lei, le passò un braccio attorno alle spalle, e strinse delicatamente. Era un piacere sentire sul braccio il calore della sua mano, e Melanie gli si rannicchiò contro.

«Spaventata?» le domandò.

«Non è questione di paura. È solo che non ne posso più di rivedere continuamente quella scena. La Jacobsen non aveva mai fatto del male a nessuno. E quando penso che ad assassinarla è stato quell’orribile Tamlin, mi prende un groppo allo stomaco.»

«Doveva essere uno psicopatico. Un pazzo che odiava i mutanti.»

«Se ripenso a come tentò di strangolarmi, là al club… Sapessi ancora che incubi!»

Benjamin le accarezzò il volto con mano leggera. «Ora non devi più preoccuparti di nulla. Sei con me, ora.»

Melanie sorrise, ammirando i suoi intensi e luminosi occhi color nocciola, i suoi capelli neri… Se solo l’avesse attirata un poco più vicino…

E invece, delusione, egli le diede una stretta fraterna e si alzò.

«Forse dovrei andare alla polizia…»

«Per dirgli cosa?» replicò lui in tono brusco. «Che Tamlin ti aveva aggredito? Ormai è morto. Adesso la miglior cosa che puoi fare è dimenticartene. Altrimenti finiresti solo per cacciarti in qualche inutile pasticcio.»

«Probabilmente hai ragione tu.»

Melanie si sprofondò dentro i soffici cuscini marrone chiaro. Era arcistufa di rivedere all’infinito la morte della Jacobsen. La senatrice Eleanor Jacobsen non c’era più. Melanie voleva dimenticarla. Così come voleva dimenticare Tamlin.

Benjamin sbadigliò e diede un’occhiata all’orologio. «Personalmente sono cotto, bimba. Rimani pure alzata, se vuoi, ma io me ne vado a nanna.» Le regalò uno di quei suoi sbrigativi sorrisi di traverso, e un momento dopo non c’era già più.

Sospirando, Melanie si sintonizzò su un vecchio film degli anni Ottanta, capitando nel bel mezzo di una scena d’amore. Guardò, sentendo crescere in sé il desiderio.

Vorrei che Ben lo facesse con me, pensò, vorrei sentire la sua bocca su tutto il mio corpo… Osservò gli amanti sullo schermo accoppiarsi abilmente, appassionatamente, ansimando e contorcendosi. Prese uno spinello, mordendone via l’estremità per ottenere un effetto più rapido.

Forse non gli piacciono le donne, pensò. Ma allora che ci andava a fare, al club? E io che ci sto a fare, qui? Perché mi ha salvato e mi ha trovato un lavoro? E un posto dove vivere? Ormai era lì da quasi un mese. Diede un rapido, tenero sguardo d’insieme all’elegante soggiorno, soffermandosi sulla lussuosa tappezzeria e sulla magnificenza delle rosse coperte navajo.

Trascorsa la prima settimana, aveva smesso di chiudere la porta a chiave, domandandosi se lui se ne sarebbe accorto. Nessuna reazione. Dentro casa aveva cominciato a indossare scintillanti, opalescenti sottovesti che rivelavano il suo corpo più di quanto non lo nascondessero. Per l’effetto che gli facevano, avrebbe anche potuto infilarsi un saio. Vivevano insieme come fossero fratello e sorella. Ma lei ne aveva già due, di fratelli, e di un altro non sapeva proprio che farsene.

Lo spinello la rilassò, e Melanie avvertì quel familiare, insistente, vivace pizzicorino cominciare a velllicarla in mezzo alle gambe. Al diavolo, non le andava più di masturbarsi. Fosse stata telepatica, avrebbe potuto installare a Ben qualche suggestione erotica durante il sonno… Ma non era telepatica. Sospirò. Bene, bisognava che si arrangiasse con un approccio vecchia maniera.

Spense il video e si diresse alla camera di Ben. Sotto la porta non filtrava alcuna luce. Meglio così. Premette pian pianino col palmo della mano, e il battente si dischiuse in perfetto silenzio. Entrò. La forma di lui, distesa sul letto, nella semioscurità si intravvedeva appena. Il suo respiro andava e veniva regolare. Dormiva.

Melanie scansò le coltri. Benjamin era nudo. Man mano che gli occhi si assuefacevano alla penombra, poté ammirare la sua robusta, muscolosa corporatura. Gli toccò il viso, delicatamente.

«Mel?»

Si alzò a sedere, ammiccando sorpreso.

Melanie sganciò la fibbia che le fermava la veste sulla spalla, e il serico indumento cadde a terra formando un cerchio attorno ai suoi piedi. Ne uscì con un passo, si chinò su di lui, in punta di dita percorse la sua pelle dal torace all’inguine. Bastò quel tocco leggero a farlo entrare in erezione.

Dolcemente, lo baciò. Lui fece l’atto di tirarsi indietro, allungando una mano a recuperare il lenzuolo.

«Dai, vattene a letto.»

«Non ho sonno.»

Gli prese l’altra mano e se l’appoggiò sul petto.

«Mel, non dovresti farlo», le disse in tono quasi supplichevole. Però non ritrasse la mano.

Lei si mosse lievemente, perché meglio avvertisse la sensazione del capezzolo turgido contro il palmo. Quando lasciò la presa, lui mantenne la mano dov’era, le si fece più accanto, coprì l’altra mammella con la mano libera. Melanie sospirò e chiuse gli occhi. Un attimo dopo sentì l’umido calore della sua bocca leccare, succhiare, spostandosi da una mammella all’altra.

Scivolò sul letto aderendo con tutto il corpo a quello di lui, provando l’esaltante contatto della sua virilità e la strana, solleticante sensazione del villoso intreccio che Benjamin aveva sul petto e sulle braccia. Voleva toccare ed esplorare ovunque. Essere toccata ed esplorata.

La strinse a sé baciandole i seni, il collo, le labbra. E lei rispose, ansimando, strofinandosi contro di lui sull’impulso di una cadenza ignota eppure irresistibile. Le mani di Ben si mossero fra le sue gambe, dapprima lentamente titillando, poi audacemente, rapidamente, ritmicamente arpeggiando. Melanie udì una voce gridare e comprese che doveva essere la sua stessa voce, ma non le importava. Ben era dentro di lei, adesso, e lei stava esplodendo, prorompendo in ondate di intenso piacere. Lui era suo per sempre. Per sempre.

Riuniti attorno al tavolo in tek nel seminterrato di Halden, gli anziani del clan sedevano cupi e silenziosi. Non gli era mai capitato, pensò Michael, di assistere a un consiglio così fiacco e abbacchiato. Persino i distintivi della fraternità che la maggior parte di loro ostentava apparivano opachi, privi del consueto sfavillio. Suo padre, soprattutto, che in camicia azzurra dalle maniche disegualmente arrotolate se ne stava lì inerte a trastullarsi con una tazza di tè…